Ecco un
fedele pellegrino delle tombe dei martiri romani, un visitatore quotidiano
delle sette chiese di Roma, questo grande Santo, di cui Dio volle provare la
pazienza come quella di un altro Giobbe (fu papa Benedetto XIV Lambertini che,
nel 1748, in occasione del processo di beatificazione del Calasanzio, parlò del
fondatore delle Scuole Pie come di un novello Giobbe, un nuovo eroe della
pazienza religiosamente ispirata. Così Mario
Spinelli, Giuseppe
Calasanzio: il pioniere della scuola popolare, Roma 2001, p. 209).
Per questo egli ha il pieno
diritto di cittadinanza romana, poiché passò sulle rive del Tevere più di mezzo
secolo. Dopo che ebbe fondato l’Ordine delle Scuole Pie, dopo che ebbe
rinunciato all’onore della porpora cardinalizia, perché nulla mancasse ai suoi
meriti, anziano di quasi ottant’anni, già in sospetto per le sue vicinanze con
Tommaso Campanella e con Galileo Galilei, fu trascinato come un malfattore
dagli sbirri nelle strade di Roma e condotto al Tribunale della Santa
Inquisizione, accusato dai religiosi scolopi Mario Sozzi e Stefano Cherubini di
ribellione ai legittimi poteri.
Va ricordato che il Cherubini era
stato processato dal Calasanzio per alcuni episodi di pedofilia commessi nella
casa di Napoli. Ma poi il processo era stato insabbiato (cfr. ibidem, pp. 154-155). Il Sozzi,
invece, era persona avida ed egocentrica, portata alla ricerca del potere e dei
privilegi (ibidem, pp. 156 ss.). Entrambi conclusero la loro vita
colpiti da una strana “lebbra”, verosimilmente sifilide, con gravi sofferenze,
segno inequivocabile della collera divina (cfr. ibidem, pp. 190; 214-215).
Il nostro Santo, tuttavia, venne
deposto dal suo ufficio di preposito generale del suo Ordine, disprezzato dai
suoi stessi discepoli, come se fosse minorato dalla sua età avanzata. Egli
sopportò tutto con un’uguale grandezza di animo.
Quando morì, il 25 agosto 1648,
anziano di novantadue anni, l’ordine delle Scuole Pie era quasi annientato; ma
l’uomo non può distruggere le opere di Dio ed il Santo, al momento di lasciare
la terra, predisse la sua rifioritura che sarebbe avvenuta dopo la sua morte.
L’avvenimento confermò la profezia.
Due chiese sono state dedicate, a
Roma, al nostro Santo e sono state contraddistinte da un medesimo destino,
venendo alienate.
La prima è San Giuseppe
Calasanzio, nel rione Ludovisi. Essa fu eretta nel 1890 (cfr. Mariano Armellini, Le chiese di Roma dal secolo
IV al XIX, Tipografia Vatican, Roma 18912, p. 304; Massimo Alemanno, Le chiese di Roma moderna, vol.
II, Quartieri Prati, delle
Vittorie, Trionfale, Primavalle, Aurelio, Portuense, Gianicolense, Armando
editore, Roma, 2006, p. 50). Oggi la stessa è sconsacrata ed è sede del
Comitato Centrale della Croce Rossa.
La seconda è San Giuseppe
Calasanzio in Prati eretta nel quartiere Prati e fu eretta nel 1887. A seguito
di vari rimaneggiamenti e cessioni la chiesa è di fatto ridotta ad una cappella
(ibidem).
Tre altre chiese conservano i
ricordi del nostro santo. La prima è San
Giacomo degli Spagnoli, nel rione Parione, nel cui vicino ospizio per
pellegrini spagnoli dimorarono il nostro Santo e sant’Ignazio di Loyola (cfr. M. Armellini, op. cit.,
p. 382). L’altra è San
Pantaleo de Preta Caroli o a Pasquino sempre nello stesso rione, presso
Piazza Navona. In questa chiesa, sotto l'altare maggiore, in una preziosissima
urna di porfido, si custodisce il corpo di san Giuseppe Calasanzio.
Nell'attiguo convento si venerano le camere abitate dal Calasanzio, ove si conservano
parecchi oggetti a lui appartenenti: nella porteria del medesimo vi si trova un
pozzo, le cui acque furono benedette colle reliquie di San Pantaleo, onde nel
giorno festivo del santo i fedeli bevono per loro devozione di quell'acqua (ibidem,
pp. 378-379). L’ultima è Santa
Dorotea in Trastevere. Fu presso questo tempio che, nel XVI sec., i santi
Gaetano da Thiene e Giuseppe Calasanzio inaugureranno le loro rispettive
congregazioni religiose (ibidem, p. 692). Per l’esattezza, il nostro
Santo, grazie alla generosità dell’allora parroco di Santa Dorotea, don Antonio
Brendani, che gli mise a disposizione, nell’autunno 1597, due povere stanze
attigue alla sagrestia, con l’aiuto di alcuni collaboratori, «poté ivi nascere
la prima scuola popolare gratuita di Europa» (Ludwing Von Pastor, Storia dei Papi dalla fine del
Medioevo, trad. it. a cura di Pio Cenci, vol. XI, Clemente VIII (1592-1605),
Desclée & C. ed., Roma, 1929, pp. 439-440, partic. p. 440).
Morto il 25 agosto 1648,
canonizzato nel 1767 da papa Clemente XIII, la sua festa fu inserita nel
calendario, con rito doppio, nel 1769. Pio XII lo proclamò «Patrono davanti a
Dio di tutte le scuole popolari cristiane del mondo» nel 1948.
La messa è in armonia con lo
spirito e la vocazione speciale dei membri delle Scuole Pie.
L’introito chiede in prestito la
sua antifona al Sal. 34 (33).
Benedire Dio nelle tribolazioni è
cosa di un piccolo numero; ma meno numerosi sono ancora quelli che ricevono
dalla sua mano pure i favori della vita. Se la prova è pericolosa per una virtù
debole, la prosperità è ben vantaggiosa per molti, ma pochissimi sono coloro a
cui essa non impedisce di arrivare alla santità. Per questo il sapiente,
soddisfatto da una giusta mediocrità, diceva al Signore (Prov. 30, 8): Divitias et paupertatem ne dederis mihi, sed tantum victui meo tribue
necessaria.
Gesù ha detto ai suoi apostoli: Euntes docete omnes gentes, baptizantes eos. Prima di amministrare i Sacramenti, la
Chiesa ha dunque ricevuto da Dio l’autorità di insegnare, di creare delle scuole,
di elevare delle cattedre, per pubblicarvi la parola di verità, senza che
alcun’autorità umana possa impedirlo. Fedele a questa missione di cultura, la
Chiesa, anche nel Medioevo, eresse, accanto ai presbiterii ed alle cattedrali,
delle scuole dove si manteneva accesa la fiamma del sapere classico. E dopo il
XVI sec., allorché le nuove condizioni dell’Europa non avevano ancora
riconosciuto al popolo un’influenza più larga nella conduzione degli affari
pubblici, e la conoscenza delle lettere era ancora appannaggio dei ricchi, fu
sempre la Chiesa, che, anticipando l’avvenire, ebbe a cuore, grazie a santi
come Giuseppe Calasanzio e Giovanni Battista de La Salle, ed altri, di aprire
delle scuole gratuite per i figli del popolo.
La prima lettura è la stessa di
ieri, con un’allusione delicata alle persecuzioni sostenute dal Santo ed al suo
arresto da parte degli sbirri dell’Inquisizione.
Il responsorio-graduale è lo
stesso del 31 gennaio, mentre il versetto alleluiatico, che si adatta così bene
al lungo martirio del Calasanzio, è identico a quello della messa di san
Raimondo, il 23 gennaio.
La lettura evangelica è comune
alla festa di san Giovanni Battista de la Salle, il 15 maggio. I bambini ci
sono presentati come il modello della perfezione cristiana, perché quello che
essi sono in virtù della loro età, cioè puri, amabili, umili, disinteressati, i
fedeli devono divenirlo sotto l’influenza della grazia. Alla base di questa
costruzione ascetica molto elevata si trova una virtù che riassume tutte. Il
Signore ha detto, in effetti: Quicumque humiliaverit se, sicut parvulus ... . L’umiltà è dunque la condizione
essenziale per questo ritorno alla santa infanzia spirituale e questa, lungi
dall’essere puerilità, esige al contrario da colui che la pratica un’abnegazione
eroica di se stesso.
L’antifona di offertorio proviene
dal Sal. 9.
Bisogna distinguere tra povertà e
povertà. Quella che è lodata nelle Scritture è soltanto la povertà pratica del
cuore e nel cuore stesso, la quale, in seguito, s’identifica con l’umiltà.
L’altra povertà, invece, costituisce occasione di male, in quanto conduce al
furto, all’adulazione, allo spergiuro, ecc. Per questo, concludeva san Tommaso,
la povertà volontaria non si deve abbracciare ma vada evitata perché non abbia
a capitare: «non est igitur paupertas voluntate
assumenda, sed magis ne adveniat vitanda» (San Tommaso d’Aquino, Summa contro Gentiles, lib.
III, cap. 131, § 6).
La colletta sulle oblazioni
s’ispira allo stile dei Sacramentari, ma imita pochissimo le formule antiche.
Anticamente, il popolo copriva effettivamente l’altare dei suoi doni, ma oggi
la frase altare muneribus cumulamus non ha
molto senso, perché non corrisponde più alla disciplina liturgica attuale.
L’antifona per la Comunione si
rapporta alla scena descritta nella lettura evangelica di questo giorno (Mt 18,
15). Tuttavia essa è tratta dal testo di san Marco (10, 14).
Dopo la Comunione si insiste sull’ottenimento di sentimenti di
pietà. La pietà è l’orientamento dell’anima ed il battito del cuore verso Dio.
È utile a tutto, come scrive l’Apostolo a Timoteo, perché è una virtù generale,
che imprime un ritmo soprannaturale a tutte le nostre azioni.
Anonimo, S. Giuseppe Calasanzio, XVIII sec. |
Anonimo sardo, S. Giuseppe Calasanzio, XVII sec., Ozieri |
Autore anonimo, S. Giuseppe Calasanzio, XVIII sec., Novara |
Felix Ivo Leicher, S. Giuseppe Calasanzio dinanzi alla Vergine, 1767, Kuny Domokos Megyei Múzeum, Budapest |
Autore anonimo, S. Giuseppe Calasanzio, XVIII-XIX sec., Iglesias |
Sebastiano Conca, S. Giuseppe Calasanzio presenta ed affida alla Vergine Maria i suoi fanciulli, 1763, chiesa di S. Agostino o di S. Giuseppe Calasanzio, Siena |
Giovanni Brini, S. Giuseppe Calasanzio resuscita un fanciullo, 1834, chiesa di S. Agostino o di S. Giuseppe Calasanzio, Siena |
Giuseppe Collignon, S. Giuseppe Calasanzio guarisce un fanciullo, 1829, chiesa di S. Agostino o di S. Giuseppe Calasanzio, Siena |
Francisco Goya y Lucientes (ex alunno degli Scopoli di Saragozza), Ultima comunione di S. Giuseppe Calasanzio, 1819, Museo de la Residencia Calasanz, Madrid |
Alfredo Luxoro, S. Giuseppe Calasanzio in cattedra, 1884, Cappella, Istituto Calasanzio, Genova |
Francisco Jover y Casanova, S. Giuseppe Calasanzio, XIX sec., museo del Prado, Madrid |
Antonino Calcagnadoro, Madonna con Bambino tra i SS. Giovanni evangelista e Giuseppe Calasanzio, 1903, chiesa di Santa Scolastica, Rieti |
Tomba di S. Giuseppe Calasanzio, Chiesa di S. Pantaleo, Roma |
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