Quando,
nel 1876, furono eseguite, nella basilica ad Vincula, importanti restauri, si scoprì
sotto l’altare principale un sarcofago istoriato, diviso internamente in sette
loculi al fondo dei quali si ritrovarono delle ceneri e dei frammenti ossei
carbonizzati. Un’iscrizione, incisa su una lamina di bronzo, indicava che si
trattava, appunto, delle reliquie di quei sette fratelli ebrei, che furono
messi a morte sotto Antioco Epifane e furono chiamati comunemente Maccabei,
dal nome del libro che racconta il loro eroico martirio, unitamente a quelle
della madre e di Eleazaro (che si riteneva erroneamente essere il padre).
Nel IV
sec., Antiochia rivendicava il possesso dei loro sepolcri. In effetti, secondo
la tradizione cristiana antiochena, le reliquie della madre e figli sarebbero
state sepolte sul luogo di una sinagoga (poi convertita in una chiesa) nel
quartiere Kerateion di Antiochia. Per questo e per altri
motivi, si è pensato che la scena del martirio sarebbe Antiochia anziché
Gerusalemme.
San
Girolamo, da parte sua, il quale aveva visto già i loro sepolcri a Modi’in (antica
città levitica della Palestina), nei pressi dell’attuale Modi’in-Maccabim-Re’ut, non
accettava senza riserve questa pretesa antiochiena. Moderni archeologi
israeliani affermano di averne rinvenuto i sepolcri (v. qui e qui),
ma tale scoperta non è esente da perplessità e dubbi (v. Israeli
archaeologists fail to prove Tomb of the Maccabees location, in Ma’an News Agency,
Sept. 21, 2015 e qui).
La festa
dei martiri Maccabei è antica e quasi universale. Appare in questo giorno nel
martirologio siriaco primitivo del IV sec., nel Calendario di Cartagine, nel
Martirologio Geronimiano. Un gran numero di Padri aveva pronunciato l’elogio di
questi santi; ben più, san Giovanni Crisostomo fece il loro panegirico dinanzi
alle loro stesse tombe (Per riferimenti, cfr. L.
F. PIZZOLATO – C. SOMENZI, I sette fratelli Maccabei nella Chiesa
antica d’Occidente, Milano 2005, passim).
Non
sappiamo in quale epoca le sante reliquie furono portate a Roma. Un’iscrizione
dell’XI o del XII sec. ne attribuisce il merito al papa Pelagio I:
PELAGIVS • RVRSVS • SACRAVIT • PAPA • BEATVS CORPORA • SANCTORVM • CONDENS •
IBI • MACABEORVM
Per l’esattezza,
la tradizione vorrebbe che le reliquie furono traslate da Costantinopoli a Roma
sotto papa Vigilio (537-555) e trasferite in San Pietro in Vincoli da papa
Pelagio I (ibidem, p. 23-24). Comunque sia, si volle scegliere il
1° agosto per dedicare la basilica ad Vincula, perché si dovevano
deporre sotto il nuovo altare le ossa dei martiri Macccabei di cui, in questo
giorno, tutte le Chiese orientali celebravano il natale.
La messa è
la stessa dei sette Figli di santa Sinforosa il 18 luglio, salvo l’Offertorio e
la Comunione che sono improntate alla festa dei martiri Processo e Martiniano
il 2 luglio.
Secondo un’antica
tradizione orientale i Martiri oggi celebrati si sarebbero chiamati Abimo
(Habim), Antonino, Guria (Guriah), Eleazaro, Eusabonio, Alimo (Hadim o Halim) e
Marcello e sarebbero morti insieme alla loro madre Solomonia (o Anna o Myriam)
ed al loro maestro, lo scriba Eleazaro, testimoniando, dinanzi al sovrano
pagano, la fede nell’unico vero Dio e nella resurrezione finale dei corpi.
Un ultimo
appunto: sul nome della madre, vi sono versioni diverse. Varie fonti infatti
propongono il nome di questa donna. Mentre nel Talmud babilonese,
essa resta anonima, nella Midsrah sulle Lamentazioni, detta
anche Lamentazioni Rabbah, un testo rabbinico (un midrashim esegetico)
che risale al V sec. d.C., la donna si chiamarebbe Miriam bat Tanhum, cioè
figlia di Tanhum. Questa è la notizia più antica, che ci riporta che i suoi sette
figli morirono martiri (il più piccolo dei quali aveva, secondo questa
tradizione, solo sei anni), mentre la donna si sarebbe suicidata (il testo
biblico è vago sul punto, sebbene il contesto farebbe pensare che pur’ella
morisse martire: 2 Mac 7, 41: «Ultima dopo i figli, anche la madre incontrò
la morte»). Nella tradizione orientale, riportata dai menologi e dai
sinassari, la donna si sarebbe chiamata, come abbiamo ricordato, Solomonia,
mentre, per la Chiesa Apostolica Armena, Shamuna. Per i siriaci il suo nome
sarebbe Shamone e/o Maryam. Ella si sarebbe chiamata Hannah (o Chana)
in alcune versione del Yosippon o Josippon o Josephon o Joseppon,
cioè un racconto popolare della storia ebraica attribuito a Giuseppe Flavio che
andrebbe dal 539 a. C. al 70 d.C. Probabilmente quest’ultimo nome si
ricollegherebbe al nome della biblica madre di Samuele, Anna, che il testo
sacro afferma che, da sterile, aveva partorito sette volte (1 Sam 2, 5). Tale
versione è quella più accreditata, peraltro, dal mondo giudaico, come può
evincersi dall’Encyclopedia
Judaica.
Autore anonimo, Santa Solomone con i figli Maccabei ed Eleazaro, 630-650, Chiesa di santa Maria Antiqua, Roma. A lato della Santa si legge il nome ΑΓΙΑ ΣΟΛΟΜΩΝΗ |
Sarcofago paleocristiano con le reliquie dei sette fratelli Maccabei, Chiesa di S. Pietro in Vincoli, Roma |
Jean Baptiste Vignaly, Martirio dei Maccabei, 1781 |
Antonio Ciseri, Martirio dei Maccabei, 1860 circa, Chiesa di S. Felicita, Firenze |
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