lunedì 1 agosto 2016

“Quidnam Machabaei? Horum enim nomine dies festus praesenti frequentia celebratur. Qui etsi apud multos non sunt in honore, quod illud certamen post Christum non susceperunt: tamen digni sunt qui ab omnibus honorentur, quia pro patriis legibus et institutis fortes constantesque se praebuerunt.” (Orat. 20. In Machabaeos, sancti Gregorii Nazianzeni – Lect. IX – III Noct.) - COMMEMORATIO SANCTORUM VII FRATRUM MACHABÆORUM MARTYRUM

Quando, nel 1876, furono eseguite, nella basilica ad Vincula, importanti restauri, si scoprì sotto l’altare principale un sarcofago istoriato, diviso internamente in sette loculi al fondo dei quali si ritrovarono delle ceneri e dei frammenti ossei carbonizzati. Un’iscrizione, incisa su una lamina di bronzo, indicava che si trattava, appunto, delle reliquie di quei sette fratelli ebrei, che furono messi a morte sotto Antioco Epifane e furono chiamati comunemente Maccabei, dal nome del libro che racconta il loro eroico martirio, unitamente a quelle della madre e di Eleazaro (che si riteneva erroneamente essere il padre). 
Nel IV sec., Antiochia rivendicava il possesso dei loro sepolcri. In effetti, secondo la tradizione cristiana antiochena, le reliquie della madre e figli sarebbero state sepolte sul luogo di una sinagoga (poi convertita in una chiesa) nel quartiere Kerateion di Antiochia. Per questo e per altri motivi, si è pensato che la scena del martirio sarebbe Antiochia anziché Gerusalemme.
San Girolamo, da parte sua, il quale aveva visto già i loro sepolcri a Modi’in (antica città levitica della Palestina), nei pressi dell’attuale Modi’in-Maccabim-Re’ut, non accettava senza riserve questa pretesa antiochiena. Moderni archeologi israeliani affermano di averne rinvenuto i sepolcri (v. qui qui), ma tale scoperta non è esente da perplessità e dubbi (vIsraeli archaeologists fail to prove Tomb of the Maccabees location, in Ma’an News Agency, Sept. 21, 2015 e qui).
La festa dei martiri Maccabei è antica e quasi universale. Appare in questo giorno nel martirologio siriaco primitivo del IV sec., nel Calendario di Cartagine, nel Martirologio Geronimiano. Un gran numero di Padri aveva pronunciato l’elogio di questi santi; ben più, san Giovanni Crisostomo fece il loro panegirico dinanzi alle loro stesse tombe (Per riferimenti, cfr. L. F. PIZZOLATO – C. SOMENZI, I sette fratelli Maccabei nella Chiesa antica d’Occidente, Milano 2005passim).
Non sappiamo in quale epoca le sante reliquie furono portate a Roma. Un’iscrizione dell’XI o del XII sec. ne attribuisce il merito al papa Pelagio I:
PELAGIVS • RVRSVS • SACRAVIT • PAPA • BEATVS CORPORA • SANCTORVM • CONDENS • IBI • MACABEORVM
Per l’esattezza, la tradizione vorrebbe che le reliquie furono traslate da Costantinopoli a Roma sotto papa Vigilio (537-555) e trasferite in San Pietro in Vincoli da papa Pelagio I (ibidem, p. 23-24). Comunque sia, si volle scegliere il 1° agosto per dedicare la basilica ad Vincula, perché si dovevano deporre sotto il nuovo altare le ossa dei martiri Macccabei di cui, in questo giorno, tutte le Chiese orientali celebravano il natale.
La messa è la stessa dei sette Figli di santa Sinforosa il 18 luglio, salvo l’Offertorio e la Comunione che sono improntate alla festa dei martiri Processo e Martiniano il 2 luglio.
Secondo un’antica tradizione orientale i Martiri oggi celebrati si sarebbero chiamati Abimo (Habim), Antonino, Guria (Guriah), Eleazaro, Eusabonio, Alimo (Hadim o Halim) e Marcello e sarebbero morti insieme alla loro madre Solomonia (o Anna o Myriam) ed al loro maestro, lo scriba Eleazaro, testimoniando, dinanzi al sovrano pagano, la fede nell’unico vero Dio e nella resurrezione finale dei corpi.
Un ultimo appunto: sul nome della madre, vi sono versioni diverse. Varie fonti infatti propongono il nome di questa donna. Mentre nel Talmud babilonese, essa resta anonima, nella Midsrah sulle Lamentazioni, detta anche Lamentazioni Rabbah, un testo rabbinico (un midrashim esegetico) che risale al V sec. d.C., la donna si chiamarebbe Miriam bat Tanhum, cioè figlia di Tanhum. Questa è la notizia più antica, che ci riporta che i suoi sette figli morirono martiri (il più piccolo dei quali aveva, secondo questa tradizione, solo sei anni), mentre la donna si sarebbe suicidata (il testo biblico è vago sul punto, sebbene il contesto farebbe pensare che pur’ella morisse martire: 2 Mac 7, 41: «Ultima dopo i figli, anche la madre incontrò la morte»). Nella tradizione orientale, riportata dai menologi e dai sinassari, la donna si sarebbe chiamata, come abbiamo ricordato, Solomonia, mentre, per la Chiesa Apostolica Armena, Shamuna. Per i siriaci il suo nome sarebbe Shamone e/o Maryam. Ella si sarebbe chiamata Hannah (o Chana) in alcune versione del Yosippon o Josippon o Josephon o Joseppon, cioè un racconto popolare della storia ebraica attribuito a Giuseppe Flavio che andrebbe dal 539 a. C. al 70 d.C. Probabilmente quest’ultimo nome si ricollegherebbe al nome della biblica madre di Samuele, Anna, che il testo sacro afferma che, da sterile, aveva partorito sette volte (1 Sam 2, 5). Tale versione è quella più accreditata, peraltro, dal mondo giudaico, come può evincersi dall’Encyclopedia Judaica.



Autore anonimo, Santa Solomone con i figli Maccabei ed Eleazaro, 630-650, Chiesa di santa Maria Antiqua, Roma. A lato della Santa si legge il nome ΑΓΙΑ ΣΟΛΟΜΩΝΗ


Sarcofago paleocristiano con le reliquie dei sette fratelli Maccabei, Chiesa di S. Pietro in Vincoli, Roma


Jean Baptiste Vignaly, Martirio dei Maccabei, 1781

Antonio Ciseri, Martirio dei Maccabei, 1860 circa, Chiesa di S. Felicita, Firenze


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