Pubblichiamo
volentieri questa critica ad un articolo comparso sulla rivista della facoltà “teologica”
pugliese Apulia Theologica, con la quale vengono stigmatizzate le tesi
discutibili diffuse su questa. In primo luogo: la negazione dell’ispirazione
divina delle Sacre Scritture, e dunque del valore della Rivelazione. Si dimentica
in tal modo quanto insegna l’Apostolo Paolo, che chiama le Scritture eloquia
Dei (Rom. 3); nonché quanto lo stesso rammenta al suo discepolo Timoteo nella sua II Epistola (2 Tim. 3, 16)
e cioè che omnis Scriptura divinitus inspirata. Diversamente opinando,
meglio opinando come ritiene la rivista pugliese, sottolinea sant’Agostino, tota
scripturarum vacillaret auctoritas, ideoque et fides nostra (de doct.
Christ., lib. I, cap. 27).
Per
questo, come cattolici ribadiamo e riaffermiamo quanto stabilisce, tra l’altro, il Beato Pio IX in modo infallibile: «… Questa Rivelazione soprannaturale,
secondo la fede della Chiesa universale, proclamata anche dal santo Concilio
Tridentino, è contenuta nei libri scritti e nelle tradizioni non scritte
ricevute dagli Apostoli dalla stessa bocca di Cristo o dagli Apostoli dalla
stessa bocca di Cristo o dagli Apostoli, ispirati dallo Spirito Santo,
tramandate di generazione in generazione fino a noi [CONC. TRID., Sess. IV,
Decr. De Can. Script.]. Ora questi libri, sia del Vecchio che del Nuovo
Testamento, integri in tutte le loro parti, come sono numerati nel decreto del
medesimo Concilio e come si trovano tradotti nell'antica edizione latina,
devono ritenersi per sacri e canonici. La Chiesa li considera sacri e
canonici non perché, composti da opera umana, siano poi stati approvati dalla
sua autorità, e neppure perché contengono la Rivelazione divina senza errore,
ma perché, essendo stati scritti sotto l'ispirazione dello Spirito Santo, hanno
Dio come autore e come tali sono stati affidati alla Chiesa. Poiché
quelle cose che il santo Concilio Tridentino decretò per porre conveniente
freno alle menti presuntuose sono state interpretate in modo malvagio da
taluni, Noi rinnoviamo il medesimo decreto e dichiariamo che questo è il suo
significato: nelle cose della fede e dei costumi appartenenti alla edificazione
della dottrina Cristiana deve essere tenuto per vero quel senso della sacra
Scrittura che ha sempre tenuto e tiene la Santa Madre Chiesa, alla cui autorità
spetta giudicare del vero pensiero e della vera interpretazione delle sante
Scritture; perciò a nessuno deve essere lecito interpretare tale
Scrittura contro questo intendimento o anche contro l'unanime giudizio dei
Padri» (Beato Pio IX,
Cost. Ap. Dei Filius, cap. II).
Lo
stesso Pontefice, sempre infallibilmente, stabilì nel can. 4 relativo a questo
capitolo: «Se qualcuno non accetterà come sacri e canonici i libri interi
della sacra Scrittura, in tutte le loro parti, come li ha
accreditati il santo Concilio Tridentino, o negherà che siano divinamente
ispirati: sia anatema».
Ci
domandiamo legittimamente come si faccia, al giorno d’oggi, a rimettere in
discussione elementari verità di fede, solennemente affermate, e se sia davvero
lecito rispolverare, in chiave relativista, antiche eresie, già condannate
dalla Chiesa, quale lo gnosticismo. Nell’articolo, in effetti, si confuta l’idea
gnosticheggiante, per la verità mai del tutto sopita all’interno di correnti
eretiche di marca neoplatonica, di un Dio “femminilizzato”, che è un caposaldo della
“teologia” da strapazzo fondata sulla concezione di quell’Androgino
(cioè Ermafrodito, Uomo-Donna) primitivo, vagheggiato dalle tradizioni
esoteriche (e che sarebbe presente, in questa prospettiva, pure nella Divinità …), e che sarebbe fondato sull’errata interpretazione del passo della Genesi laddove si afferma che l’uomo
sarebbe immagine e somiglianza di Dio. Si dimentica però – come ben spiega l’Aquinate
(ah quanto male deriva alla Chiesa dal non seguire più nei seminari e nelle scuole teologiche l’insegnamento dell’Angelico!)
- che le creature irrazionali non sono a immagine e somiglianza di Dio: vi è in
esse solo un vestigio del Creatore. Le creature angeliche innanzitutto, e poi
anche gli uomini, sono a immagine di Dio (imago creationis) non nel corpo, ma nell’anima intellettuale. L’essenza dell’anima umana è immagine dell’unità
della natura divina, le potenze, della Trinità delle Persone. Angeli e uomini
possono poi essere a somiglianza di Dio nella Grazia, che è come una seconda
creazione (imago recreationis), questa volta sovrannaturale, che
diventerà consumata nella Gloria (imago similitudinis). Questa
somiglianza non è comune a tutti gli uomini, ma solo a quelli che sono in
grazia di Dio: può essere acquistata, ma anche perduta. Infine, l’uomo e la
donna sono ad immagine di Dio per quel che riguarda il principale (l’anima spirituale
e le sue potenze) ma solo l’uomo (vir) lo è per quel che riguarda gli
aspetti secondari. In questo senso San Paolo afferma che «l’uomo è immagine e
gloria di Dio, la donna invece è gloria dell’uomo» (per questo l’uomo deve
pregare a capo scoperto e la donna col capo velato) perché «non viene l’uomo
dalla donna, ma la donna dall’uomo; né fu fatto l’uomo per la donna, ma la
donna per l’uomo» (1 Cor. 11, 9).
Risponde
a queste “teologie”, che vorrebbero pure in Dio un principio femminino, sempre
il nostro San Tommaso: «Come riferisce Sant’Agostino (12 de Trin. c. 5),
alcuni ammisero nell’uomo l’immagine della Trinità, non rispetto a ciascun
individuo, ma a più individui [della specie umana], affermando che
“l’uomo fa pensare alla Persona del Padre; fa pensare a quella del Figlio ciò che
deriva dall’uomo per generazione; e così dicono che la donna fa pensare alla
terza Persona, cioè allo Spirito Santo, poiché essa è derivata dall’uomo, in
maniera però da non essere figlio o figlia di lui”. La qual teoria appare
assurda a prima vista. Primo, perché lo Spirito Santo verrebbe ad essere
principio del Figlio, come la donna è principio della prole che nasce
dall’uomo. Secondo, perché ciascun uomo non sarebbe fatto che a immagine di una
sola Persona. Terzo, perché in questa ipotesi, la Scrittura avrebbe dovuto
parlare dell’immagine di Dio nell’uomo soltanto dopo la produzione della prole».
In una nota di commento alla Summa pubblicata dall’ESD, il domenicano Padre
Tito Sante Centi ci precisa che la dottrina condannata era «abbastanza
diffusa tra i Padri greci quando S. Agostino prese a refutarla» e ne sarebbe
autore Metodio di Olimpo (+ 311). «La teoria - aggiunge p. Centi - ha
trovato favore in alcuni teologi moderni, nonostante la netta opposizione di S.
Agostino e di S. Tommaso».
Forse
sarebbe bene che questi “teologi” neoplatonici ricordino la prescrizione del
codice di diritto canonico: «I fedeli, consapevoli della propria
responsabilità, sono tenuti ad osservare con cristiana obbedienza ciò che i
sacri Pastori, in quanto rappresentano Cristo, dichiarano come maestri della
fede o dispongono come capi della Chiesa» (can. 212 § 1); «Coloro che si
dedicano alle scienze sacre godono della giusta libertà di investigare e di
manifestare con prudenza il loro pensiero su ciò di cui sono esperti,
conservando il dovuto ossequio nei confronti del magistero della Chiesa»
(can. 218).
Ci
chiediamo se coloro che scrivono su questa rivista siano disposti a
sottoscrivere e ribadire queste verità di fede … .
Un
nuovo genere di fede?
di
Manuela Antonacci
Ciò
che più colpisce nel leggere i primi due saggi contenuti nella rivista della
facoltà teologica pugliese Apulia
Theologica, nel numero dedicato al tema del rapporto tra Maschile e
Femminile nelle Sacre Scritture, è senza dubbio la scarsa considerazione che di
esse emerge. Ciò appare chiaramente sin dall’Introduzione, a cura di
Sebastiano Pinto che si apre con le seguenti, testuali parole: La Bibbia è scritta da uomini e riflette la
prospettiva maschilista e patriarcale delle società arcaiche (cfr. S. Pinto, Uomo e donna nella Bibbia: generi a confronto. Quello che le donne non
dicono ma fanno, in Apulia Theologica, 2 (2016), Maschile/femminile a più voci. La
problematica, a cura di A. Caputo –
L. Renna, Ed. EDB, Bari 2016, p. 5). Affermazione piuttosto azzardata e
arbitraria che considera il testo sacro opera squisitamente umana, ponendosi in
aperta contraddizione con quanto è contenuto nella Costituzione Dogmatica Dei Verbum a proposito della divina
ispirazione delle Sacre Scritture.
Nel
Capitolo III, sotto l’intestazione L’ispirazione
divina e l’interpretazione della Scrittura la Costituzione afferma: «Le verità divinamente rivelate che sono
contenute ed espresse nei libri della sacra Scrittura, furono scritte per
ispirazione dello Spirito Santo. La santa madre Chiesa, per fede apostolica,
ritiene sacri e canonici tutti interi i libri sia del Vecchio che del Nuovo Testamento,
con tutte le loro parti, perché scritti per ispirazione dello Spirito Santo […]»
(DV 11).
L’analisi
condotta da Sebastiano Pinto, nell’Introduzione e dalla teologa
Selene Zorzi, nel primo saggio, invece, sembra smentire tutto questo.
Il
quadro dell’Antico Testamento che ci forniscono è infatti assai povero e
avvilente. Si tratta di un’analisi che tende a vivisezionare le Sacre Scritture
e a tracciare un confine netto tra un Antico Testamento foriero di antiche
ideologie patriarcali, che avrebbe influito in modo negativo sulla costruzione
dei ruoli femminili, arrivando addirittura, nei secoli, a ridimensionare la
missione delle donne cristiane; eppure, proprio l’Antico Testamento è composto,
in parte, da libri dedicati a donne considerate straordinarie, Ester e
Giuditta, descritte come esempi eccezionali di coraggio e fortezza, quindi
virtù tipicamente “maschili”, fornendo un’idea tutt’altro che stereotipata
della donna che ama e serve Dio; quanto al Nuovo Testamento, esso sarebbe
dominato da un Gesù, il cui modo di vivere la propria virilità avrebbe portato,
secondo le affermazioni di Selene Zorzi, alla costruzione di un modello di
maschilità non “machista”, abbattendo finalmente, l’androcentrismo imperante nell’Antico Testamento. Nel suo saggio la
teologa afferma, infatti, che: «La
modalità in cui Gesù ha vissuto la sua mascolinità costituisce una critica alla
maschilità androcentrica, a un assetto antropologico e sociale in cui l’uomo
maschio è al centro e supporta piuttosto una prospettiva comunionale della
Chiesa, della società e delle relazioni di genere. La mascolinità di Gesù può
essere dunque il punto di confronto e ripensamento forte per le nuove forme di
ricostruzione del maschile» (S. Zorzi, Maschile/ Femminile nella tradizione teologica, ivi, p. 44).
Certamente,
il culmine della Rivelazione di Dio agli uomini è rappresentata da Cristo
stesso, il Logos, la Parola per eccellenza, come sottolinea la stessa Dei Verbum: «La profonda verità, poi, che questa Rivelazione manifesta su Dio e
sulla salvezza degli uomini, risplende per noi in Cristo, il quale è insieme il
mediatore e la pienezza di tutta intera la Rivelazione» (DV 2).
Il
Figlio non solo è la persona che trasmette la verità, ma è Lui stesso la
pienezza della Rivelazione.
Tuttavia,
la storia della salvezza, dalla creazione ai patriarchi, dall'alleanza ai libri
sapienziali, nelle parole e nei segni, è preparazione a questa rivelazione
definitiva (cfr. DV 3). Per
questo non ha senso operare un distinguo arbitrario
tra contenuti più o meno “evoluti”, più o meno “maschilisti” più o meno
“moderni” e “accettabili” all’interno delle Sacre Scritture, che invece sono il
frutto dell'unico Autore divino.
Ponendosi,
al contrario, in un’ottica sbagliata, ideologica e prevenuta si rischia,
infatti, di fornire una lettura parziale e dunque superficiale del testo sacro,
laddove, ad esempio, come nel saggio della Zorzi, ci si ostini a soffermarsi
solo sull’uso “discriminante” delle categorie di genere e di determinate
espressioni, perdendo completamente di vista la “sostanza” ovvero il messaggio
di salvezza contenuto nei testi analizzati.
Ad
esempio, nel racconto del Genesi, vero e proprio canto dell’amore di Dio che
esplode nella creazione, la Teologa si sofferma sulla presunta misoginia
contenuta nell’immagine con cui viene descritta la creazione di Eva «plasmata
dalla costola di Adamo». Espressione con
cui, secondo la Zorzi, si intenderebbe sottolineare la presunta inferiorità di
Eva (e quindi della donna) rispetto all’uomo, non valutando, nemmeno per un
momento, invece, l’ipotesi più plausibile e sensata che con tale espressione,
nel testo biblico si intenda, al contrario, affermare l’identità strutturale
tra l’uomo e la donna, riconfermata nell’affermazione finale di Adamo: «Essa
è carne della mia carne e ossa delle mie ossa».
Tutto
questo comporta il pagamento di un prezzo salato: la perdita o forse la
“dimenticanza” del messaggio di salvezza contenuto nel libro del Genesi.
Genesi
è il punto di partenza della storia d’ amore e amicizia tra Dio e l’uomo,
creato ad “immagine e somiglianza” del suo Creatore, non può essere ridotta ad
un puzzle di espressioni più o meno limitanti e limitate.
Riducendo
l’analisi del testo biblico alla descrizione puramente formale dell’uso delle
categorie grammaticali di genere, come si evince dal saggio della Zorzi, si
incorre nel pericolo di perdere la “perla preziosa” del Messaggio sotteso alle
Sacre Scritture, che si dispiega nei modi e tempi più vari e creativi, in
quanto suggeriti dallo Spirito stesso. A conferma di questo ci viene ancora una
volta in soccorso la Dei Verbum: «Le verità divinamente rivelate che sono
contenute ed espresse nei libri della Sacra Scrittura furono scritte per
ispirazione dello Spirito Santo, hanno Dio per autore e come tali sono stati
consegnati alla Chiesa per la composizione dei libri sacri. Dio scelse e si
servì di uomini nel possesso delle loro facoltà e capacità affinché agendo Egli
in essi e per loro mezzo, scrivessero come veri autori tutte e soltanto quelle
cose che Egli voleva fossero scritte. Poiché, dunque, tutto ciò che gli autori
ispirati o agiografi asseriscono è da ritenersi asserito dallo Spirito Santo,
bisogna ritenere per conseguenza che i libri delle Sacre Scritture insegnano
con certezza, fedelmente e senza errore la verità che Dio, per la nostra
salvezza, volle fosse consegnata nelle sacre Scritture»
(DV 11).
Dio
dunque è veramente l’Autore della Bibbia e nonostante la varietà dei suoi
redattori umani, delle espressioni contenute in essa e del contesto
storico-sociale in cui essi hanno vissuto e operato, la Sacra Scrittura è un
testo profondamente unitario, a motivo dell’unicità del suo Autore.
Con
forza la Tradizione della Chiesa afferma, attraverso la Dei Verbum, le parole dell’apostolo Paolo. «Tutta la Scrittura è ispirata da Dio e utile per insegnare, per
convincere, per correggere, per educare alla giustizia, affinché l’uomo di Dio
sia perfetto, addestrato ad ogni opera buona» (2 Tm 3, 16).
La
perdita di tale consapevolezza porta ad una lettura parziale e deviante della
Scrittura, così come emerge dal saggio della Zorzi, in particolare, nella sua
analisi conclusiva in cui insiste nell’affermare che l’uso di un’immagine di
Dio, solo al maschile, avrebbe contribuito a diffondere e giustificare la
diffusione di un’ideologia “sessista”. A sostegno della sua tesi, la Zorzi cita
Mary Daly (filosofa e teologa statunitense, nonché femminista radicale)
la quale affermava che «Se Dio è maschio,
allora il maschio è Dio» (cfr. M. Daly,
Al di là di Dio Padre. Verso una
filosofia della liberazione delle donne, Editori Riuniti, Roma 1990, p. 27)
intendendo sottolineare, in questo modo, come Dio sia stato usato per
supportare strutture sociali oppressive nei confronti delle donne.
È
davvero il caso di verificare l’attendibilità dell’affermazione di Mary Daly,
insieme ad un’altra sua “celebre” frase, questa volta rivolta direttamente
contro la Chiesa Cattolica: «Una donna
che chiedesse la parità nella Chiesa potrebbe essere paragonata a un nero che
chiedesse la parità nel Ku Klux
Klan» (Id., La Chiesa ed il secondo sesso,
prefazione 2° edizione, Milano, Rizzoli 1982).
In risposta a queste elucubrazioni basterà
semplicemente portare degli esempi concreti, anzi “incarnati”: non parole ma
fatti.
Fino
a centocinquanta anni fa gran parte delle donne istruite era composta da
cattoliche religiose e questo è tutt’altro che un caso. Pensiamo a santa
Caterina da Siena, consigliera di papi e re, che la Chiesa ha definito
“Dottore”, così come Ildegarda di Bingen (che Zorzi cita spesso nel suo saggio)
che ha fornito contributi importanti nel campo della teologia, della medicina,
della scienza, della musica ecc.
Come
dimenticare Santa Teresa d’Avila che, dopo aver riformato un ordine religioso
corrotto, ha fondato numerosi monasteri e ha scritto opere considerate dei
“classici“ della teologia, anch’ella dichiarata Dottore della Chiesa? E infine
(ma di esempi si potrebbe citarne all’infinito) Giovanna d’Arco, addirittura
una donna guerriera che guidava gli uomini in battaglia.
Questo
perché, in barba alle affermazioni denigratorie di chi accusa le Sacre
Scritture e di conseguenza anche la Chiesa Cattolica che ne diffonde
l’insegnamento, di aver in qualche modo diffuso una mentalità oppressiva nei
confronti della donna, in realtà, questi e tanti altri casi concreti,
dimostrano che non è esistita una religione - più del Cristianesimo - e
un’istituzione - più della Chiesa Cattolica - che abbiano tanto promosso la
donna; ma tale graduale emancipazione è stata ingiustamente trascurata (o forse
dovremmo dire “discriminata”?) perché promossa da donne che indossavano l'abito
religioso.
Eppure
il discorso della Zorzi, si spinge ancora oltre l’androcentrismo presente e diffuso nelle Sacre Scritture; nella sua
analisi, tesa a dimostrare il volto femminile di Dio, cerca di esasperare
persino i “generi”, che alcuni padri hanno metaforicamente attribuito alle Persone
della Santissima Trinità. Scrive dapprima: «Una
seconda traiettoria è quella che ha riscoperto le immagini di Dio come madre: tale
filone emerge dalla terminologia dell’utero (rehem). Dio ha viscere di
misericordia (rahamim), quindi ama con amore di una madre» (S.
Zorzi, op. cit., p. 42). Qualche pagina seguente aggiunge: «Abbiamo visto infatti che il Padre è
maschile ma ha un utero, è materno. Gesù, il Logos, la seconda persona
della Trinità incarna un’immagine femminile di Dio, la Sapienza […]. Lo Spirito
Santo è femminile, ma come diceva Gerolamo, in ebraico ruah è femminile, in greco pneuma è neutro, in latino Spiritus è maschile […]. Siccome le proprietà di genere non si possono
identificare con una sola persona in Dio, ovvero non sono intransitive, allora
sono di tutti e tre: il maschile e il femminile appartengono a Dio stesso» (ibidem, p. 46).
Appare
un’analisi del Mistero trinitario, che stride con l’atteggiamento e le
affermazioni di Agostino d’Ippona, contenute nel De Trinitate in cui, al contrario, questi, sottolineando
l’ineffabilità dell’essenza divina, afferma: «Dio è colui che è», e cioè sia il
Padre, sia il Figlio, sia lo Spirito Santo. Agostino conduce gradualmente il
lettore alla contemplazione di quel grandissimo mistero, attraverso le relazioni tra le tre Persone divine e le
loro diverse funzioni. Il Figlio ha la funzione di condurre i credenti alla
contemplazione del Padre, missione che compie mostrandoci concretamente l’amore
del Padre, con la morte sulla croce; e poi, l’amore del Padre è effuso nei
nostri cuori attraverso lo Spirito Santo (De
Trin. 1,8,17). Ma ciò che Agostino sottolinea e che qui ci preme riportare,
è la sua assoluta convinzione che la contemplazione costituisca la ricompensa
della fede, il premio a cui i cuori puri
si preparano purificandosi con la fede (De
Trin. 12, 15,25). Non una mera conoscenza logico-razionale ma una conoscenza intellettiva delle cose
eterne (ibidem).
Quello
del Santo di Ippona, è un suggerimento prezioso sul modo in cui vanno accolti i
divini misteri ed intende essere, in questa sede, la risposta a qualunque
analisi formale delle Sacre Scritture e del Mistero di Dio: Dio è luce, afferma
Agostino «ma non la luce che vedono i
nostri occhi ma quella che vede il cuore quando sente dire: è la Verità. Non
cercate di sapere che cos’è la Verità perché immediatamente si interporranno la
caligine delle immagini corporee e le nubi dei fantasmi e turberanno la limpida
chiarezza che al primo istante ha brillato al tuo sguardo, quando ti ho detto:
Verità. Resta se puoi nella chiarezza iniziale di questo rapido fulgore […] ma non puoi, tu ricadi in queste cose abituali e terrene» (De Trin., 8,2).
È
destinato, insomma, a diventare “abituale e terreno”, qualunque ragionamento
umano che pretenda di scandagliare il mistero di Dio con categorie prettamente
e miseramente umane, non aggiungendo nulla di più alla conoscenza di Lui, ma
costringendo, al contrario, a ripiegarsi sulla nostra finitezza e a prenderne
ancora una volta, amaramente, coscienza.
Bisogna tuttavia tenere presente che la subordinazione della donna, pur insieme alla parità di specie e alla complementarietà, è chiaramente affermata da san Paolo: <> (1Cor 11,2-11).
RispondiEliminaLa subordinazione della donna all'uomo, specialmente nel governo della famiglia, è chiaramente insegnata nell'enciclica Casti connubii. La stessa Enciclica cita sant'Agostino e san Tommaso. Se poi questo insegnamento è stato fatto cadere dopo il Vaticano II, siamo soltanto di fronte ad un caso tra i tanti, non deve sorprendere. A riprova che nessun campo della Dottrina è stato lasciato integro a partire da allora, c'è contraddizione in ogni campo.
Il problema dunque quanto si possa giustificare la lotta per la parità della donna sulla base della Scrittura o come si possa "abbassare" l'autorità del testo sacro per poterlo rendere ininfluente, ma che ogni essere umano viva lo stato di vita che Dio gli ha dato nella santità, certamente seguendo l'insegnamento della Tradizione ininterrotta della Chiesa.