Su segnalazione, pubblichiamo il seguente
contributo di Vito Abbruzzi.
I dieci anni del Summorum. L’impegno dei Coetus
di Vito Abbruzzi
Scrivere
questo articolo non è stato affatto facile. Notizie avvicendatesi una dietro
l’altra mi hanno spinto quasi con forza a dare delle risposte prima di tutto a
me stesso, ma anche a chi con me condivide uno stesso percorso. Ricevere
telefonate preoccupate di amici, che ognora devono fare i conti con i pregiudizi
di chi – in alto –non intende il nostro amore per la Liturgia Romana
nell’Usus Antiquior, considerata dallo stesso Magistero della Chiesa
“tesoro prezioso da conservare”, è davvero avvilente. Come se noi – a motivo di
ciò – ne avversassimo il nuovo uso, a
cui dover essere ricondotti come figliuol prodighi o pecorelle smarrite. Quando,
invece, è esattamente il contrario: è per amore di quest’ultimo che veniamo
attratti dalla sacralità dell’antico
uso, non ravvisando contraddizioni tra l’uno e l’atro, ma, anzi, vicendevole
arricchimento. E i Coetus, di cui fan
parte questi miei amici – esposti ad ogni critica – devono assolutamente tener
ben lungi da sé l’essere considerati una sorta di élite ecclesiale, giacché, sull’esempio
di Benedetto XVI, tutti siamo – ciascuno per la sua parte – umili lavoratori
nella vigna del Signore, cooperatori della Verità.
Il 17
agosto scorso siamo stati colpiti da una notizia sconcertante (data per due
giorni di seguito dai telegiornali nazionali italiani): la tragica morte di un
giovane altoatesino, intento nella assurda pratica del Base jumping: uno
“sport estremo” consistente nel volo in caduta libera, assistito, solo poco prima
dell’impatto col suolo, da un paracadute. Proprio questa dolorosa vicenda mi ha
fatto immediatamente riflettere sulle ragioni che dieci anni fa spinsero Benedetto
XVI a emanare il Motu Proprio Summorum
Pontificum.[1] A distanza di dieci anni esse, ora, mi sono chiare più che
mai!
Vedo, purtroppo, con molto dispiacere, il
Novus Ordo (cosiddetto “Rito di Paolo VI”) in caduta libera. Dico “purtroppo”,
perché sono cresciuto insieme con esso (nel ‘70 avevo sei anni), e devo ad esso,
rettamente compreso, il mio amore per la Liturgia Romana: una liturgia, che,
ahimè!, ho visto in prima persona deprivata e depauperata, anno dopo anno, di “quel
senso dell’adorabile maestà di Dio”,[2] in nome di un minimalismo tutto moderno, frutto di “ignoranza,
giacché per lo più si rigetta ciò di cui non si coglie il senso più profondo,
né si conosce l’antichità”.[3]
Parlare di sciatteria forse è
esagerato, ma è quanto, purtroppo, tristemente noi addetti ai lavori siamo impotentemente
costretti ad osservare da anni, ingoiando a forza il rospo e cercando di fare
buon viso a cattivo gioco (perché di cattivo gioco si tratta!). E non c’è verso
di dialogare, perché, tanto, si è dalla parte sbagliata: quella a torto
ritenuta dei perdenti, che non vogliono ammettere che il mondo è cambiato… anche
se in peggio. Quando, invece, sarebbe molto più costruttiva la sana critica di
chi, “oggi, anche a partire da delusioni sempre più frequenti e dichiarate
circa certi esiti della riforma liturgica” onestamente ammette che “nella foga
e nell’entusiasmo della purificazione postconciliare forse abbiamo buttato via
il bambino con l’acqua sporca”.[4]
Parliamo, dunque, di una Liturgia,
quella Romana postconciliare, fortemente oggi in crisi, come anche la Chiesa,
che pure l’ha espressa. Ed ecco, allora, la saggia, anzi la illuminata
decisione del 7 luglio 2007 di pubblicare la Lettera Apostolica “Motu Proprio
data” sull’uso della Liturgia Romana anteriore alla riforma effettuata nel
1970: documento, nelle parole del suo firmatario, “frutto di lunghe
riflessioni, di molteplici consultazioni e di preghiera”,[5] giustamente e fermamente convinto che “non c’è nessuna
contraddizione tra l’una e l’altra edizione del Missale Romanum. Nella
storia della Liturgia c’è crescita e progresso, ma nessuna rottura. Ciò che per
le generazioni anteriori era sacro, anche per noi resta sacro e grande, e non
può essere improvvisamente del tutto proibito o, addirittura, giudicato
dannoso. Ci fa bene a tutti conservare le ricchezze che sono cresciute nella fede
e nella preghiera della Chiesa, e di dar loro il giusto posto”.[6]
Oggi come
oggi non possiamo non riconoscere che proprio “la
Lettera Apostolica, Summorum Pontificum Motu Proprio data, del Sommo Pontefice Benedetto XVI del 7 luglio 2007, entrata in vigore il 14 settembre 2007,
ha reso più accessibile alla Chiesa universale la ricchezza della Liturgia
Romana”![7] E che proprio essa può
costituire non solo un valido paracadute (usando la metafora del Base
jumping), o un’ancora di salvezza per quest’ultima, ma anche e soprattutto
un efficace strumento di promozione e rinnovamento nei confronti della stessa celebrazione della Messa secondo il Messale di Paolo VI, in
cui “potrà manifestarsi, in maniera più forte di quanto non lo è spesso finora,
quella sacralità che attrae molti all’antico uso”,[8] ben consci che “le due forme dell’uso del Rito Romano
possono arricchirsi a vicenda”.[9]
In questa opera non facile un ruolo
davvero importante lo svolgono e devono continuare a svolgerlo i vari gruppi
stabili di fedeli (Coetus fidelium)
aderenti alla precedente tradizione liturgica,[10] ognuno dei quali si sente ed è “in comunione col suo Vescovo
e col Papa; rifugge la confusione teologica, rispetta la pietà popolare,
aborrisce le deformazioni della Liturgia che portano solo ad allontanare i
fedeli dalla Chiesa e a favorire la diffusione di nuovi movimenti religiosi e
magici”,[11] quali “culti” o “sette”,[12] ovvero “movimenti e comunità” presenti
“anche all’interno della Chiesa, sebbene […] abbiano ottenuto il riconoscimento
e l’approvazione ecclesiali”.[13]
Compito, allora, di ciascun Coetus – tutt’altro dall’essere uno dei variegati
e variopinti movimenti e comunità
di casa nostra – è quello di far comprendere il bisogno di “ritornare alla
Tradizione per innovare; di qui l’esigenza di una rinnovata catechesi della celebrazione
eucaristica”,[14] d’accordo con i Vescovi italiani nel ritenere la Liturgia essere
in sommo grado “scuola permanente di formazione attorno al Signore [crocifisso
e] risorto, ‘luogo educativo e rivelativo’ in cui la fede prende forma e viene
trasmessa”.[15]
“L’urgenza di esplicitare la rilevanza
della Liturgia quale luogo educativo e
rivelativo, facendone emergere la dignità”,[16] è la vera missione che investe ogni singolo Coetus, impegnato, nel suo piccolo, a “una
robusta formazione liturgica dei fedeli”, la quale “sia veicolo del mistero”.[17] E questo perché “il culto divino evoca la sovranità del
Signore su tutto, la sua maestà infinita, la sua grandezza, il suo mistero, il
suo diritto all’adorazione”.[18]
Questo primo decennio di vita del Summorum è stato solo di rodaggio; un
primo significativo traguardo da cui ripartire, con la serena certezza che la
strada coraggiosamente da noi intrapresa è quella giusta, visto che ad
indicarcela ci si mettono pure agnostici del calibro di Umberto Galimberti, avvertendo
il “bisogno che, da sponde diverse, si ritorni a ri-sacralizzare la dimensione
religiosa”.[19] E i mezzi e i modi per questa non facile eppure avvincente
missione sono molto semplici: sono i medesimi da noi ben collaudati, indicati
nei tre documenti su cui si fondano i nostri intenti e che legittimano le
nostre azioni: in primis lo stesso Motu Proprio Summorum Pontificum, il quale “costituisce una rilevante espressione
del Magistero del Romano Pontefice e del munus a Lui proprio di regolare
e ordinare la Sacra Liturgia della Chiesa e manifesta la Sua sollecitudine di
Vicario di Cristo e Pastore della Chiesa Universale”;[20] a seguire, la Lettera
di Benedetto XVI ai Vescovi con la quale consegna loro il Motu Proprio, “con
grande fiducia e speranza”,[21] offrendo “ulteriori delucidazioni sull’opportunità e sulla
necessità del Motu Proprio stesso”,[22] al fine di vincere timori, dimostrati essere non realmente
fondati;[23] e, infine, la Universae
Ecclesiae: l’Istruzione applicativa del Motu Proprio, pubblicata col
precipuo scopo di “garantire e assicurare realmente a quanti lo domandano,
l’uso della forma extraordinaria, nel presupposto che l’uso della
Liturgia Romana in vigore nel 1962 sia una facoltà elargita per il bene dei
fedeli e pertanto vada interpretata in un senso favorevole ai fedeli che ne
sono i principali destinatari”.[24] L’agire secondo la lettera e lo spirito di questi tre capisaldi
del Magistero è la maniera più efficace per mettere a tacere chi prova a tacciarci
di essere contro la Chiesa, con il fantomatico “timore che qui venga intaccata
l’autorità del Concilio Vaticano II e che una delle sue decisioni essenziali –
la riforma liturgica – venga messa in dubbio. Tale timore è infondato”[25] e pretestuoso!
Certo, i pregiudizi ancora da sfatare
sono tanti, ma registriamo, anche se timidamente, una crescita costante di persone
– soprattutto giovani – che frequentano le nostre messe, e, quel che più conta,
di sacerdoti – anche novelli – che le celebrano molto volentieri, sebbene sine populo, cioè in forma strettamente
privata e a porte chiuse, per quieto vivere.[26] Ma poco importa: il dado è stato finalmente tratto e la
strada definitivamente segnata; e quelle motivate paure che si potesse tornare
indietro o arrestare il tutto di colpo, alla prova dei fatti sono state superate
per sempre, nella determinata consapevolezza di “offrire a tutti i fedeli la
Liturgia Romana nell’Usus Antiquior, considerata tesoro prezioso da
conservare”[27] e perpetuare.
[1] Cfr. BENEDICTUS PP. XVI, Litterae Apostolicae “Motu Proprio datae” Summorum Pontificum de usu extraordinario antiquae
formae Ritus Romani (7 Iulii
2007), in AAS 99 (2007) 777-781.
[2] CONGREGAZIONE PER IL CULTO DIVINO E LA DISCIPLINA DEI SACRAMENTI,
Istruzione Redemptionis Sacramentum su
alcune cose che si devono osservare ed evitare circa la Santissima Eucaristia
(25 marzo 2004), n. 6, in AAS 96 (2004) 551.
[3] Ibidem, n. 9, in AAS 96 (2004) 552.
[4] D. PEZZINI, Il tempo
redento. Incursioni nell’anno liturgico (Quaresima-Pasqua), ed. Àncora,
Milano 2002, p. 31; cfr. http://www.scuolaecclesiamater.org/2015/03/un-testo-su-cui-riflettere.html.
[5] BENEDETTO XVI, Lettera ai Vescovi in
occasione della pubblicazione della Lettera Apostolica “Motu Proprio data” Summorum
Pontificum sull’uso della Liturgia Romana anteriore alla Riforma effettuata
nel 1970 (7 luglio 2007), in AAS 99 (2007), 795.
[7] PONTIFICIA COMMISSIONE
ECCLESIA DEI, Istruzione Universae
Ecclesiae sull’applicazione
della Lettera Apostolica “Motu Proprio data” Summorum Pontificum di S.S. Benedetto PP. XVI, n. 1.
[8] BENEDETTO XVI, Lettera ai Vescovi in
occasione della pubblicazione della Lettera Apostolica “Motu Proprio data” Summorum
Pontificum sull’uso della Liturgia Romana anteriore alla Riforma effettuata
nel 1970 (7 luglio 2007), in AAS 99 (2007) 797.
[9] Ibidem.
[10] Cfr. BENEDETTO XVI, Lettera
Apostolica “Motu Proprio data” Summorum
Pontificum sull’uso della Liturgia Romana anteriore alla Riforma effettuata
nel 1970 (7 luglio 2007), art. 5, § 1, in AAS
99 (2007) 780.
[11] N. BUX, Come andare a
Messa e non perdere la fede, ed. Piemme, Milano 2010, p. 94.
[12] SEGRETARIATO PER L’UNIONE DEI CRISTIANI, Il fenomeno delle sette o nuovi movimenti
religiosi. Sfida pastorale (7 maggio 1986), n. 1.1, in Enchiridion Vaticanum 10, n. 371.
[13] C. SCHÖNBORN (Card.), Ci
sono sette nella Chiesa? Riflessioni
su una concezione sconcertante, in L’Osservatore
Romano del 17/07/1997.
[14] BUX, Come andare a
Messa, cit., p. 51.
[15] CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA, Educare alla vita buona del Vangelo. Orientamenti pastorali
dell’Episcopato italiano per il decennio 2010-2020, n. 39.
[16] ID., Comunicare il
Vangelo in un mondo che cambia. Orientamenti pastorali dell’Episcopato italiano
per il primo decennio del 2000, n. 49.
[17] Ibidem.
[18] BUX, Come andare a Messa,
cit., p. 52.
[19] È quanto mi scriveva il Prof. Galimberti in una mail del
06/01/13.
[20] PONT.
COMM. ECCLESIA
DEI, Istruzione Universae Ecclesiae, n. 8.
[21] BENEDETTO XVI, Lettera ai Vescovi in
occasione della pubblicazione della Lettera Apostolica “Motu Proprio data” Summorum
Pontificum sull’uso della Liturgia Romana anteriore alla Riforma effettuata
nel 1970 (7 luglio 2007), in AAS 99 (2007) 795.
[22] PONT.
COMM. ECCLESIA
DEI, Istruzione Universae Ecclesiae, n. 7.
[23] Cfr. BENEDETTO XVI, Lettera ai Vescovi in
occasione della pubblicazione della Lettera Apostolica “Motu Proprio data” Summorum
Pontificum sull’uso della Liturgia Romana anteriore alla Riforma effettuata
nel 1970 (7 luglio 2007), in AAS 99 (2007) 795.
[24] PONT.
COMM. ECCLESIA
DEI, Istruzione Universae Ecclesiae, n. 8.b.
[25] BENEDETTO XVI, Lettera ai Vescovi in
occasione della pubblicazione della Lettera Apostolica “Motu Proprio data” Summorum
Pontificum sull’uso della Liturgia Romana anteriore alla Riforma effettuata
nel 1970 (7 luglio 2007), in AAS 99 (2007), 795.
[26] A norma del n. 23 dell’Istruzione Universae Ecclesiae, i sacerdoti, sia secolari sia religiosi, che
vogliano “celebrare la Messa sine populo (o con la partecipazione del
solo ministro) nella forma extraordinaria del Rito Romano […], non
necessitano di alcun permesso speciale dei loro Ordinari o superiori”.
[27] PONT.
COMM. ECCLESIA
DEI, Istruzione Universae Ecclesiae, n. 8.a.
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