mercoledì 14 settembre 2016

I dieci anni del Summorum. L’impegno dei Coetus

Su segnalazione, pubblichiamo il seguente contributo di Vito Abbruzzi.

I dieci anni del Summorum. L’impegno dei Coetus

di Vito Abbruzzi

Scrivere questo articolo non è stato affatto facile. Notizie avvicendatesi una dietro l’altra mi hanno spinto quasi con forza a dare delle risposte prima di tutto a me stesso, ma anche a chi con me condivide uno stesso percorso. Ricevere telefonate preoccupate di amici, che ognora devono fare i conti con i pregiudizi di chi – in alto –non intende il nostro amore per la Liturgia Romana nell’Usus Antiquior, considerata dallo stesso Magistero della Chiesa “tesoro prezioso da conservare”, è davvero avvilente. Come se noi – a motivo di ciò – ne avversassimo il nuovo uso, a cui dover essere ricondotti come figliuol prodighi o pecorelle smarrite. Quando, invece, è esattamente il contrario: è per amore di quest’ultimo che veniamo attratti dalla sacralità dell’antico uso, non ravvisando contraddizioni tra l’uno e l’atro, ma, anzi, vicendevole arricchimento. E i Coetus, di cui fan parte questi miei amici – esposti ad ogni critica – devono assolutamente tener ben lungi da sé l’essere considerati una sorta di élite ecclesiale, giacché, sull’esempio di Benedetto XVI, tutti siamo – ciascuno per la sua parte – umili lavoratori nella vigna del Signore, cooperatori della Verità.

Il 17 agosto scorso siamo stati colpiti da una notizia sconcertante (data per due giorni di seguito dai telegiornali nazionali italiani): la tragica morte di un giovane altoatesino, intento nella assurda pratica del Base jumping: uno “sport estremo” consistente nel volo in caduta libera, assistito, solo poco prima dell’impatto col suolo, da un paracadute. Proprio questa dolorosa vicenda mi ha fatto immediatamente riflettere sulle ragioni che dieci anni fa spinsero Benedetto XVI a emanare il Motu Proprio Summorum Pontificum.[1] A distanza di dieci anni esse, ora, mi sono chiare più che mai!
Vedo, purtroppo, con molto dispiacere, il Novus Ordo (cosiddetto “Rito di Paolo VI”) in caduta libera. Dico “purtroppo”, perché sono cresciuto insieme con esso (nel ‘70 avevo sei anni), e devo ad esso, rettamente compreso, il mio amore per la Liturgia Romana: una liturgia, che, ahimè!, ho visto in prima persona deprivata e depauperata, anno dopo anno, di “quel senso dell’adorabile maestà di Dio”,[2] in nome di un minimalismo tutto moderno, frutto di “ignoranza, giacché per lo più si rigetta ciò di cui non si coglie il senso più profondo, né si conosce l’antichità”.[3]
Parlare di sciatteria forse è esagerato, ma è quanto, purtroppo, tristemente noi addetti ai lavori siamo impotentemente costretti ad osservare da anni, ingoiando a forza il rospo e cercando di fare buon viso a cattivo gioco (perché di cattivo gioco si tratta!). E non c’è verso di dialogare, perché, tanto, si è dalla parte sbagliata: quella a torto ritenuta dei perdenti, che non vogliono ammettere che il mondo è cambiato… anche se in peggio. Quando, invece, sarebbe molto più costruttiva la sana critica di chi, “oggi, anche a partire da delusioni sempre più frequenti e dichiarate circa certi esiti della riforma liturgica” onestamente ammette che “nella foga e nell’entusiasmo della purificazione postconciliare forse abbiamo buttato via il bambino con l’acqua sporca”.[4]
Parliamo, dunque, di una Liturgia, quella Romana postconciliare, fortemente oggi in crisi, come anche la Chiesa, che pure l’ha espressa. Ed ecco, allora, la saggia, anzi la illuminata decisione del 7 luglio 2007 di pubblicare la Lettera Apostolica “Motu Proprio data” sull’uso della Liturgia Romana anteriore alla riforma effettuata nel 1970: documento, nelle parole del suo firmatario, “frutto di lunghe riflessioni, di molteplici consultazioni e di preghiera”,[5] giustamente e fermamente convinto che “non c’è nessuna contraddizione tra l’una e l’altra edizione del Missale Romanum. Nella storia della Liturgia c’è crescita e progresso, ma nessuna rottura. Ciò che per le generazioni anteriori era sacro, anche per noi resta sacro e grande, e non può essere improvvisamente del tutto proibito o, addirittura, giudicato dannoso. Ci fa bene a tutti conservare le ricchezze che sono cresciute nella fede e nella preghiera della Chiesa, e di dar loro il giusto posto”.[6]
Oggi come oggi non possiamo non riconoscere che proprio “la Lettera Apostolica, Summorum Pontificum Motu Proprio data, del Sommo Pontefice Benedetto XVI del 7 luglio 2007, entrata in vigore il 14 settembre 2007, ha reso più accessibile alla Chiesa universale la ricchezza della Liturgia Romana”![7] E che proprio essa può costituire non solo un valido paracadute (usando la metafora del Base jumping), o un’ancora di salvezza per quest’ultima, ma anche e soprattutto un efficace strumento di promozione e rinnovamento nei confronti della stessa celebrazione della Messa secondo il Messale di Paolo VI, in cui “potrà manifestarsi, in maniera più forte di quanto non lo è spesso finora, quella sacralità che attrae molti all’antico uso”,[8] ben consci che “le due forme dell’uso del Rito Romano possono arricchirsi a vicenda”.[9]
In questa opera non facile un ruolo davvero importante lo svolgono e devono continuare a svolgerlo i vari gruppi stabili di fedeli (Coetus fidelium) aderenti alla precedente tradizione liturgica,[10] ognuno dei quali si sente ed è “in comunione col suo Vescovo e col Papa; rifugge la confusione teologica, rispetta la pietà popolare, aborrisce le deformazioni della Liturgia che portano solo ad allontanare i fedeli dalla Chiesa e a favorire la diffusione di nuovi movimenti religiosi e magici”,[11] quali “culti” o “sette”,[12] ovvero “movimenti e comunità” presenti “anche all’interno della Chiesa, sebbene […] abbiano ottenuto il riconoscimento e l’approvazione ecclesiali”.[13]
Compito, allora, di ciascun Coetus – tutt’altro dall’essere uno dei variegati e variopinti movimenti e comunità di casa nostra – è quello di far comprendere il bisogno di “ritornare alla Tradizione per innovare; di qui l’esigenza di una rinnovata catechesi della celebrazione eucaristica”,[14] d’accordo con i Vescovi italiani nel ritenere la Liturgia essere in sommo grado “scuola permanente di formazione attorno al Signore [crocifisso e] risorto, ‘luogo educativo e rivelativo’ in cui la fede prende forma e viene trasmessa”.[15]
“L’urgenza di esplicitare la rilevanza della Liturgia quale luogo educativo e rivelativo, facendone emergere la dignità”,[16] è la vera missione che investe ogni singolo Coetus, impegnato, nel suo piccolo, a “una robusta formazione liturgica dei fedeli”, la quale “sia veicolo del mistero”.[17] E questo perché “il culto divino evoca la sovranità del Signore su tutto, la sua maestà infinita, la sua grandezza, il suo mistero, il suo diritto all’adorazione”.[18]
Questo primo decennio di vita del Summorum è stato solo di rodaggio; un primo significativo traguardo da cui ripartire, con la serena certezza che la strada coraggiosamente da noi intrapresa è quella giusta, visto che ad indicarcela ci si mettono pure agnostici del calibro di Umberto Galimberti, avvertendo il “bisogno che, da sponde diverse, si ritorni a ri-sacralizzare la dimensione religiosa”.[19] E i mezzi e i modi per questa non facile eppure avvincente missione sono molto semplici: sono i medesimi da noi ben collaudati, indicati nei tre documenti su cui si fondano i nostri intenti e che legittimano le nostre azioni: in primis lo stesso Motu Proprio Summorum Pontificum, il quale “costituisce una rilevante espressione del Magistero del Romano Pontefice e del munus a Lui proprio di regolare e ordinare la Sacra Liturgia della Chiesa e manifesta la Sua sollecitudine di Vicario di Cristo e Pastore della Chiesa Universale”;[20] a seguire, la Lettera di Benedetto XVI ai Vescovi con la quale consegna loro il Motu Proprio, “con grande fiducia e speranza”,[21] offrendo “ulteriori delucidazioni sull’opportunità e sulla necessità del Motu Proprio stesso”,[22] al fine di vincere timori, dimostrati essere non realmente fondati;[23] e, infine, la Universae Ecclesiae: l’Istruzione applicativa del Motu Proprio, pubblicata col precipuo scopo di “garantire e assicurare realmente a quanti lo domandano, l’uso della forma extraordinaria, nel presupposto che l’uso della Liturgia Romana in vigore nel 1962 sia una facoltà elargita per il bene dei fedeli e pertanto vada interpretata in un senso favorevole ai fedeli che ne sono i principali destinatari”.[24] L’agire secondo la lettera e lo spirito di questi tre capisaldi del Magistero è la maniera più efficace per mettere a tacere chi prova a tacciarci di essere contro la Chiesa, con il fantomatico “timore che qui venga intaccata l’autorità del Concilio Vaticano II e che una delle sue decisioni essenziali – la riforma liturgica – venga messa in dubbio. Tale timore è infondato”[25] e pretestuoso!
Certo, i pregiudizi ancora da sfatare sono tanti, ma registriamo, anche se timidamente, una crescita costante di persone – soprattutto giovani – che frequentano le nostre messe, e, quel che più conta, di sacerdoti – anche novelli – che le celebrano molto volentieri, sebbene sine populo, cioè in forma strettamente privata e a porte chiuse, per quieto vivere.[26] Ma poco importa: il dado è stato finalmente tratto e la strada definitivamente segnata; e quelle motivate paure che si potesse tornare indietro o arrestare il tutto di colpo, alla prova dei fatti sono state superate per sempre, nella determinata consapevolezza di “offrire a tutti i fedeli la Liturgia Romana nell’Usus Antiquior, considerata tesoro prezioso da conservare”[27] e perpetuare.



[1] Cfr. BENEDICTUS PP. XVI, Litterae Apostolicae “Motu Proprio datae” Summorum Pontificum de usu extraordinario antiquae formae Ritus Romani (7 Iulii 2007), in AAS 99 (2007) 777-781.
[2] CONGREGAZIONE PER IL CULTO DIVINO E LA DISCIPLINA DEI SACRAMENTI, Istruzione Redemptionis Sacramentum su alcune cose che si devono osservare ed evitare circa la Santissima Eucaristia (25 marzo 2004), n. 6, in AAS 96 (2004) 551.
[3] Ibidem, n. 9, in AAS 96 (2004) 552.
[4] D. PEZZINI, Il tempo redento. Incursioni nell’anno liturgico (Quaresima-Pasqua), ed. Àncora, Milano 2002, p. 31; cfr. http://www.scuolaecclesiamater.org/2015/03/un-testo-su-cui-riflettere.html.
[6] Ibidem, in AAS 99 (2007) 798.
[7] PONTIFICIA COMMISSIONE ECCLESIA DEI, Istruzione Universae Ecclesiae sull’applicazione della Lettera Apostolica “Motu Proprio data” Summorum Pontificum di S.S. Benedetto PP. XVI, n. 1.
[9] Ibidem.
[10] Cfr. BENEDETTO XVI, Lettera Apostolica “Motu Proprio data” Summorum Pontificum sull’uso della Liturgia Romana anteriore alla Riforma effettuata nel 1970 (7 luglio 2007), art. 5, § 1, in AAS 99 (2007) 780.
[11] N. BUX, Come andare a Messa e non perdere la fede, ed. Piemme, Milano 2010, p. 94.
[12] SEGRETARIATO PER L’UNIONE DEI CRISTIANI, Il fenomeno delle sette o nuovi movimenti religiosi. Sfida pastorale (7 maggio 1986), n. 1.1, in Enchiridion Vaticanum 10, n. 371.
[13] C. SCHÖNBORN (Card.), Ci sono sette nella Chiesa? Riflessioni su una concezione sconcertante, in L’Osservatore Romano del 17/07/1997.
[14] BUX, Come andare a Messa, cit., p. 51.
[15] CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA, Educare alla vita buona del Vangelo. Orientamenti pastorali dell’Episcopato italiano per il decennio 2010-2020, n. 39.
[16] ID., Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia. Orientamenti pastorali dell’Episcopato italiano per il primo decennio del 2000, n. 49.
[17] Ibidem.
[18] BUX, Come andare a Messa, cit., p. 52.
[19] È quanto mi scriveva il Prof. Galimberti in una mail del 06/01/13.
[20] PONT. COMM. ECCLESIA DEI, Istruzione Universae Ecclesiae, n. 8.
[22] PONT. COMM. ECCLESIA DEI, Istruzione Universae Ecclesiae, n. 7.
[24] PONT. COMM. ECCLESIA DEI, Istruzione Universae Ecclesiae, n. 8.b.
[26] A norma del n. 23 dell’Istruzione Universae Ecclesiae, i sacerdoti, sia secolari sia religiosi, che vogliano “celebrare la Messa sine populo (o con la partecipazione del solo ministro) nella forma extraordinaria del Rito Romano […], non necessitano di alcun permesso speciale dei loro Ordinari o superiori”.
[27] PONT. COMM. ECCLESIA DEI, Istruzione Universae Ecclesiae, n. 8.a.

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