Nella festa della Divina Maternità
della B.V.M. rilanciamo questa recensione ad un saggio di don Ennio Innocenti.
Ambito veneto-cretese, Madre di Dio della Passione, 1550 circa, Bergamo |
Ambito napoletano, Madonna della Purità con i SS. Anna e Gioacchino, XVII sec., Napoli |
Ambito italiano, Madre di Dio, 1920 circa, Rieti |
Come l’arte può condizionare la
nostra fede e il nostro destino
Un approfondito saggio curato da don Ennio Innocenti
indica il corretto approccio (la “gnosi pura”) che l’uomo moderno deve avere
nei confronti di manifestazioni e fenomeni come la musica e la pittura, la
scultura e il cinema, il teatro e l’architettura, la fotografia e la moda.
di Luciano Garibaldi
Impossibile sottovalutare l’influenza dell’arte nella nostra vita, nel
nostro destino. Non inferiore a quella della parola. Tutti ne siamo testimoni,
anche se, il più delle volte, in maniera inconsapevole. Un quadro
indimenticabile, una musica che torna a ripetersi nella nostra mente, la scena
di un film che ci ha colpito profondamente. Un libro ci aiuta a comprendere che
cosa dobbiamo all’arte e quanto dipendiamo dall’arte. Il titolo del libro è «La gnosi dei perfetti nell’arte e nell’estetica», il
suo curatore è don Ennio Innocenti.
Don Ennio Innocenti, sacerdote romano, grande testimone della fede
(indimenticabili le sue trasmissioni radiofoniche “Ascolta, si fa sera”),
giunto alla vigilia del sessantesimo anno della sua ordinazione sacerdotale, ci
fa dono di questo prezioso e ponderoso volume, che si aggiunge agli altri
stampati, in edizione fuori commercio, dall’ente ecclesiastico da lui fondato,
la “Sacra Fraternitas Aurigarum Urbis” (www.fraternitasaurigarum.it),
con sede in Roma, via Capitan Bavastro 136.
Per la realizzazione di questo volume, don Innocenti si è avvalso della
collaborazione di validissimi studiosi e specialisti della materia artistica,
come Carlo Fabrizio Carli, Paolo Mariani, Osvaldo Lilliu, Marco Marrocchini,
Ciro Lomonte, Pietro De Marco, Pier Paolo Ottonello, Mario Dal Bello, Giovanni
Chiaramonte, Roberto Dal Bosco, Manuela Sain Colombo.
Ad ognuna delle forme in cui si realizza l’attività artistica, il libro
dedica documentati e avvincenti capitoli nei quali Ennio Innocenti e i suoi
collaboratori spiegano come dobbiamo interpretare, e che cosa possono donarci,
la musica, l’architettura, la pittura, la scultura, il teatro, il cinema, la
fotografia e infine la moda. Di sicuro, dopo aver letto quest’opera, si sarà
pienamente in grado di comprendere – e valutare – quanto un’opera d’arte possa
influenzare la nostra formazione e la nostra coscienza.
Ma andiamo con ordine, seguendo il tragitto disegnato da don Innocenti.
Innanzitutto: che cos’è un’ «opera d’arte»? E’ un evento, un’immagine, un suono
capaci di suscitare sorpresa, ammirazione, piacevolezza e gioia. E qual’è la
strada da seguire per poter valutare a fondo e con assoluta serietà e
precisione un’opera d’arte? A questo punto entrano in gioco tre fattori:
l’opera, l’artista che l’ha realizzata e l’osservatore che la sta giudicando.
«Quando gli antichi», scrive l’autore, «definivano il bello come “quod visum placet”, per “visum” non
intendevano solo gli occhi, ma tutti i sensi, e per “placet”
non intendevano solo un gusto dei sensi, ma un giudizio spirituale che
riguardava l’oggetto in tutte le sue relazioni percepite che suscitano un
apprezzamento positivo, amoroso».
Fondamentale è, poi, il collegamento dell’opera d’arte con la fede nel
trascendente. «Non solo i mistici penetrano il senso dei misteri divini, ma
anche i sinceri credenti comuni, e, in misura privilegiata, gli artisti». Non
per nulla Benedetto XVI scriverà, nell’introduzione al “Compendio del catechismo della Chiesa Cattolica”, che
«l’immagine sacra può esprimere molto di più della stessa parola, dal momento
che è oltremodo efficace il suo dinamismo di trasmissione del messaggio
evangelico». E aggiungerà: «Dalla secolare tradizione conciliare apprendiamo
che anche l’immagine è predicazione evangelica. Gli artisti di ogni tempo hanno
offerto alla contemplazione dei fedeli i fatti salienti del mistero della
salvezza, presentandoli nello splendore della bellezza».
Per avere un’idea della profondità del saggio di Ennio Innocenti,
scegliamo, tra le otto arti esaminate dal teologo romano, due particolarmente
significative per la loro collocazione temporale: la musica (che non conosce confini), e la moda, tipica manifestazione dell’età contemporanea.
LA MUSICA
«Mia madre ha cantato nel coro dell’Opera della mia città natale e, negli
anni scolastici delle elementari, mi portava a teatro entusiasmandomi ai drammi
verdiani e pucciniani», scrive Ennio Innocenti. E aggiunge: «Più tardi venne la
cotta per Wagner, e poi per Mozart e per Bach…». Queste parole aiutano ad
comprendere quanto profondo sia l’autentico trattato storico-estetico che
l’Autore dedica alla musica.
In particolare, Ennio Innocenti esamina accuratamente i rapporti tra la
musica e la fede, le ispirazioni religiose dei grandi musicisti (da Bach a
Pergolesi, da Mozart a Monteverdi a Wagner). Per avere un’idea del livello
culturale-estetico dell’opera di Ennio Innocenti, basta leggere questo breve ma
intenso giudizio su uno dei più grandi musicisti dell’era moderna:
«Quanto a Mozart, cattolico (anche se non praticante, e succube della
polemica illuminista), gli va riconosciuta una meravigliosa disponibilità
all’armonia, e per questa via egli trova spontaneamente l’accordo con la
liturgia. Quel che si dice di lui, della sua felicità di vivere, rende ragione
anche della sua possibile, spontanea armonia con Dio. Questa felicità di vivere
fa supporre un desiderio dell’Infinito che è in se stesso religioso, e questo
spiega certi culmini religiosi di varie sue musiche. [….] Dopo Mozart,
nonostante la fede cattolica di tanti illustri musicisti, possiamo dire che la
liturgia cattolica, anche quando ritrova il gregoriano, non sa più esprimersi
con una propria estetica musicale armonica con la cultura e l’estetica del
mondo contemporaneo. Occorre che la musica ritrovi le vie della mistica
autentica, ossia della gnosi pura».
LA MODA
Tutto da leggere il capitolo dedicato alla moda, un fenomeno che più che
all’arte vera e propria è collegato all’estetica, in quanto strettamente legato
alla figura umana. In queste pagine, don Ennio Innocenti e il suo valido
collaboratore Roberto Dal Bosco denunciano senza mezzi termini la perversione
che, nelle ultime generazioni, si è impadronita di questo importante settore
produttivo. Nella premessa al capitolo, don Innocenti sottolinea l’importanza
avuta, nei secoli, dal confezionamento di abiti adatti alle varie funzioni
della specie umana. Ad esempio, per secoli la moda femminile ha avuto come
obiettivo il sottolineare il ruolo materno della donna e «gli aspetti della sua
speciale attrazione erotica». «Più volte», scrive don Innocenti, «è accaduto
che dalle botteghe artigiane siano usciti dei veri, grandi artisti che hanno
esaltato l’autentico umanesimo». Poi, di colpo (e questo soprattutto negli
ultimi cinquant’anni), lo snaturamento della moda, la distruzione della
femminilità, e ciò in singolare coincidenza con l’avvento di quella che Papa
Giovanni Paolo II, nell’enciclica “Evangelium Vitae”
(25 marzo 1995), definì «Mortis cultura», cultura della morte. Si riferiva, San
Karol Wojtyla, a tutto quell’apparato sociale, culturale e politico che sta
distruggendo la dignità della vita umana con la diffusione su sempre più larga
scala di aborto, contraccezione, fecondazione in vitro, eutanasia.
Vediamo dunque come la “necrocultura” (come la definisce Dal Bosco) sta
manipolando e pervertendo la moda. Essa prosegue senza requie nella sua guerra
contro la donna, la sua immagine e la sua carne. «Un tempo», scrive Dal Bosco,
«quando si chiamavano mannequins, le
modelle erano donne di ammaliante bellezza, qualsiasi cosa le mettessero
addosso. Ma da quando il mondo omosessuale ha preso il potere nella stanza dei
bottoni, le belle donne sono sparite dalle passerelle, sostituite da ragazze
giovanissime, altissime, prive di forme, in tutto e per tutto androgine. Ogni
curva è eliminata, ogni dolcezza annichilita in silhouette che ricordano, più
che delle femmine, le sculture filiformi di Alberto Giacometti». Nel mondo
della moda dilaga l’anoressia. Basta sfogliare le pagine dei grandi giornali
dedicate alle sfilate di moda per rendersene conto. E la donna ultramagra
è icona della non fecondità, dell’astio per la madre, generatrice della vita.
Negli ultimi anni, poi, si stanno espandendo le “modelle-maschio”, ovvero
giovanissimi modelli che sfilano sia per la moda maschile sia – en travesti – per quella femminile. Classiche le
copertine di “Vogue” dedicate al modello bosniaco Andrej Pejic, classe 1991.
«Pejic», scrive Dal Bosco, «ha solo aperto la porta. Ora, su tutte le
passerelle, è un fiorire di transessuali».
Amara la conclusione di questa documentatissima denuncia: lo scopo finale è
quello di rendere totalmente artificiale la riproduzione umana, scopo
perseguito principalmente con la normalizzazione delle coppie omosessuali,
improvvisamente esplosa presso i legislatori di tutti i Paesi occidentali.
Infatti, se una coppia sodomitica è legittima per lo Stato, è legittima anche
la sua aspirazione alla prole, ottenibile solo con la fecondazione in vitro,
l’utero in affitto e, tra non molto, l’utero artificiale: capovolgimento totale
del dominio dell’uomo sulla tecnica, i cui manovratori diventano così i veri
padroni della specie umana.
Queste brevi sintesi dei capitoli che Ennio Innocenti dedica alla musica e
alla moda rendono un’idea di quanto siano avvincenti e approfonditi anche i
capitoli dedicati alle altre grandi espressioni dell’arte: dall’architettura
alla pittura, dalla scultura al teatro, dal cinema alla fotografia.
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