Come noto, ieri si è consumato l’incontro
tra il Vescovo di Roma ed i luterani svedesi per celebrare e commemorare (sic!)
il cinquecentesimo anniversario della c.d. riforma luterana (cfr. Gratitudine per l’eresia: l’imbarazzante dichiarazione congiunta di Lund, in Radiospada, 1.11.2016).
Quest’evento è
subito apparso molto discusso e discutibile, anche perché si è voluto esaltare
un personaggio – Lutero – che è stato una rovina del genere umano, causa della
dannazione e perdizione di numerose anime, che l’hanno seguito nell’empietà! A
riprova di ciò valga un bel florilegio di sue … illuminate citazioni (v.
Florilegio luterano… della serie: Ipse dixit, in ivi, 31.10.2016 e qui). Come cattolici, rimaniamo ancorati e ribadiamo la sua ferma
condanna, espressa dal Sommo Pontefice papa Leone X nella bolla di scomunica
dell’eresiarca (Prima traduzione italiana della Bolla di Papa Leone X contro
il luteranesimo, ivi, 22.4.2013; nonché in Riscossa cristiana, 10.1.2016). Per cui, davvero incomprensibile la “febbre ecumenista” che
affligge molti pastori odierni (cfr. Marco
Tosatti, Febbre ecumenica, ma i cattolici hanno dovuto sudare per
avere la Messa col papa, in Stilum Curiae, 28.10.2016; Perché
mitizzare da parte cattolica un nemico della fede come Martin Lutero, padre del
protestantesimo, in Il Timone, 27.10.2016), che ravviserebbero degli
aspetti positivi in Lutero, il quale, a loro dire, non avrebbe avuto intenzione
– bontà sua – di separarsi da Roma, ma che anzi sarebbe stato animato da buone
intenzioni. Per far ciò, fanno riferimento ad una lettera “aperta” del monaco
agostiniano, scritta al Pontefice, del 6 settembre (in realtà, ottobre/novembre)
1520, nella quale egli denunciava al papa Leone X i presunti fraintendimenti
dei quali sarebbe stato vittima e gli presentava, al contempo, non già una
ritrattazione delle sue tesi erronee (all’epoca, infatti, Lutero già conosceva la
bolla Exsurge Domine con cui Leone X gli intimava la ritrattazione delle
sue tesi, pena la scomunica), ma un trattatello, Von Freiheit eines Christenmenschen,
La libertà del cristiano, con un intento, a suo modo di vedere, … fraudolentemente
conciliativo, nel quale tuttavia riproponeva gli errori che gli erano
stati censurati, anzi li aggravava, affermando la ferma scissione tra la vita
spirituale, completamente libera, e quella corporale, soggetta all’amore per il
prossimo e quindi vincolata.
Non si dimentichi che, allorché scrisse il suo
trattatello falsamente ossequioso verso il papa, egli aveva già demolito la
fede con il trattato teologico De captivitate babylonica ecclesiae
praeludium contro i sacramenti e con la lettera An den christlichen Adel
deutscher Nation von des christlichen Standes Besserung (Alla nobiltà
cristiana della nazione tedesca: del miglioramento dello Stato cristiano),
con la quale aveva invitato i nobili, i capi, i tutori della Germania alla
lotta contro la Chiesa di Roma contestando l’infallibilità del papa (che all’epoca
non era ancora un dogma di fede ma una tradizione ben consolidata), il
monachesimo e il celibato sacerdotale, e in cui nuovamente stigmatizzava i mali
di Roma e confessava di aver voluto «assalire violentissimamente il papa, come
l’Anticristo». Dunque, quella lettera del tardo autunno del 1520 al papa Leone
X era chiaramente una farsa, un inganno, per dipingersi come “vittima” del
Pontefice … . Purtroppo, però, i “pastori” odierni, non conoscendo bene queste
vicende, cadono nel fraintendimento dettato dalla loro ignoranza, scambiando un
inganno per un sussulto di sincerità.
Peraltro, anche a voler tutto concedere
alla tesi circa le presunte buone intenzioni di Lutero, l’argomento, nondimeno,
non regge. Dimenticano questi “pastori” che persino Satana, in fondo, era
iniziato bene, essendo un angelo, e non aveva intenzione di … ribellarsi a Dio,
se Dio, ovviamente, avesse assecondato la superbia di quella creatura … Anche
altri eresiarchi avevano iniziato bene e con buone intenzioni …: Ario,
Nestorio, Pelagio, ecc. Nessuno di loro, in fondo, non aveva … buone
intenzioni. Ma si sa … la strada verso la perdizione è lastricata di buone
intenzioni. Lutero non fu un riformatore, ma un rivoluzionario, nel senso
ovviamente negativo del termine (cfr. Matteo
Carletti, Quella di Martin Lutero fu una rivoluzione, punto e basta.
Ma molti cattolici non la pensano più così, in Il Timone, 31.10.2016; nonché Id., Lutero,
Rivoluzione senza appello, in Libertà e persona, 26.10.2016).
Non devono meravigliare, per
questo, fatti come il recente crollo della Basilica di San Benedetto a Norcia.
Molti vi hanno ravvisato un segno (cfr. Massimo
Viglione, Terremoto: a Norcia i veri “segni dei tempi”, in Riscossa cristiana, 31.10.2016; Giulia Bianco,
Crolla Norcia, crolla l’Europa, ivi; Antonio Socci, Ora col terremoto tutti scoprono l’Italia
dei borghi. Ma in quelle terre colpite c’è anche l’anima dell’Italia e dell’Europa,
in blog Lo straniero, 30.10.2016; Id.,
Crolla la Chiesa (materialmente e spiritualmente), ivi, 31.10.2016). Ed in effetti, ciò non può essere escluso, vista anche la
contiguità temporale. San Benedetto, patrono d’Europa, è stato uno dei
costruttori della res publica christiana. Aveva ragione Paolo VI,
quando, citando il suo venerato Predecessore, Pio XII (Cfr. Pio XII, Omelia nella Messa Solenne celebrata nella Basilica Patriarcale di S.
Paolo Fuori le Mura in occasione del XIV centenario dalla morte di S. Benedetto
da Norcia, 18 settembre 1947, in AAS
39 (1947), pp. 452 ss., partic. p. 453), e proclamando S. Benedetto Abate a
Patrono d’Europa, affermava che il Santo di Norcia ed i suoi figli spirituali
«portarono con la croce, con il libro e con l’aratro il progresso cristiano
alle popolazioni sparse dal Mediterraneo alla Scandinavia, dall’Irlanda alle
pianure della Polonia» (Paolo VI,
Lett. Ap. Pacis Nuntius, 24 ottobre
1964, in AAS 56 (1964), p. 965) e
che, quindi, simbolicamente l’Europa nasceva grazie all’opera civilizzatrice
della Chiesa e dei suoi figli. Tale concetto espresso dall’intellettuale Papa
Montini è stato anche riproposto dal successore. In un discorso risalente al
1980, alludendo ancora all’opera benedettina, così Papa Wojtyla si esprimeva:
«… La croce, il libro e l’aratro sono stati gli strumenti della sua opera di
bonifica e di rinascita. La lode a Dio, nel Cristo e con la comunità, mediante
la liturgia assidua, diligente ed elevante; il lavoro manuale, intellettuale ed
artistico, fedelmente compiuto nel silenzio esteriore ed interiore; la carità
vicendevole, e specialmente verso i sofferenti e i più poveri, nell’obbedienza
e nell’umiltà: ecco in sintesi il messaggio e il programma di vita che san
Benedetto ha inculcato ed ha praticato e per cui l’Europa si è potuta dire “cristiana”»
(Giovanni Paolo II, Discorso alle Autorità civili, Visita Pastorale
alla Diocesi di Norcia, 23 marzo 1980, § 2. Cfr. anche Id., Lett. Ap. Sanctorum Altrix per il XVI
centenario della nascita di S. Benedetto Patrono d’Europa, Messaggero di Pace,
11 luglio 1980, § 1).
Lutero, invece, aveva rotto quell’unità,
che Benedetto ed i suoi figli avevano edificato portando sin nelle terre più lontane
dell’Europa l’annuncio cristiano: Inghilterra, Germania, Scandinavia, ecc.,
sino ai confini della Russia, avevano conosciuto l’opera di monaci missionari,
degni figli di Benedetto, e sovente pure martiri. E per secoli, prima della
rovina luterana, in quelle terre la fede cattolica aveva resistito, tanto che,
per far vincere l’eresia luterana, i principi e le autorità politiche, per
ragioni di opportunismo politico, dovettero imporre Lutero ed i c.d.
riformatori con la forza alle popolazioni cattoliche (cfr. Angela Ambrogetti, Violenta, imposta
dall’alto contro il voler del popolo: un libro racconta come la Riforma prese
piede in Svezia, in Il Timone, 31.10.2016. Per approfondimenti cfr. Corrado Gnerre, I veri motivi della
Riforma protestante (prima parte), in Riscossa cristiana, 22.10.2016; la seconda parte, ivi, 25.10.2016; Id., La Riforma protestante culla del
razionalismo e dell’esoterismo moderni, ivi, 27.10.2016).
Per cui, in un’ottica cristiana,
può leggersi quel crollo, giusto alla vigilia della commemorazione luterana (30
ottobre 2016), come una riprovazione divina. Come a dire che la Chiesa attuale
a San Benedetto ed a ciò che rappresentò e rappresenta si è preferito l’eresiarca
tedesco celebrando simbolicamente il 500° anniversario della sua rottura. Dio,
rispettoso della libertà umana, non poteva che prenderne atto. Alla fede
cattolica rappresentata dal Santo Patriarca, padre del Monachesimo Occidentale,
si è preferito colui che si scagliò violentemente contro i sacramenti, la
Chiesa, il monachesimo ed il celibato sacerdotale.
Della Basilica, che sorge sul
luogo di nascita di Benedetto, è rimasta in piedi sostanzialmente solo la
facciata: il transetto, la navata e l’abside sono crollate. Immagine
emblematica dello stato in cui versa la Chiesa attuale, rimasta in piedi solo
nella sua “facciata”, ma che all’interno ha visto un’opera demolitoria
sistematica.
Mentre si affacciano questi
innumerevoli pensieri, rilanciamo, in questa odierna festa di Ognissanti, la
seguente riflessione del dott. Andrea Sandri.
Lutero, Francesco e
gli altri. Alcune note a margine dell’incontro di Lund
di Andrea Sandri
Quella di Lutero fu
un’eresia medioevale che, nonostante le pretese dei suoi nemici e di chi si
rifà ancora al suo nome, non sopravvisse al suo tempo. Se si vogliono tracciare
le coordinate che individuano la posizione teologica di Lutero bisogna
ripercorrere da un canto gli sviluppi della tarda scolastica verso la
concezione nominalistica rispetto agli universali – verso l’opinione secondo
cui la realtà è costituita assolutamente dalla volontà divina e non può essere
indagata se non convenzionalmente dall’uomo: le essenze non sono che nomina per
chiamare cose di cui l’uomo non può ultimamente conoscere la ragione – e dall’altro
le tappe della reazione anticuriale in Francia e, soprattutto, in Germania,
quando, per soddisfare le pretese di dominio di Ludovico il Bavaro, teologi e
filosofi come Guglielmo da Ockham e Marsilio da Padova teorizzarono la perfetta
autonomia del potere temporale dal potere spirituale del Papa. Mentre il nominalismo
contribuiva a disgiungere l’incerta conoscenza umana e il diritto naturale, che
su di essa si fonda, dalla lex aeterna, il pensiero politico
anticuriale fondava su quella disgiunzione, secondo un modello non meno
volontaristico, l’autonomia del potere terreno. Secondo un’allegoria fisiologica
diffusa a quel tempo la Chiesa, come la, pensava, e il Principe, a mo’ del
cuore, voleva e dava propulsione e vita al proprio regno in tutta indipendenza
dalla funzione spirituale della Chiesa.
Lutero prima della
propria ordinazione sacerdotale aveva meditato l’Expositio canonis missae di
Gabriel Biel (1408-1495) nella quale questo autore, che fu teologo e
predicatore a Erfurt e a Magonza, uomo pio e apologeta del dovere di
subordinazione al Pontefice, interpreta le parole del Te igitur (“Una
cum famulo tuo Papa nostro N. et antiste nostro N. et rege nostro”) affermando
sì, con Ockham e la lezione anticuriale, che il Papa e il re sono ciascuno princeps nel
proprio ambito, ma aggiungendo che i due poteri, pur reciprocamente autonomi,
sono luci nel firmamento della Chiesa - intesa qui agostinianamente quest’ultima
più come universale congegatio fidelium che come potere
organizzato giuridicamente. Proprio l’unità superiore che sovrasta e raccoglie
in sé le potestà, spirituale e terrena, giustifica i loro reciproci doveri -
così il regno deve prestare assistenza alla potestà spirituale e questa,
secondo un modello antico ricorrente nei Padri, è obbligata alla preghiera per
il regno. Come si vede il rigido dualismo della politica di Ockham è conciliato
da Biel con una visione che, da un lato, si lascia ricondurre all’equilibrio
già individuato a più riprese da San Tommaso d’Aquino nei suoi scritti, e, dall’altro,
opera una rilevante variazione di significato all’interno di quello stesso
equilibrio. Infatti il teologo tedesco non soltanto ristabilisce un rapporto di
reciprocità, anche se non di subordinazione, tra i due poteri, bensì riassegna
al potere terreno uno scopo trascendente che è mediato dalla appartenenza alla
universale comunità dei fedeli e si traduce nel campeggiare della luce naturale
nel firmamento della Chiesa. Ma è sul concetto stesso di Chiesa, in quanto
elemento dell’unità soteriologica che si compie nell’imperium spirituale e
si spezza nella discessio dei regni da esso, che Biel, per
restare fedele allo schema di Ockham, deve prendere congedo dall’Aquinate -
mentre infatti quest’ultimo indica, proprio nel senso della continuità dell’Imperium
romanum, la Chiesa romana con a capo il Papa come struttura in cui si
realizza l’auctoritas e l’attuazione catechontica della fede e
rispetto alla quale può avvenire la discessio dei regni, per
Biel ecclesia è l’agostiniana comunità dei santi orientata al compimento della civitas
dei, la congregatio fidelium di cui sono parti tanto il
potere spirituale quanto i regni terreni, e dalla quale entrambi possono
secedere.
La Expositio
canonis missae nel tentativo di neutralizzare in un’unità superiore la
contrapposizione tra regni e Chiesa romana insinua in realtà un preoccupante
elemento di instabilità nel momento in cui sullo sfondo del firmamento della
Chiesa, che è totalità e mediazione di entrambi i poteri, riconosce al potere
spirituale il diritto, “supernaturaliter et specialiter” conferito da Cristo,
di comunicare la grazia attraverso i sacramenti e la cura delle anime e, di
conseguenza, di esercitare lo ius excomunicandi. La
rappresentazione esteticamente armoniosa del firmamento di Biel appare così
contenere i presupposti della propria catastrofe - perché, se si accetta l’idea
che la Chiesa romana è unica mediatrice in terra della grazia e della fede in
Cristo, allora tutta la realtà universale della congregatio fidelium è
qui riassunta nella cattolicità romana, e se, invece, si sostiene che la
mediazione è tutta nel firmamento, il potere spirituale non può che ridursi a
segno esteriore e relativo di una comunione in Cristo la quale lo sovrasta e lo
comprende infinitamente - e diventare, se si vuole rimanere nell’immagine di
Biel, una stella quasi spenta. Mentre la prima attribuzione di significato
porta evidentemente all’equilibrio sostenuto da San Tommaso e, in fondo, alla
stessa concezione di Biel che immaginava ancora il rapporto fra congregatio
fidelium e Chiesa romana alla stregua di un’unità dialettica, la
seconda allude invece a una svolta radicale e a una rottura con la Tradizione.
Proprio all’interno dei problemi posti dalle tesi di Biel bisogna cercare l’inizio del pensiero teologico, ecclesiologico e politico di Martin Lutero. Il possibile significato antiromano dell’Expositio dovette rivelarsi a Lutero durante la disputa sulle indulgenze, laddove la distinzione tra congregatio fidelium e potere spirituale può costituire un argomento per negare l’autorità del Pontefice e della gerarchia ecclesiastica quanto alla interpretazione delle Sacre Scritture e alla remissione dei peccati.
Notoriamente la
lettura antiromana dell’Expositio di Biel fu la via eletta da
Lutero che negò al Papa ogni giurisdizione sulle anime (il potere delle chiavi)
che non fosse legata al diritto canonico. Ogni successiva posizione teologica e
politica di Lutero può essere compresa nel contesto della riduzione della
mediazione della grazia al cielo della universale congregatio fidelium retto
da Cristo. Così finalmente poté affermare, dissolvendo la Cristianità
medioevale, l’immediatezza del potere dei principi a Cristo (“unmittelbar zu
Gott”), ridefinire, in base alla stessa immediatezza applicata all’individuo,
in senso soggettivo il concetto di fede, sostenere coerentemente la natura
meramente amministrativa dell’istituzione ecclesiastica cui naturaliter era
assegnato a capo il principe, indicare la lettura della Scrittura all’interno
delle mura di quella stessa istituzione come grande sacramento rispetto al
quale dissolvono ben cinque sacramenti e altri due sono conservati in maniera
instabile: il battesimo come segno esterno di una conversione in fondo già
avvenuta per opera di Cristo (di qui la difficoltà protestante ad accettare il
battesimo degli infanti nonostante l’insegnamento esplicito di Lutero) e l’eucarestia
come sacramento della misericordia rispetto al quale la confessione dovette
apparire uno scandaloso pleonasmo inventato dal Papa per conoscere i peccati
dei cristiani (l’idea di una cena della misericordia non è infrequente nella
teologica “cattolica” odierna).
Non ci sono motivi
per dubitare che l’Unmittelbarkeit del rapporto tra individuo e Dio
si iscriva ancora, per Lutero e i fautori della rivoluzione protestante, in un
sistema della trascendenza di Dio. Tale immediatezza può ancora essere letta,
soprattutto per quanto riguarda il teologo di Erfurt, secondo le categorie
della mistica eckhartiana, impoverita però quest’ultima della auctoritas della
Chiesa che aspettava e giudicava con giusto discernimento le parole del mistico
di ritorno dalla sua unione immediata con la Trinità (o pretesa tale). Tuttavia
proprio la negazione di una giurisdizione sulla fede e la fatale inclinazione a
ridurre quest’ultima all’esperienza individuale introdusse una instabilità che
si risolse, approssimativamente nel giro di un secolo, in una comprensione
soggettiva – in senso letterale perché il soggetto si muta in orizzonte ultimo
del cristianesimo – e trascendentale (non trascendente) della fede. Ha così
origine il pensiero moderno, trascendentale e non trascendente, come
comprensione dell’uomo, del mondo e di Dio essenzialmente distinta dalla
teologia di Lutero che è ancora medioevale pur nel grave errore professato.
Non è un caso che
la congregatio fidelium convocata da Cristo ossia la stessa “chiesa
universale”, che Lutero e i primi fautori della Riforma pongono a fondamento
trascendente del mondo morale, si ripresenti nei secoli in versioni che
corrispondono allo sviluppo filosofico dell’io e della ragione umana autonoma,
dell’Unmittelbarkeit dell’uomo a se stesso, e che possono essere
riassunte nei singoli passaggi rappresentanti, a ben vedere, le scansioni della
filosofia e della giurisprudenza moderna: veritas lex naturalis,
veritas lex rationalis, veritas noumenon, veritas spiritus, veritas jus,
veritas factum e, infine, veritas ipsa voluntas. Tra l’idea
ancora agostiniana e medioevale per la quale veritas divina lux -
e alla quale i mistici renani, gli scolastici nominalisti del XIV e lo stesso
Lutero non sono estranei – e l’asserzione assolutizzante secondo veritas
lex naturalis si apre un abisso che coincide con la stessa
inconciliabilità tra trascendenza di Dio e dominio trascendentale della
ragione. Secondo percorsi complessi, che rasentano il paradosso borgesiano, levatrice
di questo salto abissale verso il pensiero moderno fu proprio la seconda
scolastica ultimamente impegnata nella battaglia post-tridentina contro le tesi
di Lutero. In particolare nell’opera di Francisco de Vitoria, gli anni della
cui vita terrena coincidono pressappoco con quelli dell’inventore del servum
arbitrium, ma già nei commenti alla Summa di San Tommaso stilati dal
Cardinal Caetano e da Domingo de Soto e più tardi nella scolastica suareziana,
la lex naturalis tende a neutralizzarsi, a porsi in una
condizione di relativa autonomia rispetto al radicamento trinitario in cui San
Tommaso l’aveva riconosciuta. Emerge così la lex naturalis come
sistema del diritto internazionale nell’epoca delle scoperte geografiche e del
disfacimento della Cristianità medioevale causato dalla stessa eresia luterana.
Non può stupire il fatto che la fondazione della Società delle Nazioni e quindi
delle Nazioni Unite sia stata accompagnata da un continuato revival delle
dottrine vitoriane, e che la statua di de Vitoria, e non quella di Lutero, sia
collocata dinnanzi alla sede dell’Onu a New York. Come in campo riformato la congregatio
fidelium, nella quale si attua irrazionalmente la fede in Cristo, degrada
vieppiù, per la sua instabilità, in un regno morale dove la ragione (la grande “puttana”
contro la quale inveisce Lutero) riprende dominio nella forma del razionalismo
più radicale, in campo post-tridentino la “chiesa universale” si estende ai
confini esterni della lex naturalis equivocamente disgiunta
dalla partecipazione alla lex aeterna che esige l’atto
sovrannaturale di assenso della fede: ancora razionalismo. Nell’etiam si
Deus non daretur del protestante Ugo Grozio, la cui venerazione per de
Vitoria è provata, confluiscono in un unico fiume, quello del pensiero moderno,
le due correnti, e si annunciano le fasi successive che sfociano nel mare
apertamente anticristiano della veritas ipsa voluntas. La lettura
evolutiva, formalizzata in tempi recenti dal professor Plinio Corrêa de
Oliveira e ripresa da più autori, secondo la quale non vi sarebbe alcuna soluzione
di continuità tra Lutero e la Rivoluzione francese è, almeno in parte,
fuorviante, e vela gli inizi cinquecenteschi della profonda crisi moderna della
Chiesa cattolica e del mondo.
Mentre il fiume del pensiero moderno, con la sua sostanza razionalistica, immanentistica e trascendentalista, è divenuto per lo più la dottrina ufficiale delle facoltà teologiche protestanti soprattutto in Germania dove il nome di Lutero è stato il marchio di fabbrica per diffondere, di volta in volta, sotto le false spoglie di Dio, le scansioni dell’io, della ragione illuminista, del noumeno kantiano, del sentimento religioso di Schleiermacher, dello spirito hegeliano e del soggetto dell’etica mondiale delle più recenti scuole teologiche, è continuato a scorrere in maniera carsica nella teologia cattolica insinuandosi nei dubia e nelle soluzioni dei commentatori moderni (gesuiti e non) di San Tommaso e attraverso una mai assopita accondiscendenza verso uno stile cartesiano che si manifesta nella sistematicità dei trattati di teologia ed emerge in maniera preoccupante con la codificazione del Diritto canonico cui fa pendant l’infallibilismo ovvero una lettura sovranista che si è impossessata del dogma dell’infallibilità sfigurando terribilmente il papato e facendone una funzione della veritas ipsa voluntas. Durante il Concilio Vaticano II il fiume esce da ogni canale sotterraneo e confluisce, sotto il sole, nel bacino della dichiarazione Nostra Aetate sulle “relazioni della Chiesa con le religioni non cristiane” nella quale l’impostazione neutralizzante di de Vitoria e del razionalismo successivo è sostanza evidente sia delle premesse:
Nel nostro tempo in cui il genere umano si unifica di giorno in giorno più strettamente e cresce l’interdipendenza tra i vari popoli, la Chiesa esamina con maggiore attenzione la natura delle sue relazioni con le religioni non-cristiane. Nel suo dovere di promuovere l’unità e la carità tra gli uomini, ed anzi tra i popoli, essa in primo luogo esamina qui tutto ciò che gli uomini hanno in comune e che li spinge a vivere insieme il loro comune destino;
come delle conclusioni:
Viene dunque tolto il fondamento a ogni teoria o prassi che introduca tra uomo e uomo, tra popolo e popolo, discriminazioni in ciò che riguarda la dignità umana e i diritti che ne promanano.
L’indifferenza
compulsiva con cui nel post-concilio le case editrici cattoliche ufficiali e
accreditate presero a pubblicare nelle stesse collane le opere di de Lubac,
Theilard de Chardin, Rahner, Küng, Marxsen, Vorgrimler, Lehmann, Metz, Tillich,
Schillebeeks, Auer, Häring, Käsemann, Schnackenburg, Schoonenberg, Schweizer,
Bultmann, Bonhoeffer, Gogarten, Hulsbosch, testimonia il sorgere di una “nuova
patristica” (così all’incirca si espresse Cornelio Fabro) i cui preamboli non
sono né luterani né cattolici ma semplicemente razionalistici e moderni. Anche
la riforma liturgica, che è di sovente attribuita alla piaggeria conciliare
verso i protestanti, sembra piuttosto corrispondere, in maniera assai più
profonda e grave, come è stato puntualmente dimostrato dal padre oratoriano
canadese Jonathan Robinson nel suo libro The Mass and Modernity (Ignatius
Press, San Francisco 2005; it.: Messa e modernità, Cantagalli,
Siena 2010), alle esigenze acquisite alla gerarchia cattolica di un pensiero
dell’immanenza e dell’io trascendentale.
Nella prospettiva,
fin qui delineata, dell’emergenza di un pensiero moderno che ha sin dall’inizio
del suo apparire catturato sia la teologia protestante che quella cattolica, e
che, seguendo percorsi talora differenti talora di reciproca seppur celata
influenza, ha finito per imporsi egualmente in entrambi i campi nella seconda
metà del secolo XIX, ci si chiede se veramente l’incontro a Lund tra Francesco
e gli esponenti mondiali delle chiese luterane per la celebrazione dei
cinquecentesimo anniversario della Riforma possa essere criticato come un
cedimento della Chiesa cattolica alle tesi luterane originarie sulla fede in
Cristo o se piuttosto non si tratti di un convegno di cultori dell’io
trascendentale e delle sue possibilità esistenziali (diritti dell’uomo,
solidarietà ed etica mondiale) assisi attorno a un monaco medioevale che per
zelo amaro e infinita melanconia distrusse la gloriosa chiesa medioevale. La
seconda ipotesi, che appare più probabile, è persino più cupa della prima e
richiede un più faticoso approfondimento da parte dei cattolici fedeli alla Tradizione.
Nessun commento:
Posta un commento