Nella festa di S. Giovanni apostolo ed evangelista,
rilanciamo questo contributo.
Ambito friulano, S. Giovanni evangelista, XIX sec., Udine |
Ambito friulano, S. Giovanni evangelista tra le SS. Lucia ed Apollonia, XIX sec., Udine |
Ambito veronese, SS. Rita da Cascia e Giovanni evangelista, 1890-1910, Verona |
Sante Calcagni, S. Giovanni evangelista, XIX sec., Vicenza |
Bernard Lemercier e Philippeaux, S. Giovanni evangelista, 1875-99, Bergamo |
Bottega di Luigi Guacci, S. Giovanni evangelista, XIX sec., Avezzano |
Il Natale delle due Terese
di Cristiana de Magistris
Non vi è cosa che riesca più difficile all’uomo moderno, il cosiddetto
cattolico “adulto”, quanto esercitarsi nelle piccole virtù, nel silenzio e
lontano dagli sguardi umani, avendo per testimone Dio solo. Non senza ragione
il Signore volle darci il Suo esempio affinché più facilmente potessimo seguire
questa via. Ecco perché è necessario tenere i nostri occhi per tutta la vita
fissi sugli “abbassamenti di Betlemme”.
A questa scuola fu istruita la grande riformatrice del Carmelo, S. Teresa
d’Avila, e ad essa volle che attingessero i figli e le figlie del Carmelo. Si
racconta nella vita della Santa che un giorno, nel monastero dell’Incarnazione
di Avila, mentre stava scendendo le scale, incontrò un bel bambino che le
sorrideva. La Santa, sorpresa di vedere un bambino all’interno della clausura
del Monastero, gli chiese: “E tu chi sei?”. Ma
il bambino rispose con un’altra domanda: «E tu chi sei?». La
Santa replicò: «Io sono Teresa di Gesù». Il
Bambino, con un sorriso ampio e luminoso, le disse: «Io sono
Gesù di Teresa».
A questo emblematico episodio si può far risalire la speciale devozione che
la grande Riformatrice del Carmelo ebbe per l’Infanzia del Signore. In tutte le
sue fondazioni non mancarono mai le statue di Gesù Bambino, delle quali la
Santa ere particolarmente devota. Si tramanda che ne avesse diverse. Aveva, per
esempio, un Bambino al quale ricorreva quando desiderava che piovesse o non
piovesse; un altro a cui si rivolgeva quando doveva pagare dei debiti e non
sapeva come pagarli, e così via.
Ognuno dei “suoi” Bambini aveva il suo compito! Voleva, inoltre, che le
austerità del Carmelo durante il tempo natalizio fossero temperate e rallegrate
con canti di esultanza e pie ricreazioni. Non solo. Per accrescere la gioia
spirituale delle monache, la Santa soleva comporre versi da cantare portando in
processione le statue della Madonna e di S. Giuseppe attraverso il Monastero.
Una volta insegnò alle monache più anziane a cantare il ritornello di un canto
da lei composto che diceva: Destatevi, Sorelle mie! Ecco
viene la Vergine, che ha dato alla luce il suo Figlio e suo Dio.
Piena di devozione e di gioia, la Santa chiedeva alle suore di dare ospitalità
al Divin Bambino, alla Sua Santa Madre e al suo sposo S. Giuseppe, di cui era
particolarmente devota.
La devozione della Santa al Divin Infante fu anche testimoniata da un
miracolo, avvenuto nel Carmelo di Toledo, dove la statua del Piccolo Gesù –
portata dalla Santa stessa in occasione della fondazione di quel Monastero nel
1569 – pianse quando la grande Riformatrice doveva lasciare il Monastero.
Così è scritto nel museo del convento che custodisce questo tesoro: «Il giorno 8 giugno 1580, Santa Teresa si congedava dalle sue
religiose di Toledo per recarsi a Segovia. Il cuore naturalmente affettuoso
della Santa soffriva molto in questi congedi, soprattutto quando pensava che
non avrebbe rivisto le sue figlie. Quella volta né lei né le sue amate religiose
si sbagliavano, perché tutte presentivano che la Madre era giunta al termine
del suo viaggio terreno. Secondo una pia tradizione, perfino un’immagine del
Bambino Gesù si associò al dolore delle monache, versando lacrime quando la
Santa abbandonò il suo amato convento di Toledo. Da allora questa immagine
viene chiamata con il soprannome affettuoso di ‘Niño Lloroncito’».
La devozione alla santa Infanzia si radica, dunque, nell’esperienza mistica
della Riformatrice spagnola. Passando attraverso le figure di altre illustri
figlie del Carmelo, come la Venerabile Margherita del SS. Sacramento
(1619-1648), del Carmelo di Beaune, e Suor Maria di S. Pietro (1816-1848), del
Carmelo di Tours, che contribuirono a sviluppare e diffondere tale devozione,
essa approda infine al piccolo Fiore di Lisieux, S. Teresina, destinata dalla
Provvidenza ad essere la Maestra della “Piccola Via”, sulle orme del Bambino di
Betlemme.
L’ascesa verso il monte della perfezione iniziò per la piccola Teresa in
tenera età. Ma fu nel Natale del 1886 che, accogliendo nel suo cuore il Dio
fattosi uomo, questa tenera fanciulla, che, come scrisse ella stessa, piangeva
per dei nonnulla, sperimentò un radicale “cambiamento” della sua vita o,
piuttosto, quella che definì la sua «completa conversione».
«In un istante – scrisse – l’opera che non ero riuscita a fare in 10 anni, Gesù la fece
accontentandosi della mia buona volontà».
Era la notte di Natale. Dopo la Messa di mezzanotte, nella quale aveva
“avuto la felicità di ricevere il Dio forte e potente”, «Gesù, il Bambino piccolo e dolce, trasformò la notte dell’anima
mia in torrenti di luce». Ripensando a quel momento, Teresa scrisse:
«In quella notte nella quale Gesù si fece debole e sofferente per
mio amore, Egli mi rese forte e coraggiosa».
Da quella notte Teresa camminò nella via del Signore con più lena e si
sentì più sicura. «Dopo quella notte benedetta –
ricorda –, non sono stata vinta in nessuna battaglia, ma
ho camminato di vittoria in vittoria e ho iniziato, per così dire, una corsa da
gigante».
Ogni anno festeggiava con la più grande devozione il 25 marzo – racconta la
sorella Celina – perché, diceva, «questo è il giorno, nel quale
Gesù, nel seno di Maria, è stato il più piccolo». Ma amava in modo
del tutto particolare il mistero del presepe. È qui che il Bambino Gesù le
rivelò tutti i suoi segreti sulla semplicità e sull’abbandono. Su immaginette
natalizie che lei stessa dipingeva, scriveva con passione questa frase di san
Bernardo: «Gesù, chi ti ha fatto così piccolo? L’amore!».
Il suo nome, Teresa del Bambino Gesù, che scelse
fin dall’età di nove anni, resterà il suo costante programma di vita a cui si
sforzò di restare fedele fino all’epilogo della sua breve vita. Più tardi,
sotto un’immagine di Gesù Bambino scriverà questa frase: «O piccolo Bambino, mio unico tesoro, mi abbandono ai tuoi divini
capricci, non voglio avere altra gioia che quella di farti sorridere. Imprimi
in me le tue grazie e le tue virtù infantili, affinché il giorno della mia
nascita al Cielo, gli angeli e i santi riconoscano nella tua piccola sposa:
Teresa del Bambin Gesù».
È dal Bambino di Betlemme che la piccola Teresa attinse lo spirito
d’infanzia, che era per lei soprattutto spirito d’umiltà e di piccolezza. Non
perdeva occasione nella sua vita quotidiana al Carmelo per esercitarsi in
questa “piccola via” e per istruirvi le altre.
Ecco come la sorella Celina sintetizza questa “via diretta per il Cielo”.
Poiché la Santa si sentiva incapace di percorrere il duro cammino della
perfezione, si sforzò di diventare sempre più piccola, affinché Dio si
prendesse completamente cura delle sue cose, e la prendesse tra le sue braccia,
come succede nelle famiglie per i bambini più piccoli. Voleva essere santa ma
senza diventare grande, poiché, come le piccole malefatte dei bambini non fanno
adirare i genitori, così le imperfezioni delle anime umili non possono
offendere gravemente il buon Dio, e gli errori non saranno imputabili loro come
colpa, secondo le parole della Scrittura: «Ai piccoli si perdona per pietà».
Di conseguenza si guardava bene dal desiderare di sentirsi perfetta e che
gli altri la considerassero come tale, perché sarebbe cresciuta e Dio l’avrebbe
lasciata camminare da sola. «I bambini non lavorano per
farsi una posizione – diceva –; se sono
saggi, lo fanno per far contenti i loro genitori. Allo stesso modo, non occorre
lavorare per diventare santi, ma per fare piacere a Dio». “Forse – diceva a Celina – un padre sgrida il suo bambino quando egli si accusa da se stesso,
o gli infligge un castigo? No davvero, ma se lo stringe al cuore».
E riportava la seguente storia ascoltata da bambina. Un re, in una partita
di caccia, inseguiva un coniglio bianco, che i suoi cani erano sul punto di
raggiungere, quando la bestiola, sentendosi perduta, ritornò indietro
rapidamente e saltò tra le braccia del cacciatore. Costui, commosso da tanta
fiducia, non volle più separasi dal coniglio bianco e non permetteva a nessuno
di toccarlo, riservandosi di nutrirlo. «Così –
commentava Teresa – il Buon Dio farà con noi se,
perseguiti dalla giustizia figurata dai cani, cercheremo scampo nelle braccia
stesse nel nostro Giudice!».
È tutta qui la sapienza della Santa di Lisieux. Essa consiste nel
riconoscere, accettare, perfino amare la propria debolezza, senza tuttavia
sottovalutare la corrispondenza personale. Essa non scusa il peccato ma vuole
che, perdendo ogni illusione su se stessi, non confidando nei propri meriti,
non appoggiandosi sulle proprie forze, l’anima si getti con slancio nell’amore
misericordioso di Dio. La “piccola dottrina” della Santa di Lisieux non fa del
peccato una semplice debolezza e della debolezza quasi una virtù, come spesso
accade ai nostri giorni.
Tutt’altro. Le esigenze ascetiche della perfezione cristiana non subiscono
nella sua “piccola via” alcun alleggerimento: non v’è in essa alcuna ombra di
quietismo. «Occorre – diceva la Santa – fare tutto quello che è in noi, dare senza contare, rinunziare a
sé costantemente, in una parola, provare il nostro amore con tutte le buone
azioni in nostro potere. Ma, in verità, poiché tutto
questo è poca cosa, è necessario confessarci servi inutili dopo aver fatto
tutto quanto credevamo di dover fare, sperando tuttavia che il buon Dio ci darà
per grazia tutto ciò che desideriamo. È quanto sperano le piccole anime che
corrono sulla via dell’infanzia: dico corrono e non si riposano».
Questo atteggiamento di povertà spirituale rende profittevoli anche le cadute.
Scriveva: «I bambini cadono spesso, ma sono troppo piccoli per farsi un gran
male».
Insegnava questa sapienza alle sue consorelle specialmente nel giorno di
Natale quando – sull’esempio della sua Santa Madre – si industriava a scriver
poemetti e ad organizzare pie ricreazioni, come quella nella quale un
immaginario Angelo veniva a chiedere a ciascuna monaca di accogliere al Piccolo
Gesù che, fattosi uomo, ha trovato sulla terra solo freddezza e indifferenza: «Le vostre carezze – cantava il messaggero celeste –, e lodi, e tenerezze, siano per il Bambinello! Bruciate
d’amore, anime accese; ché un Dio s’è fatto mortale per voi. Stupendo mistero:
chi vien mendicando è l’eterno Verbo! Sorelle mie, non temete, avvicinatevi, ed
una ad una offrite a Gesù il vostro amore; saprete la sua santa volontà.
V’insegnerò ciò che più brama il Bambinello in fasce, a voi che, pure come gli
Angeli, avete in più che potete soffrire. Sempre, mai sempre, il vostro patire,
e le gioie, siano per il Bambinello! Ardete d’amore, anime accese; ché un Dio
s’è fatto mortale per voi. Stupendo mistero; chi vien mendicando è il Verbo
eterno!».
Certamente – nota Celina – Teresa avrebbe gustato, se l’avesse conosciuta,
questa preghiera di Bossuet: «Gran Dio… non lasciate giammai
che alcuni spiriti, di cui alcuni si annoverano tra i dotti, altri tra gli
spirituali, possano essere accusati al Vostro terribile tribunale di aver
contribuito in qualche modo a chiuderVi l’accesso in non so quanti cuori,
perché Voi volevate entrarvi in un modo la cui semplicità li urtava […];
piuttosto fate in modo che, diventando tutti piccoli come fanciulli, come Gesù
Cristo comanda, noi possiamo entrare una buona volta per questa piccola porta,
per poterla poi mostrare agli altri con più sicurezza e con più efficacia. Così
sia».
Niente di strano se, alla sua ultima ora, questo grande prelato francese,
che con la sua eloquenza aveva incantato intere platee, abbia pronunciato
queste commoventi parole: «Se potessi ricominciare a
vivere, non vorrei essere che un piccolo fanciullo che dà sempre la mano al
Bambin Gesù».
È la lezione delle due Terese per questo Santo Natale.
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