Nella festa di sant’Agnese, vergine e martire,
rilanciamo questo contributo del prof. Vito Abbruzzi.
|
Seguace di Sebastien Bourdon, Martirio di S. Agnese, XVII sec., collezione privata |
|
Francesco Furini, S. Agnese, XVII sec., collezione privata |
|
Onorio Marinari, S. Agnese, XVII sec., collezione privata |
|
Anonimo, S. Agnese, XVII sec. |
|
Anonimo, Martirio di S. Agnese, XVII sec., collezione privata |
|
Domenichino, Martirio di S. Agnese, 1621-1625, Pinacoteca Nazionale, Bologna |
|
G. Audran, Riproduzione del quadro del Domenichino del Martirio di S. Agnese, XVII sec., collezione privata |
|
Ambito trentino, Martirio di S. Agnese, 1631 circa, Trento |
|
Giovanni Evangelista Draghi, Martirio di S. Agnese, 1690-1710, Piacenza |
|
Bernardo Lorente Germán, S. Agnese, XVIII sec., collezione privata |
|
Giovanni De Min (attrib.), Martirio di S. Agnese, XVIII-XIX sec., Parrocchia di San Vendemiano, S.Vendemiano |
|
Nicolò Traverso, S. Agnese in gloria, 1790 circa, Chiesa di Nostra Signora del Carmine e Sant'Agnese, Genova |
|
Giovanni David (e Carlo Alberto Baratta), S. Agnese rifiuta le nozze col figlio del Prefetto, 1790-1799, Chiesa di Nostra Signora del Carmine e Sant'Agnese, Genova |
|
Giovanni David (e Carlo Alberto Baratta), Tentazione di S. Agnese, 1790-1799, Chiesa di Nostra Signora del Carmine e Sant'Agnese, Genova |
|
Joseph Désiré Court, Martirio di S. Agnese, 1864, Musée des Beaux-Arts, Rouen |
|
Bottega italiana, S. Agnese, 1890-1910, Piacenza |
Il deandreano Dio di misericordia
di Vito Abbruzzi
A giorni il mondo della musica
d’autore ricorderà i cinquant’anni della prematura e tragica scomparsa di Luigi
Tenco: morto suicida alle prime ore del 27 gennaio 1967, profondamente
turbato, dopo la prima serata di Sanremo, per la bocciatura della sua
struggente canzone Ciao amore, ciao.
L’occasione è propizia per
parlare dell’ambivalente rapporto giustizia-misericordia divina: non sempre ben
compreso; anzi, fonte, ultimamente, di non pochi dubbi di carattere
biblico-teologico. E lo facciamo alla luce dell’altrettanto struggente canzone Preghiera
in gennaio: una sorta di commendatio animae composta
e interpretata dal grande Fabrizio De Andrè, per raccomandare al “Dio di
misericordia” il suo amico fraterno Luigi Tenco, pesantemente vilipeso, in
mortem e post mortem, da quelli che sprezzantemente sono
chiamati nella canzone “signori benpensanti”.
Il deandreano “Dio di
Misericordia” non è affatto diverso dal “Dio di giustizia”.
Sembra, infatti, che
l’espressione “Dio di giustizia” si riferisca a un dio spietato, mentre, al
contrario, “Dio di misericordia”, a un dio pietoso. I due concetti non solo non
sono confliggenti, ma sono uno espressione dell’altro, come lo stesso Giovanni
Paolo II ci ricorda nella sua Catechesi su “Giudizio e misericordia:
due dimensioni del mistero di amore”: «A prima vista giudizio e
misericordia sembrerebbero due realtà inconciliabili, o almeno la seconda
sembra integrarsi con la prima solo se questa attutisce la propria forza
inesorabile. Occorre invece capire la logica della Sacra Scrittura, che le lega
assieme e anzi le presenta in modo che l’una non possa esistere senza l’altra»
(udienza gen. 7.7.1999).
Invocare, dunque, il “Dio di
misericordia” – esattamente come fa De Andrè – è affermare la giustizia di Dio,
non diversamente dal Salmista che accoratamente prega: «Fammi giustizia, o Dio,
difendi la mia causa contro gente spietata» (Ps. 42, 1).
Se così non fosse daremmo ragione
a chi, come Moshe Idel, il più noto studioso contemporaneo della mistica
ebraica, autore de Il male primordiale nella Qabbalah. Totalità,
perfezionamento, perfettibilità, pubblicato recentemente da Adelphi (cfr. P.
Citati, Il Dio imperfetto degli ebrei, in Corriere della sera,
15.12.2016), sostiene la tesi di un “Dio imperfetto”, perché
«luce e tenebre, bene e male insieme; misericordia e giudizio, giustizia e
malvagità, paradiso ed inferno; mano destra e mano sinistra» (ivi). Il
dualismo verrebbe attenuato e mitigato, giacché, secondo Idel, «il male abita
Dio»: un fatto che distingue radicalmente il cristianesimo dall’ebraismo: nel
cristianesimo Dio è perfetto, e ignora perfino che qualcuno possa parlare, a
suo proposito, di mancanza; nella Qabbalah, Dio conosce la
mancanza: egli non sarebbe onnipotente né perfetto. Tesi sostenuta anche da
Galimberti quando, parlando del sacro nella cultura ebraica, dice
della «con-fusione (syn-bàllein) che regna […] tra il bene e il male»
(U. Galimberti, Cristianesimo. La religione dal cielo vuoto,
ed. Feltrinelli, Milano 2012, p. 21): «Il sacro è il luogo dell’indifferenziato,
dove il bene e il male, il giusto e l’ingiusto, il benedetto e il maledetto si
con-fondono» (ivi, p. 9).
La confusione, ahinoi!, non è in
Dio, bensì nell’uomo, il quale, nella sua reale imperfezione, non ha capito quanto
«dice il Signore: “I miei pensieri non sono come i vostri e le mie azioni sono
diverse dalle vostre. I miei pensieri e i vostri, il mio modo di agire e il
vostro sono distanti tra loro come il cielo è lontano dalla terra” » (Is. 55,
9).
Ed ecco perché De Andrè si
rivolge direttamente a Dio – a quel “Dio di misericordia” –, chiedendogli
giustizia per il suo amico suicida, accogliendo l’anima di lui nel suo «cielo:
là dove in pieno giorno risplendono le stelle». E chiedendo questo, egli non
forza affatto la mano, dal momento che anche per la Chiesa, che – non
dimentichiamolo! – è «madre e maestra» (Giovanni
XXIII), «non si deve disperare della salvezza eterna delle persone che si sono
date la morte. Dio, attraverso le vie che egli solo conosce, può loro preparare
l’occasione di un salutare pentimento. La Chiesa prega per le persone che hanno
attentato alla loro vita» (Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 2283).
Aveva ragione mia madre: «Gesù
non vuol vedere nessuno disperato».
Nessun commento:
Posta un commento