Testo
dell’intervento tenuto a Brindisi presso l’hotel Virgilio, giovedì 9 marzo 2017
dal dott. Antonio Alò, moderatore della sezione Liturgia della Scuola
Ecclesia Mater.
La liturgia c.d. tradizionale ed i gruppi Summorum Pontificum. Il senso di una presenza
di Antonio Alò
La
Scuola Ecclesia Mater è una realtà regionale e nasce dalla volontà dell’ecclesiologo
e compianto p. Garuti, del canonista p. Jaeger e del teologo don Nicola Bux,
per dare visibilità e attuazione alle scelte di Benedetto XVI in campo
liturgico.
Mi
permetterete di dire che chi aderisce alla Scuola Ecclesia Mater non è
seguace dei fondatori, come qualcuno può pensare, ma vuole essere cooperatore
della Verità, per la cui diffusione non disdegna il dialogo, ma anzi lo cerca:
ad intra e ad extra della Chiesa.
Ad
intra: soprattutto con chi non comprende le ragioni del Motu proprio Summorum
Pontificum cura di Benedetto XVI; ad extra: con chi, pur non essendo
cattolico, è affascinato dal linguaggio del bello della Chiesa.
Il
Beato Schuster scriveva: «Spesso nelle chiese, infatti assistono dei
protestanti, degli ebrei, delle persone senza alcuna religione. L’esperienza
dimostra che un coro ben eseguito, delle funzioni celebrate con ordine, con
maestà e con devota pompa possono fare su quelle anime una profonda impressione».
Contrariamente
a quanto scriveva Schuster, le nostre liturgie appaiono stanche a causa del
sovente abusato minimalismo e, allo stesso tempo, della ricerca di effetti
speciali.
Ed
ecco che la Scuola Ecclesia Mater, operando all’interno del coordinamento delle
Puglie per l’applicazione del Summorum Pontificum e cooperando a livello
nazionale ed internazionale con molti altri gruppi di persone mossi dalle
stesse intenzioni, vuole promuovere, con competenza, la liturgia, la musica
sacra e l’arte sacra.
Essa
nasce dall’incontro, apparentemente casuale, di persone, che non conoscendosi prima,
portavano -e portano!- in cuor loro gli stessi sentimenti di amore e venerazione
per la Liturgia, per la Chiesa, per il Papa; ed in egual misura avvertivano -e
avvertono!- un senso di disagio dinnanzi a liturgie mal celebrate; liturgie
dove viene proprio difficile trovare il Sacro, il Sensum fidei! Liturgie
dove è venuta completamente meno quella devozione che tanto ha alimentato le
anime di coloro che oggi chiamiamo Santi. Ma guai a tirare in ballo la parola
devozione. Subito si vien tacciati di devozionismo! Noi, però, per devozione
intendiamo quell’amore trascendente verso Dio e le sue cose e che a mio parere
non può essere negativo!
Vi
racconto un episodio.
Chi
è di Monopoli conosce la devozione del popolo verso i Ss. Medici, e sa con
quale affluenza vengono festeggiati dalla pietà popolare. Un giovane sacerdote,
guardando la processione, rimase impressionato negativamente per la presenza
eccessiva di popolo e contestava l’uso delle donne di essere scalze.
Non
è questo l’essenziale, ripeté più volte.
È
vero, pensai. Ma gli chiesi: che male produce alle anime andare alla
processione? e quale male produce alle anime di quelle donne scalze?
Non
ricordo se rispose.
Però
ricordo come lo stesso sacerdote elogiava lo zelo dei musulmani che pregano
scalzi!
Senza
considerare che il cerimoniale dei vescovi del 1984, prevede che il vescovo
possa recarsi scalzo all’adorazione della croce che si compie nella liturgia
del Venerdì santo: «Il Signore ordinò a
Mosè: togliti i calzari perché il luogo sul quale tu stai è una terra santa!»
(Esodo 3, 5).
Mosè,
al quale Dio ha scelto di rivelarsi direttamente, ha dovuto togliere i calzari
per potersi avvicinare.
E
noi, nelle liturgie che frequentiamo (luogo dove andiamo per incontrare Dio!)
ci spogliamo dei nostri “calzari”? Ci poniamo, cioè, in atteggiamento di
umiltà? in obbedienza alle norme liturgiche? Ci spogliamo del nostro io davanti
alla maestà di Dio?
Essendo
venuto meno il significato di culto a Dio, è difficile rispondere a queste
domande;
infatti nelle nostre parrocchie si
assiste a liturgie che celebrano non il Mistero ma il gruppo stesso che in quel
momento sta “animando” la Messa. E dunque: a quell’ora c’è la messa dei
bambini, a quell’altra ora c’è la messa dei carismatici, a quell’altra ora
quella dei focolarini, dei neocatecumenali, (ovviamente non rientra nel
ventaglio di possibilità la S. Messa tradizionale!), ecc.: ogni movimento nella
Chiesa vuole una liturgia fatta a misura propria. Poi, ci sono le commissioni
liturgiche che a tavolino scelgono e decidono i canti da eseguirsi, o cosa
presentare all’offertorio: come se non bastasse il rito della Messa già
approvato dalla Chiesa -e che bisognerebbe seguire fedelmente quando si
celebra, così come richiamato più volte da gli ultimi papi- in cui c’è già scritto
cosa bisogna cantare e quali i riti da compiersi, e quali gli atteggiamenti del
corpo che bisogna adottare.
Si!
assistiamo a liturgie costruite, inventate a piacere e gusti nostri!
Questo
avviene perché abbiamo tolto a Dio il diritto di essere adorato come Egli
stesso ha stabilito. Agiamo come se le nostre liturgie sono un fare dell’assemblea,
tanto che siamo preoccupati di compiacerla; al contrario, poco c’importa di
offrire il sacrificio spirituale gradito a Dio.
A
ragione, dunque, l’allora card. Ratzinger parlava delle odierne liturgie come
di danze vuote intorno al vitello d’oro che siamo noi stessi.
Aveva,
inoltre, già confidato: «Sono convinto che la crisi ecclesiale in cui ci
troviamo dipende in gran parte dal crollo della liturgia che talvolta viene
addirittura concepita come se in essa non importa più se c’è Dio e se ci parla
e ci ascolta. Ma se nella liturgia non appare più la comunione della fede, l’unità
universale della Chiesa e della sua storia, il Mistero di Cristo vivente, dov’è
che la chiesa appare ancora nella sua sostanza spirituale? Allora la comunità
celebra se stessa, senza che ne valga la pena».
Il
Concilio Vaticano II, invece, insegna al n. 8 della costituzione sulla liturgia
che: «nella Liturgia terrena noi partecipiamo, pregustandola, a quella celeste
che viene celebrata nella santa città di Gerusalemme verso la quale tendiamo
come pellegrini ...».
Mi
chiedo: tendiamo noi alla Gerusalemme celeste o l’abbiamo abbassata al nostro
livello terreno se non sotterraneo?
Ho
accennato prima al Motu Proprio Summorum pontificum, che voi sicuramente
conoscete. È un atto magisteriale del papa che ripristina, per coloro che lo
richiedono, l’uso della liturgia secondo il messale del 1962 edito da San
Giovanni XXIII, Papa.
O
meglio, liberalizza l’uso del medesimo messale, mai abrogato, ma sottoposto a
legislazione indultizia dal 1973 al 2007: indulti generali o indulti ad personam che concedevano la
celebrazione con il Messale del 1962 a intere nazioni, gruppi di fedeli,
istituti religiosi oppure a singoli sacerdoti.
La
successiva Istruzione applicativa Universae ecclesiae descrive
ottimamente l’interpretazione del Motu proprio. Cioè da le linee guida per la
corretta applicazione.
Ma
vediamo cosa dice il Motu Proprio:
1)
È pienamente lecito celebrare il Sacrificio della Messa secondo l’edizione
tipica del Missale Romanum promulgato da S. Giovanni XXIII e mai
abrogato;
2) Ogni sacerdote non impedito, può celebrare senza
dover chiedere né ottenere il permesso da nessuno, né alla Sede Apostolica né
all’Ordinario;
3) A tali celebrazioni possono essere ammessi i fedeli
che lo chiedessero di loro spontanea volontà.
4) Per i fedeli e i sacerdoti che lo chiedono, il
parroco o il rettore permetta le celebrazioni nella forma straordinaria anche
in circostanze particolari come battesimi, matrimoni, funerali, pellegrinaggi.
5) Se i fedeli non hanno avuto soddisfazione della
loro richiesta, venga informato il vescovo diocesano, il quale è vivamente
pregato di esaudire il loro desiderio!
Concludendo
vorrei soltanto esortare i chierici e i laici i quali si vedessero negati dall’autorità
ecclesiastica i diritti stabiliti dal Motu Proprio e dalla normativa
applicativa, ad usare gli strumenti che il diritto mette loro a disposizione,
tra cui –non ultimo– la competente Pont. Comm. “Ecclesia Dei” che è preposta a
dirimere le questioni inerenti l’antico rito, fra cui il rimuovere ogni
ostacolo che l’autorità ecclesiastica a vari livelli frapponesse alla
realizzazione sul territorio di quanto disposto dal Motu Proprio.
La
Commissione è sollecita e si attiva in base a una segnalazione scritta e
circostanziata.
Come diceva S. Giovanni Paolo II “Non abbiate
paura!”.