Questi soldati di
Sebaste, nell’antica Armenia, martirizzati un 9 o 10 marzo verso il 320, ebbero
un culto celebrato in tutto l’Oriente, in special modo in Cappadocia ed in Siria, dalla fine dello stesso
secolo, come ci testimonia anche Sozomeno (cfr. Sozomeno,
Historia Ecclesiastica, lib. IX, cap. 2, De
inventione reliquiarum sanctorum quadraginta martyrum, in PG 67, col.
1597B-1602B). Furono cantati dai grandi dottori san Basilio (San Basilio Magno, Homilia XIX, In sanctos Quaradraginta martyres, a. 372, in PG 31, col.
507B-526A), san Gregorio di Nissa (San
Gregorio di Nissa, Oratio I in Laudem SS.
Quadraginta Martyrum, in PG 46, col. 749A-756C;
Oratio II, ivi, col. 757A-772B; Oratio Laudatoria In
Quadraginta Martyres dicta in eorum martyrio, ivi, col. 773A-788B), sant’Efrem
Siro (Sant’Efrem il Siro, Hymni in SS. 40 martyres), ma anche san Guadenzio di Brescia (San Gaudenzio di Brescia, Sermo XVII, De diversis capitulis septimus, in PL 20, col.
959B-971B), i quali pronunciarono delle omelie in loro onore.
Di essi si fa menzione, poi, nel
lezionario di Gerusalemme del 415-417 e poi nel Geronimiano.
La Chiesa di Armenia celebra la loro
festa il sabato della IV settimana di Quaresima; il rito siriano il sabato tra
il 7 ed il 14 marzo; il rito bizantino il 9 marzo, che è il giorno dato dalla
loro Passio.
Ottennero, sin dall’Alto
Medioevo, una grande celebrità anche in Occidente.
Il loro culto apparve a Roma nell’XI
sec.: il sacramentario di San Lorenzo in Damaso ed il
calendario dell’Aventino, ma anche il martirologio di San Pietro e di San Ciriaco,
il lezionario di San Gregorio ed il passionario dei Santi Giovanni e Paolo
menzionano questi martiri. Questo culto si è mantenuto da allora. Non sembra
che esso fosse introdotto nella liturgia romana sotto l’influenza germanica,
poiché all’infuori dell’Inghilterra, i calendari nordici non accordano grande interesse
ai Martiri armeni. Poiché sono iscritti nel calendario di Napoli, bisognerebbe
pensare piuttosto ad un’influenza orientale.
In ogni caso, la loro
memoria penetrò nel Messale romano nell’XI sec. grazie alle diverse chiese
medievali, che furono a loro dedicate nella Città eterna e dove assunse una
forma decisamente popolare.
Il più antico luogo di
culto nell’Urbe dedicato agli odierni Martiri fu un oratorio, eretto nel Foro
romano, a sud dell’antica Fonte di Giuturna, nei pressi della Chiesa di Santa Maria Antiqua, verso l’VIII sec. Tale
oratorio conserva ancor oggi – sebbene non più dedicato al culto – sulla parete
di fondo un affresco della metà dell’VIII sec. raffigurante i Santi Martiri a
cui era dedicato (cfr. Ch. Huelsen, Le Chiese di Roma nel medio
evo, Firenze 1927,
p. 426). Nascosto da
molto tempo, l’oratorio riapparve alla luce se non soltanto nel 1900.
Nel XII sec., Callisto
II eresse loro un piccolo oratorio ai piedi del Gianicolo, non lontano dal
titolo trasteverino di Callisto, ed è denominato oggi Chiesa dei
Santi Quaranta Martiri e san Pasquale Baylon (Mariano Armellini,
Le chiese di Roma dal
secolo IV al XIX, Tipografia Vaticana, Roma 18912, p.
663; Ch. Huelsen, op. cit., p. 427). Un’altra
chiesa sotto il loro nome (Sanctorum Quadraginta in Vivariolo), e di cui si sa poco
essendo oggi scomparsa, si elevava presso l’antico Campo Pretoriano: è
menzionata all’epoca di Celestino III e poi ancora in quella di Innocenzo IV (Armellini, op. cit., p. 824; Huelsen, op. cit., p. 427). Più
vicino al centro di Roma, sulla via papale, si elevava il tempio Sanctorum Quadraginta de calcarariis, consacrato oggi alle stigmate di san Francesco
(Sacre Stimmate) (Armellini, op.
cit., p. 492; Huelsen, op.
cit., pp. 425-426) ed, infine, in prossimità dell’anfiteatro Flavio, si
trovava il tempio Sanctorum Quadraginta, titolo cardinalizio
oggi distrutto (Armellini, op.
cit., pp. 139-140; Huelsen, op.
cit., p. 426).
Un altare era loro dedicato nella
basilica del Laterano (cfr. Pierre Jounel, Le Culte des Saints
dans les Basiliques du Latran et du Vatican au douzième siècle, École
Française de Rome, Palais Farnèse, 1977, p. 227), vicino alla tomba di papa Silvestro II, non
lontano dall’entrata nella navata meridionale, ed opposto a quello sant’Antonino
di Apamea nella parte settentrionale che l’Ordo
lateranensis chiama in porticu maioris ecclesiae, benché sia
già all’interno dell’edificio (ibidem, p. 374). I Quaranta soldati di Sebaste (Armenia) e sant’Antonino di Apamea,
perciò, rappresentano i martiri d’Oriente al Laterano.
La messa ha un sapore
assai antico, ma non presenta nulla di originale, poiché essa è composta di
diverse parti di altre feste anteriori. Nel messale tradizionale la messa è con
Rito semidoppio.
L’introito è tratto dal Sal.
34 (33). La natura dei santi martiri, esattamente come la nostra, inorridiva all’idea
di soffrire: per questo, in presenza della prova, alzavano verso il Cielo le
loro grida. Dio li ascoltò, non sottraendoli a questa prova, ma rendendoli
superiori alla tentazione.
La preghiera-colletta è
oggi molto bella, ma è tratta dalla messa dei sette Figli di santa Felicita.
La lettura è identica a
quella dei santi martiri Fabiano e Sebastiano, il 20 gennaio.
Il Graduale, tratto dal
Sal. 133 (132), esalta la costante concordia dei Martiri che sopportano insieme
i tormenti, animati da una stessa fede e da un’identica unzione interiore dello
Spirito Santo.
Il tratto e la lettura
del Vangelo sono dal Comune dei Martiri, come il 20 gennaio.
L’offertorio è tratto
dal Sal. 32 (31) e descrive la gioia celeste che succede al duro martirio.
Il versetto evangelico (Mt
12,50), cantato durante la Comunione, si rivela fuori dal suo posto primitivo,
per il solo fatto che non corrisponde alla lettura del Vangelo del giorno. Appartiene
difatti alla festa dei sette Fratelli martiri, figli di santa Felicita; e poiché
questa festa era anche, a Roma, quella della loro madre, l’antifona della
Comunione fa graziosamente allusione al senso più elevato che Gesù attribuisce
al titolo di fratello, di sorella e di madre, dati a coloro compiono la volontà
del suo Padre celeste.
Nella preghiera finale
si afferma che, in presenza degli insondabili disegni di Dio, l’unico atteggiamento
che convenga all’uomo è l’adorazione nel silenzio e nell’umiltà. Nessuno è
necessario a Dio, e la sua gloria non soffre alcun detrimento anche se
rifiutassimo di cooperarvi. Dio può trarre figli di Abramo anche dalle pietre;
se siamo indocili, il danno è tutto nostro, perché Dio compirà per mezzo di un
altro ciò che si sarebbe degnato di fare per nostra opera. Così fu per i
quaranta Martiri di Sebaste. In cielo, gli angeli avevano preparato quaranta
corone; uno dei confessori della fede svenne nei tormenti ed apostatò; ma fu
sostituito immediatamente da uno dei boia che meritò la quarantesima corona.
Il culto verso i quaranta Martiri di Sebaste era
anticamente molto diffuso in Oriente. Noi possediamo ancora il testo del loro
testamento, che ormai la maggior parte dei critici ritiene autentico e che
merita, di conseguenza, di essere considerato come vero gioiello dell’antica
letteratura cristiana.
I quaranta martiri di Sebaste, X sec. d.C., Museum für Byzantinische Kunst, Bode-Museum, Berlino |
Autore greco sconosciuto, I Santi 40 Martiri di sebaste, 1000 circa, Hermitage, San Pietroburgo |
Santi Quaranta Martiri di Sebaste, XVI sec., Monastero Dionysiou, Monte Athos |
Alessandro Turchi detto l'Orbetto, Martirio dei 40 martir di Sebaste, 1619-20, chiesa di S. Stefano, Verona |
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