«Se riconosciamo la nostra debolezza e chiediamo perdono,
allora la misericordia risanatrice di Dio risplenderà dentro di noi e sarà pure
visibile al di fuori; gli altri avvertiranno in qualche modo, tramite noi, la
bellezza gentile del volto di Cristo». Queste le irenistiche parole di Francesco
con cui si sancisce l’avvicinamento della Chiesa di Roma a quella
d’Inghilterra (non il contrario!), visitando pochi giorni fa la chiesa
anglicana All Saints’ della Capitale (v. qui), ancora una volta sfacciatamente incurante
che, proprio in quel luogo, nel 2010, fu ordinata la prima prete donna italiana
(v. qui).
A dar man
forte alla “debolezza” della teologia bergogliana, l’attuale generale
dei Gesuiti, P. Sosa, che, in una recente intervista, ha svelato l’arcano: la
dottrina non è vincolante; priorità della prassi o “discernimento” (v. qui).
Intervista che ha immediatamente suscitato la ferma reazione dell’insigne
teologo Mons. Antonio Livi, confutando il compagno nonché
amico di Bergoglio, Sosa, che «per la sua assoluta incoerenza logica, non
meriterebbe alcun commento teologico ma solo una risata» (v. qui). Volentieri, nella festa tradizionale
di S. Tommaso d’Aquino, pubblichiamo questo contributo di Franco Parresio.
La crisi del tomismo e
il “pensiero debole” a proposito della emorragia di
religiosi
di Franco Parresio
Sabato 28 gennaio 2017 ,
il vescovo di Roma Francesco, incontrando nella Sala Clementina i
rappresentanti degli istituti di vita consacrata e delle società di vita apostolica,
riuniti in Sessione Plenaria per riflettere sul tema della fedeltà e degli
abbandoni (v. qui),
ha parlato di vera e propria «“emorragia” che indebolisce la vita consacrata e
la vita stessa della Chiesa».
Mettendo da parte, una
volta tanto, il suo solito affettato ottimismo (tutt’uno con l’orfanezza
autoreferenziale del suo pontificato), e ricorrendo all’anacronistico plurale
maiestatico (ben diverso dal deriso camauro indossato da Ratzinger), Bergoglio
ha solennemente ammesso: «Gli abbandoni nella vita consacrata ci preoccupano».
Finalmente se n’è
accorto!
Finalmente si è accorto della
crisi che morde – e forte – la vita della Chiesa!
Ma quel chiedersi, con
fare retorico, «Che cosa è accaduto?», appare, ancora una volta, come il goffo
tentativo autoassolutorio, rifuggendo la scomoda autocritica e puntando il dito
contro altro: altro come «questo che è un cambio di epoca e non solo un’epoca
di cambio, in cui risulta difficile assumere impegni seri e definitivi […],
immersi nella cosiddetta cultura del frammento, del provvisorio, […]
vittime della logica della mondanità, […] di contro-testimonianza”
che “proviene dall’interno della stessa vita consacrata».
È vero quando egli sottolinea
che, «parlando di fedeltà e di abbandoni, dobbiamo dare molta importanza all’accompagnamento.
[…] Non poche vocazioni si perdono per mancanza di validi accompagnatori». Ma è
pur vero che stiamo ora tristemente vedendo e toccando con mano i risultati
della più che mai decantata Chiesa in uscita, i cui risultati
fallimentari fanno pensare, invero, ad una Chiesa in liquidazione.
La verità è che è
cambiata l’ortoprassi e l’ortodossia cattolica!
E le colpe non sono solo
da attribuire alla svolta impressa dal Concilio alla vita della Chiesa!
Il Concilio ha recepito le
istanze moderniste di inizio Novecento, ribaltando il primato del Lógos
sull’Éthos, dell’onestà intellettuale su quella morale: primato
consolidato grazie alla teologia e alla disciplina ecclesiastica del Medioevo.
E a denunciarlo – guarda caso – è un autore in odore di modernismo: Romano
Guardini. Già cento anni fa, ne Lo spirito della liturgia, il filosofo
tedesco di origine italiana così scriveva: «Per esso [il Medioevo] il Lógos
aveva il primato sull’Éthos. […] L’età moderna portò a questo riguardo
una profonda mutazione. […] Così la vita attiva venne anteponendosi a quella
contemplativa, la volontà alla conoscenza. […] Da qui viene anche che
istituzioni spirituali come gli antichi ordini contemplativi, […] oggetto di
predilezione per tutto il mondo credente, ora non trovano spesso comprensione
neppure presso cattolici, e debbono essere di continuo difese dai loro amici
dalla taccia di ozioso perditempo. […] Un accentuato attivismo domina tutto; l’Éthos
ha la preminenza sul Lógos, l’aspetto attivo su quello contemplativo.
[…] Che atteggiamento tiene la religione cattolica di fronte a questo sviluppo?
[…] Questa spiccata preminenza della volontà sulla conoscenza, dell’Éthos
sul Lógos, contraddice allo spirito del cattolicesimo. Il
protestantesimo […] rappresenta l’espressione più o meno religioso-cristiana di
questo spirito; e con pieno diritto Kant è detto il suo filosofo. Questo
spirito ha progressivamente sacrificato la salda verità religiosa, e ha fatto
della convinzione religiosa, sempre più di giorno in giorno, un mero oggetto
del giudizio, del sentimento, dell’esperienza personale. La verità scivolò così
dal dominio dell’oggettivamente saldo a quello del soggettivamente fluttuante.
[…] Non […] più una “vera fede”, bensì solo un’esperienza della fede del tutto
personale, […] non più un contenuto di fede professabile e insegnabile, bensì
la dimostrazione della rettitudine dello spirito mediante la rettitudine dell’azione.
[…] Il credente si era radicato non più nell’eternità, ma nel tempo. […] In tal
modo la religione prese un orientamento sempre più mondano (weltfreudig).
Essa divenne sempre più la consacrazione dell’esistenza umana temporale nei
suoi aspetti più vari, una santificazione dell’attività terrena: del lavoro
professionale, della vita sociale, della famiglia e simili. Ma chiunque abbia
considerato per un certo tempo queste cose, rileva quanto inadeguata sia questa
spiritualità, quanto contraddica alle leggi supreme dell’esistenza e dell’anima.
Essa è falsa e perciò innaturale nel più profondo significato di questa parola.
Qui sta la fonte specifica dell’angustia dell’età nostra. […] La religione cattolica
si oppone con tutta la sua forza a questa mentalità. La Chiesa perdona ogni
altra mancanza più facilmente che un attentato alla verità. Essa sa bene che,
se uno manca ma non intacca la verità, egli può ritrovarsi e riprendersi» (pp.
100-106).
Se Guardini riscrivesse
oggi il suo libro noterebbe che la religione cattolica, ahimè!, non solo non si
oppone più a questa mentalità, ma la giustifica; si pensi, ad esempio alla questione
che sta dividendo i cattolici sull’apertura della Chiesa circa la comunione ai
divorziati risposati. «Senza un serio ripensamento e una rinnovata prassi della
[…] iniziazione cristiana, che attualmente nella maggioranza dei casi ha come
esito non l’aggregazione, ma il congedo dalla Chiesa, è illusorio voler
rimediare ai problemi del matrimonio e della famiglia cristiani, applicando
magari delle toppe apparentemente “nuove” sul tessuto già molto invecchiato
della cultura familiare attuale. Fa impressione constatare come si accendano i
toni intorno alla questione dei fallimenti matrimoniali e alle strategie
pastorali da seguire, mentre invece si assiste alla catastrofe del battesimo e
della iniziazione cristiana con una specie di assuefatta indifferenza! Ma non c’è
troppo da sorprendersi. Ciò non è che la ovvia conseguenza […] di una cultura
che è stata abbondantemente assimilata anche dalla teologia» (G. Meiattini OSB, Innanzitutto figli.
Nascere, sposarsi, generare, ed. La Scala, Noci 2015, p. 18).
Esattamente la
sopradetta cultura del frammento, del provvisorio, della logica
della mondanità, di cui è portavoce il “pensiero debole”
predicato da Gianni Vattimo: «un tipo particolare di sapere caratterizzato dal
profondo ripensamento di tutte le nozioni che erano servite da fondamento alla
civiltà occidentale in ogni campo della cultura. Secondo questa prospettiva i
valori tradizionali sarebbero diventati tali solo a causa di precise condizioni
storiche che oggi non sussistono più; per questo motivo deve essere messa in
crisi la loro pretesa di verità. A fondamento del pensiero debole c’è l’idea
che il pensiero non è in grado di conoscere l’essere e quindi non può neppure
individuare valori oggettivi e validi per tutti gli uomini» (v. qui).
Di qui l’odierna debolezza
della teologia sacramentaria, in modo particolare quella riguardante l’Ordine
Sacro, messo sensibilmente in crisi da una mentalità, tutta ecclesiale, che lo
ha ripensato come mezzo “per consacrare il mondo”; per cui viene spontaneo
chiedersi: «Il sacerdozio: un dono dall’alto o un incarico sociologico?» (cfr. Con
i Sacramenti non si scherza. Intervista a don Nicola Bux, in questo
Blog, 29.1.2017).
Non c’è da stupirsi se poi anche quel “bravo ragazzo con laurea universitaria, che lavorava in parrocchia”, a cui fa riferimento Francesco nel suo discorso, sia andato dal suo vescovo e gli abbia detto: «Io voglio diventare prete, ma per dieci anni». Evidentemente il suo discernimento vocazionale lo aveva fatto ascoltando quella famosissima canzonetta sentimental-religiosa, in cui il chiamato viene pateticamente gasato con la prospettiva di divenire «sacerdote dell’umanità» (v. canto del gruppo Gen Rosso Servo per amore), assurgendo a una sorta di supereroe all’interno delle comunità in cui dovrà svolgere il proprio ministero presbiterale… fino a che gli altri glielo faranno credere …
Non c’è da stupirsi se poi anche quel “bravo ragazzo con laurea universitaria, che lavorava in parrocchia”, a cui fa riferimento Francesco nel suo discorso, sia andato dal suo vescovo e gli abbia detto: «Io voglio diventare prete, ma per dieci anni». Evidentemente il suo discernimento vocazionale lo aveva fatto ascoltando quella famosissima canzonetta sentimental-religiosa, in cui il chiamato viene pateticamente gasato con la prospettiva di divenire «sacerdote dell’umanità» (v. canto del gruppo Gen Rosso Servo per amore), assurgendo a una sorta di supereroe all’interno delle comunità in cui dovrà svolgere il proprio ministero presbiterale… fino a che gli altri glielo faranno credere …
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