domenica 26 marzo 2017

La liturgia c.d. tradizionale ed i gruppi Summorum Pontificum. Il senso di una presenza

Testo dell’intervento tenuto a Brindisi presso l’hotel Virgilio, giovedì 9 marzo 2017 dal dott. Antonio Alò, moderatore della sezione Liturgia della Scuola Ecclesia Mater.

La liturgia c.d. tradizionale ed i gruppi Summorum Pontificum. Il senso di una presenza

di Antonio Alò

La Scuola Ecclesia Mater è una realtà regionale e nasce dalla volontà dell’ecclesiologo e compianto p. Garuti, del canonista p. Jaeger e del teologo don Nicola Bux, per dare visibilità e attuazione alle scelte di Benedetto XVI in campo liturgico.
Mi permetterete di dire che chi aderisce alla Scuola Ecclesia Mater non è seguace dei fondatori, come qualcuno può pensare, ma vuole essere cooperatore della Verità, per la cui diffusione non disdegna il dialogo, ma anzi lo cerca: ad intra e ad extra della Chiesa.
Ad intra: soprattutto con chi non comprende le ragioni del Motu proprio Summorum Pontificum cura di Benedetto XVI; ad extra: con chi, pur non essendo cattolico, è affascinato dal linguaggio del bello della Chiesa.
Il Beato Schuster scriveva: «Spesso nelle chiese, infatti assistono dei protestanti, degli ebrei, delle persone senza alcuna religione. L’esperienza dimostra che un coro ben eseguito, delle funzioni celebrate con ordine, con maestà e con devota pompa possono fare su quelle anime una profonda impressione».
Contrariamente a quanto scriveva Schuster, le nostre liturgie appaiono stanche a causa del sovente abusato minimalismo e, allo stesso tempo, della ricerca di effetti speciali.
Ed ecco che la Scuola Ecclesia Mater, operando all’interno del coordinamento delle Puglie per l’applicazione del Summorum Pontificum e cooperando a livello nazionale ed internazionale con molti altri gruppi di persone mossi dalle stesse intenzioni, vuole promuovere, con competenza, la liturgia, la musica sacra e l’arte sacra.
Essa nasce dall’incontro, apparentemente casuale, di persone, che non conoscendosi prima, portavano -e portano!- in cuor loro gli stessi sentimenti di amore e venerazione per la Liturgia, per la Chiesa, per il Papa; ed in egual misura avvertivano -e avvertono!- un senso di disagio dinnanzi a liturgie mal celebrate; liturgie dove viene proprio difficile trovare il Sacro, il Sensum fidei! Liturgie dove è venuta completamente meno quella devozione che tanto ha alimentato le anime di coloro che oggi chiamiamo Santi. Ma guai a tirare in ballo la parola devozione. Subito si vien tacciati di devozionismo! Noi, però, per devozione intendiamo quell’amore trascendente verso Dio e le sue cose e che a mio parere non può essere negativo!
Vi racconto un episodio.
Chi è di Monopoli conosce la devozione del popolo verso i Ss. Medici, e sa con quale affluenza vengono festeggiati dalla pietà popolare. Un giovane sacerdote, guardando la processione, rimase impressionato negativamente per la presenza eccessiva di popolo e contestava l’uso delle donne di essere scalze.
Non è questo l’essenziale, ripeté più volte.
È vero, pensai. Ma gli chiesi: che male produce alle anime andare alla processione? e quale male produce alle anime di quelle donne scalze?
Non ricordo se rispose.
Però ricordo come lo stesso sacerdote elogiava lo zelo dei musulmani che pregano scalzi!
Senza considerare che il cerimoniale dei vescovi del 1984, prevede che il vescovo possa recarsi scalzo all’adorazione della croce che si compie nella liturgia del Venerdì santo: «Il Signore ordinò a Mosè: togliti i calzari perché il luogo sul quale tu stai è una terra santa!» (Esodo 3, 5).
Mosè, al quale Dio ha scelto di rivelarsi direttamente, ha dovuto togliere i calzari per potersi avvicinare.
E noi, nelle liturgie che frequentiamo (luogo dove andiamo per incontrare Dio!) ci spogliamo dei nostri “calzari”? Ci poniamo, cioè, in atteggiamento di umiltà? in obbedienza alle norme liturgiche? Ci spogliamo del nostro io davanti alla maestà di Dio?
Essendo venuto meno il significato di culto a Dio, è difficile rispondere a queste domande; infatti nelle nostre parrocchie si assiste a liturgie che celebrano non il Mistero ma il gruppo stesso che in quel momento sta “animando” la Messa. E dunque: a quell’ora c’è la messa dei bambini, a quell’altra ora c’è la messa dei carismatici, a quell’altra ora quella dei focolarini, dei neocatecumenali, (ovviamente non rientra nel ventaglio di possibilità la S. Messa tradizionale!), ecc.: ogni movimento nella Chiesa vuole una liturgia fatta a misura propria. Poi, ci sono le commissioni liturgiche che a tavolino scelgono e decidono i canti da eseguirsi, o cosa presentare all’offertorio: come se non bastasse il rito della Messa già approvato dalla Chiesa -e che bisognerebbe seguire fedelmente quando si celebra, così come richiamato più volte da gli ultimi papi- in cui c’è già scritto cosa bisogna cantare e quali i riti da compiersi, e quali gli atteggiamenti del corpo che bisogna adottare.
Si! assistiamo a liturgie costruite, inventate a piacere e gusti nostri!
Questo avviene perché abbiamo tolto a Dio il diritto di essere adorato come Egli stesso ha stabilito. Agiamo come se le nostre liturgie sono un fare dell’assemblea, tanto che siamo preoccupati di compiacerla; al contrario, poco c’importa di offrire il sacrificio spirituale gradito a Dio.
A ragione, dunque, l’allora card. Ratzinger parlava delle odierne liturgie come di danze vuote intorno al vitello d’oro che siamo noi stessi.
Aveva, inoltre, già confidato: «Sono convinto che la crisi ecclesiale in cui ci troviamo dipende in gran parte dal crollo della liturgia che talvolta viene addirittura concepita come se in essa non importa più se c’è Dio e se ci parla e ci ascolta. Ma se nella liturgia non appare più la comunione della fede, l’unità universale della Chiesa e della sua storia, il Mistero di Cristo vivente, dov’è che la chiesa appare ancora nella sua sostanza spirituale? Allora la comunità celebra se stessa, senza che ne valga la pena».
Il Concilio Vaticano II, invece, insegna al n. 8 della costituzione sulla liturgia che: «nella Liturgia terrena noi partecipiamo, pregustandola, a quella celeste che viene celebrata nella santa città di Gerusalemme verso la quale tendiamo come pellegrini ...».
Mi chiedo: tendiamo noi alla Gerusalemme celeste o l’abbiamo abbassata al nostro livello terreno se non sotterraneo?
Ho accennato prima al Motu Proprio Summorum pontificum, che voi sicuramente conoscete. È un atto magisteriale del papa che ripristina, per coloro che lo richiedono, l’uso della liturgia secondo il messale del 1962 edito da San Giovanni XXIII, Papa.
O meglio, liberalizza l’uso del medesimo messale, mai abrogato, ma sottoposto a legislazione indultizia dal 1973 al 2007: indulti generali o indulti ad personam che concedevano la celebrazione con il Messale del 1962 a intere nazioni, gruppi di fedeli, istituti religiosi oppure a singoli sacerdoti.
La successiva Istruzione applicativa Universae ecclesiae descrive ottimamente l’interpretazione del Motu proprio. Cioè da le linee guida per la corretta applicazione.
Ma vediamo cosa dice il Motu Proprio:
1) È pienamente lecito celebrare il Sacrificio della Messa secondo l’edizione tipica del Missale Romanum promulgato da S. Giovanni XXIII e mai abrogato;
2) Ogni sacerdote non impedito, può celebrare senza dover chiedere né ottenere il permesso da nessuno, né alla Sede Apostolica né all’Ordinario;
3) A tali celebrazioni possono essere ammessi i fedeli che lo chiedessero di loro spontanea volontà.
4) Per i fedeli e i sacerdoti che lo chiedono, il parroco o il rettore permetta le celebrazioni nella forma straordinaria anche in circostanze particolari come battesimi, matrimoni, funerali, pellegrinaggi.
5) Se i fedeli non hanno avuto soddisfazione della loro richiesta, venga informato il vescovo diocesano, il quale è vivamente pregato di esaudire il loro desiderio!
Concludendo vorrei soltanto esortare i chierici e i laici i quali si vedessero negati dall’autorità ecclesiastica i diritti stabiliti dal Motu Proprio e dalla normativa applicativa, ad usare gli strumenti che il diritto mette loro a disposizione, tra cui –non ultimo– la competente Pont. Comm. “Ecclesia Dei” che è preposta a dirimere le questioni inerenti l’antico rito, fra cui il rimuovere ogni ostacolo che l’autorità ecclesiastica a vari livelli frapponesse alla realizzazione sul territorio di quanto disposto dal Motu Proprio.
La Commissione è sollecita e si attiva in base a una segnalazione scritta e circostanziata.
Come diceva S. Giovanni Paolo II “Non abbiate paura!”.

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