Nella festa dell’Annunciazione,
rilanciamo questo contributo sulla città di Nazaret, dove tutto ebbe inizio.
Ambito lombardo, Maria riceve l'annuncio dell'Angelo, 1890-1910, Vigevano |
Ambito milanese, Annunciazione, 1830 circa, Bergamo |
Bottega abruzzese, Annunciazione, 1840 circa, L'Aquila |
Gaetano Guadagnini, Annunciazione ispirata al Guercino, 1850, Bologna |
Giovanni Battista Epis, Annunciazione, 1852, Bergamo |
Michelangelo Grigoletti, Annunciazione, 1857, Trento |
Antonio Guadagnini, Annunciazione, 1860, Bergamo |
Luigi Galizzi, Annunciazione, 1880 circa, Bergamo |
A. Riedmuller - Andreas Wolfgang Brennhaeuser, Annunciazione, 1880 circa, Sabina |
Lorenzo Bianchini, Annunciazione, 1890, Udine |
Luigi Morgari, Annunciazione, 1890-1910, Alba |
Nazareth. La
fiorita di Galilea
di Carlo Codega
Nonostante
caratteristiche di svantaggio, ad una vista puramente umana, Nazareth è stata
scelta da Dio per germogliare il Fiore della Redenzione: il Verbo Incarnato.
Essa ospita ancora parte della Casetta della Madonna, quella scavata nella
roccia, custodita all’interno della celebre Basilica.
A chiunque per la prima volta
muova i suoi passi in Terra Santa non può sfuggire l’enorme differenza che
separa i tradizionali villaggi arabi, con il loro dedalo di stradine disordinate
e case monofamiliari, dai moderni insediamenti ebraici, con i loro grandi
edifici plurifamiliari in un contesto urbanistico perfettamente razionale e
ordinato. È chiaro che i villaggi arabi, ben più che gli insediamenti ebraici,
rappresentano quella tradizione semitica palestinese che più ci può riportare
vicini all’epoca di Gesù, soprattutto nelle piccole borgate non toccate dagli
interventi razionalizzanti ellenistici e romani. Stradine piccole, contorte e
polverose; case irregolari e, a volte, improvvisate, addossate l’una all’altra
in maniera claustrofobica; suk e mercatini disordinati con importuni venditori
chiassosi e petulanti, sono l’ambiente tipico, che ci riporta alla mente una
specie di ginepraio, un roveto che porta tutti i segni al contempo di
un’umanità spontanea ma anche del disordine delle passioni e dei sentimenti
umani, originato dal peccato originale.
La fiorita di Galilea
Ancora oggi il centro storico di
Nazareth, seppur pesantemente rivisto da interventi nel corso della storia, in
particolar modo nell’ultimo secolo, porta un po’ i segni di questa mentalità,
soprattutto nello spazio che si estende dalla Basilica dell’Annunciazione alla
Fontana della Vergine. Un roveto vero e proprio, roveto di strade e di
abitazioni, ginepraio d’attività umane, in mezzo al quale però, come una rosa
tra le spine, è fiorito il fiore della Redenzione, il Verbo Incarnato. Non a
caso il significato letterale di Nazareth, in ebraico, è proprio quello di
“fiorita” – come già ricordava san Girolamo –, nome stranamente bello e
delicato per designare un ammasso di case a ridosso della roccia, quasi delle
“topaie” (come le definisce il Roschini), in un borgo di nessuna importanza, al
di fuori delle principali linee commerciali della piana di Esdrelon. Proprio di
questo villaggio, infatti, l’apostolo Natanaele avrebbe affermato: “Può mai
venire qualcosa di buono da Nazareth”! Eppure il singolare corso delle vicende
volle che il nome di questo villaggio, del tutto inadatto da una visuale umana,
divenne quanto mai opportuno nel momento in cui il Figlio di Dio prese la sua
natura mortale proprio lì, scegliendolo poi anche per viverci, per il qual
motivo Egli sarebbe divenuto, nella sua vita pubblica, il “Nazareno” per
eccellenza.
Proprio qui, probabilmente poco dopo i dodici anni di età di Maria Santissima,
quando ebbe terminato il periodo di servizio al Tempio di Gerusalemme, la
Provvidenza divina spinse la famiglia di Maria Santissima ad abitare. Per
quanto nata a Gerusalemme, Maria era figlia di un nazaretano di nome
Gioacchino: questi era della tribù di Giuda e aveva possedimenti a Gerusalemme,
ma era nato a Nazareth probabilmente a causa della politica di ripopolamento
della Galilea, che aveva portato la sua famiglia giudea a spostarsi in Galilea.
La Galilea da secoli infatti, come ci ricorda la storia biblica, era spopolata,
soprattutto di popolazione di sangue ebreo, in quanto aveva dovuto subire
l’esilio e la deportazione dei suoi abitanti ebraici sin dal 721 a.C., dopo la
distruzione del Regno del Nord da parte di Salmanassar. Il singolare corso
della Provvidenza fece incontrare pertanto proprio qui, nella lontana Galilea,
la Vergine Maria col suo castissimo sposo san Giuseppe, anch’egli proveniente
dalla Giudea (dalla cittadina di Betlemme) e proprio qui i due giovani, uniti
da un santo e segreto proposito, decisero di unirsi in un Matrimonio
perfettamente casto. Quest’unione perfettamente casta nelle intenzioni divenne,
nel misterioso e onnipotente progetto di Dio, la più feconda nella
realizzazione: mentre trascorreva il tempo che separava la prima parte della
celebrazione del matrimonio ebraico – quando la promessa di amore non
comportava ancora l’abitazione in comune – dalla seconda – quando si sarebbe
attuata la vera e propria coabitazione – ecco che la Vergine Maria sbocciò,
come fiore ai primi raggi della primavera (al 25 marzo la tradizione fissa il
concepimento di Gesù). Un Angelo la visitò assorta in meditazione profondissima
nella sua casa e, proprio mentre domandava a Dio che si affrettasse il tempo
della realizzazione della sua promessa con l’invio di un Messia che avrebbe
liberato l’umanità afflitta dal peccato, ecco che l’inviato di Dio le svelò che
proprio Lei era la pianta prescelta per fiorire in una gravidanza miracolosa e
per germinare il frutto più maturo del piano provvidenziale di Dio: il Verbo
Incarnato. Svelando un mistero fino ad allora solo preannunciato oscuramente,
il Messia promesso non sarebbe stato altro che lo stesso Figlio di Dio,
cosicché Maria divenne da quel momento la “Madre di Dio”. È il punto di svolta
della storia umana: dalla promessa si passa al compimento, dall’attesa alla venuta,
dalla figura alla realtà.
La Casa della Madonna
Il punto zero della storia
dell’umanità va dunque situato nella povera casa di un’umile Fanciulla ebrea,
un’abitazione che, come tutte le case di Nazareth, non aveva nulla di confortevole
e di ricercato, bensì nella quale la ristrettezza eguagliava la scomodità. Come
gli scavi archeologici hanno dimostrato, le case del piccolo villaggio di
Galilea non erano altro che un piccolo ambiente a tre pareti addossato ad una
roccia che veniva scavata, per ricavarne altre stanze. Come è ben noto a
Nazareth della Casa della Madonna è rimasta solo la parte scavata nella roccia,
in quanto, la parte in muratura (ovvero le tre pareti) si trova ora nelle
Marche, a Loreto, venerata da folle di pellegrini desiderose di venerare quelle
mura che hanno ascoltato il solenne “Verbum caro factum est”.
Come è successa questa singolare
traslazione che ha privato la Terra Santa di una reliquia tanto preziosa?
L’abitazione della Vergine – luogo dell’Incarnazione di Dio – era stata gelosamente
custodita da secoli prima da una chiesa-sinagoga, poi da una Basilica bizantina
del V secolo e infine dalla grandiosa Basilica crociata, che però nel 1263
venne distrutta dal sultano Baybars. Nel 1291 anche l’ultima presenza crociata
in Terra Santa, la fortezza marina di san Giovanni d’Acri, cadeva davanti
all’assedio islamico così che anche la Regina di Terra Santa, Maria Santissima,
decise che era giunta l’ora di togliere una così preziosa perla dalle grinfie
dei violenti e profanatori sultani selgiuchidi: nello stesso 1291 con un
miracolo inusitato la Santa Casa prese il volo, sostenuta e guidata da uno
stuolo di Angeli, per andare a posarsi nei Balcani prima (Tersatto) e nelle
Marche, poi, seguendo così il ritorno in Europa dei valorosi crociati che da
duecento anni combattevano sfortunatamente, versando il loro sangue per
riconquistare la Terra di Gesù. A Nazareth restò così la grotta annessa alla
casa, ben presto segnalata da una piccola e discreta cappella, che rimase
comunque meta di pellegrinaggi.
Dobbiamo proprio ai pellegrini che nel corso dei secoli hanno visitato questo
luogo, lasciandovi scritte e incisioni devote, la facilità con cui da sempre si
poté identificare l’abitazione della Madonna: tra le incisioni spicca soprattutto
l’antico “Chaire Maria”, ovvero il saluto angelico (Ave Maria) in lingua greca,
tracciato proprio sulla grotta adiacente a quella venerata, come a voler
perpetuare e ripetere con la propria presenza quella visita angelica che non
aveva dato al mondo solo qualche grazia, bensì la fonte stessa delle grazie,
Gesù Cristo. Solo nel 1620 i Francescani di Terra Santa poterono tornare in
possesso del luogo e quasi un secolo dopo ottennero il permesso di ricostruirvi
una chiesa con una singolare concessione: i Francescani avrebbero dovuto pagare
un viaggio dell’emiro e, durante la sua assenza, avrebbero dovuto iniziare e
terminare la costruzione del luogo di culto. Nonostante quest’umiliante
condizione, una piccola chiesetta poté da quel momento custodire il luogo tanto
venerato.
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