Questa festa fu
introdotta nella liturgia romana nel 1890 e coincide con quel primo periodo del
pontificato di Leone XIII in cui la questione dell’Oriente gli fu
particolarmente cara. Se gli sforzi del Papa non ebbero tutto il successo che
egli poteva sperare, questo non fu certo errore di zelo da parte della Chiesa
cattolica, che allora, come oggi d’altronde, apre le sue braccia materne per
accogliere i figli diseredati d’Oriente, indeboliti da uno scisma quasi
millenario ed avviliti inoltre dalla loro servitù sotto la Mezzaluna.
Sebbene la messa sia
stata composta con grande attenzione e rivela tuttavia il suo carattere moderno
con delle reminiscenze storiche accentuate.
Ciò che ha dovuto
colpire il redattore della Messa è l’episodio, molto incerto, del braccio
tagliato al santo ed il suo contributo dato in difesa delle immagini dei santi.
Il ruolo eminente
rivestito da Giovanni Damasceno nella storia dalla teologia cattolica, la sua
influenza sulla formazione dello stesso sistema scolastico, e soprattutto il
fatto che egli chiuse, presso i greci, l’età patristica al punto che tutte le
generazioni bizantine che seguirono dopo lui non furono più capaci di portare
alcun rilevante contributo all’edificio teologico, del resto così ammirevole,
da lui innalzato, tutto ciò non sembra avere influito sullo spirito del
redattore della Messa di questo giorno.
Il secondo Concilio di
Nicea, nel 787, tessé i più grandi elogi a questo monaco gerosolimitano della
laura di Mar Sabbas, e
l’esaltò come il più valoroso campione dell’ortodossia contro gli errori degli
Iconoclasti. Lo si chiamava comunemente Χρυσορρόας, Chrysorrhoas, e
già nell’813 Teofane attesta che Giovanni portava questo titolo onorifico per
la sua grazia spirituale, risplendente come l’oro, che sboccia nella sua
dottrina e nella sua vita.
I Greci celebrano la
sua festa il 4 dicembre, ma il nome del Chrysorrhoas di San Saba ricorre molto spesso in
testa ai loro inni liturgici poiché le splendide composizioni di san Giovanni
Damasceno giunsero sino al punto di far dimenticare quelle di Romano il Melode,
pur esse magnifiche.
La lettura
del libro della Sapienza (Sap. 10, 10-17) rivela una scelta molto felice.
Questo testo parla di Giuseppe e di Mosè e della convinzione che Dio non li
abbandonò nella prigione e nell’esilio, ma li colmò di una tale sapienza che si
resero terribili persino ai re. Tale passo ben si applica oggi a san Giovanni
Damasceno, che ebbe molto a soffrire delle calunnie degli eretici ai tempi di
Costantino V Copronimo, figlio di Leone III l’Isaurico. Questo sovrano cambiò
per derisione il nome arabo di Giovanni, Mansur,
in quello di Mánzêros, che
significa «bastardo». Il conciliabolo iconosclasta riunito a Costantinopoli nel
754 riversò il suo furore contro il Santo maledicendolo con una quadruplice
maledizione ed anatemizzandolo, così come il patriarca Germano di
Costantinopoli ed un certo Giorgio di Cipro: la Trinità stermini questa triade
(cfr. Conciliabulum Constantinopolitanum,
in J. D. Mansi, Sacrorum Conciliorum. Nova et amplissima collectio, vol. XII, Florentiæ 1766, col. 575 ss.).
Il Graduale rievoca
con insistenza il ricordo del braccio tagliato al quale l’Introito faceva già
allusione.
Al braccio tagliato a
san Giovanni è ugualmente ispirato il brano evangelico in cui si racconta la
guarigione di un uomo dalla mano inaridita (Lc 6, 6-11). Simbolicamente questo
miracolo significa l’impotenza delle sole forze naturali per fare il bene e la
necessità della grazia divina. Così è condannata l’eresia pelagiana che
pretendeva che la natura umana decaduta può arrivare da se stessa alla via
soprannaturale della grazia e, nell’altro mondo, alla gloria. – Non io,
dichiarava l’Apostolo, ma la grazia divina ha operato in me.
Nell’antifona sulle
offerte ritorna il pensiero al braccio amputato e miracolosamente restituito a
san Giovanni, con l’immagine dell’albero tagliato che riacquista il suo vigore
ed i suoi rami gemmati più abbondantemente.
La secreta vuole
introdurre in maniera un po’ forzata il ricordo dell’opera di Giovanni nella
controversa sulle immagini: ne risulta una composizione un po’ affettata,
sebbene lo stile non sia del tutto privo di eleganza.
Il ricordo del braccio
tagliato torna nell’antifona di Comunione. È bene qui menzionare un bel
pensiero di san Giovanni Chrysorrhoas sull’indipendenza della Chiesa dinanzi al
potere civile che, all’epoca, come oggi in Oriente, esercitava l’autorità sulle
chiese dette autocefale: Ad imperatores spectat recta
reipublicae administratio: Ecclesiae regimen, ad pastores et doctores. Ejusmodi
invasio latrocinium est, fratres. Cum Samuelis pallium scidisset Saul, quid ei
contigit? Regnum ipsius abscidit Deus (San
Giovanni Damasceno, Oratio II,
Adversus eos qui Sacras Imagines abjiciunt, in PG 96, col. 1295D).
Il Cristianesimo non
condanna la scienza, ma l’orgoglio, perché questo impedisce l’accesso alla
verità. I sapienti sono molto utili alla Chiesa, soprattutto quando uniscono
alla dottrina un’eminente santità di vita, poiché così non soltanto essi
possono camminare sui sentieri della vita, ma col loro esempio edificante
possono attrarre un gran numero di anime. Il santo monaco della laura di San
Saba a Gerusalemme, sulla terra, non occupò alcun posto sublime né fu vescovo
né capo. E pertanto, poiché amò la verità e la predicò con animo invincibile,
meritò il titolo di vero Chrysorrhoas, ultimo dottore della Chiesa d’Oriente,
fiamma che dové risplendere solo nella triste notte dello scisma che già
all’epoca si profilava.
Ambito veneto, S. Giovanni Damasceno, 1688, Padova |
Ambito veneto, Visione di S. Giovanni Damasceno, 1698, Padova |
Giovanni Gasparro, S. Giovanni Damasceno e la SS. Vergine Tricherusa, 2015, collezione privata |
Giovanni Gasparro, Studio per la testa di S. Giovanni Damasceno, 2015, collezione privata |
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