venerdì 14 aprile 2017

Croce brachiale, un universo simbolico che educa il fedele alla vita sacramentale

Rilanciamo un articolo de LNBQ.

Croce brachiale, un universo simbolico che educa il fedele alla vita sacramentale

di Gloria Riva

Anonimo tedesco Artista attivo nella Westfalia inizi del 15° secolo. Dittico con i simboli della Vergine e di Cristo Redentore: Cristo con la croce come Redemptor Mundi (pannello di destra) c.1410 28,5 x 18,5 cm Museo Thyssen-Bornemisza, Madrid

Un anonimo artista, attivo in Westfalia nei primi decenni del 1400 realizza un dittico di straordinaria bellezza simbolica. Uno dei dipinti celebra la verginità della Madonna, mediante l’iconografia dell’Hortus Conclusus, l’altro invece illustra il fatto della Redenzione che rompe con gli antichi schemi e inaugura una nuova economia di salvezza, nella quale protagonista è ancora la Vergine Maria.

Temi e simboli oggi contro corrente ma che nella cornice di un anno eminentemente mariano, come il 2017, in cui ricorre il centenario delle apparizioni della Vergine a Fatima, tornano alla ribalta e andrebbero messi in evidenza. 

La rara iconografia della croce brachiale, ci illustra la profondità della redenzione, i suoi simboli e i suoi atti salvifici. La croce è detta brachiale o vivente perché dalle estremità di essa spuntano mani operose che indicano ciò che la morte e la risurrezione di Cristo hanno introdotto nella storia. Cristo infatti, è appeso alla croce e, benché sia evidente la ferita del costato e quindi la sopraggiunta morte del divino Condannato, ha gli occhi aperti e una carne bianchissima, indici di risurrezione. Si tratta di una mirabile fusione fra il Christus passus e il Christus Triumphans, cioè tra il Cristo della Passione e quello glorioso della Risurrezione.

Le quattro mani mostrano i modi di lettura dell’opera. In alto, una mano rivolta verso il Cielo, tiene le chiavi della Gerusalemme celeste (quelle consegnate a Pietro). Sul lato destro una mano regge una spada e decreta la fine dell’antica economia fatta di sacrifici, la quale non riusciva a spezzare le catene dell’antico male, cioè del peccato originale.

Nella parte bassa del dipinto, dalla radice del terreno, spunta una terza mano, la quale, impugnando il martello, percuote il nemico numero uno dell’uomo cioè la morte. L’ultima mano a sinistra è benedicente e testimonia la potenza salvifica della nuova economia di salvezza instaurata da Cristo.

La luce viene da destra e illumina anzitutto scene dell’antico testamento: l’altare del Sacrificio, non più necessario perché un altro Sacrificio è stato instaurato. Il vessillo dei poteri di questo mondo, spezzato dal potere sovrano che Cristo ha rivelato con la sua Risurrezione. Adamo ed Eva, in alto, e il teschio con il serpente e la mela in bocca, sospeso tra le foglie di acanto, raccontano - invece - la sconfitta ultima e definitiva del peccato dell’origine. Un uomo bendato, emblema del Primo testamento, rimane inattivo di fronte all’altare del sacrificio, perché reso inutile dal Sacrificio con la S maiuscola che fu quello di Cristo sulla croce.

Dall’altro lato, Gesù si china verso la Madre che regge un vessillo (riferimento al canto della tradizione antica Vexilla regis) e regge un calice. Maria è la corredentrice e indica a noi i mezzi della salvezza eterna: la croce (il vessillo) e l’Eucaristia. Quest’ultima è il sacramento che, dopo l’incorporazione avvenuta con il Battesimo, ci Cristifica, ci rende cioè Presenza di Cristo nel mondo. In alto infatti, sul braccio orizzontale della croce Maria regge davanti al Papa la Comunione eucaristica: si  tratta delle due dimensioni della Chiesa, quella mariana e quella petrina, sostenute dal Sacramento per eccellenza che è appunto l’Eucaristia. Ai piedi di Maria, l’altro polo della dimensione petrina che è la Parola. Solo l’Agnello è in grado di aprire i sigilli e di leggerla. Solo il Magistero che mantiene la comunione con Cristo mediante Pietro e i Sacramenti è in grado di interpretare rettamente la Parola.

Nel girale di acanto (altro simbolo di risurrezione) risplende, opposta al serpente, la Chiesa Sposa di Cristo, della quale Maria è la personificazione. Un universo simbolico, dunque, che educava i credenti alla vita sacramentale e ai capisaldi della fede cattolica. Simboli che lumeggiano aspetti oggi adombrati da una teologia riformista la quale però non sempre riesce a fare i conti con il ricchissimo corpus di rimandi vetero-testamentari che i medievali avevano invece sempre ben presenti e vivi.

Sorprendente, per la concezione teologica che il Medioevo aveva rispetto alla donna, è la sottolineatura di Maria che mostra, potremmo dire in-segna, al Papa il Mistero Eucaristico. Ella che fu il primo ostensorio dell’umanità, secondo questa bella tavola tedesca, è l’unica da invocare perché si possa tornare a una comprensione piena e totale del Mistero centrale della nostra Fede: il Dio con noi presente per antonomasia nel Sacramento dell’Altare.

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