Nel Venerdì Santo, rilanciamo questo contributo.
Mattheus Borrekens, Ecce homo, XVII sec. |
Ambito di Antonio Pereda, Cristo, uomo dei dolori, XVII sec., collezione privata |
Anonimo, Cristo uomo dei dolori o Ecce homo, XVII sec., collezione privata |
Il Processo di Cristo e il processo della Chiesa
di Cristiana
de Magistris
Antonio Ciseri, Ecce homo, 1871, collezione privata |
Nel Tempo di
Passione, che abbraccia le due settimane che precedono la Pasqua, la Chiesa
contempla in lutto i dolorosi avvenimenti che segnarono l’ultimo anno della
vita del Redentore del mondo (Settimana di Passione) e l’ultima settimana della
Sua vita mortale (Settimana Santa).
Con l’avvicinarsi del
Venerdì Santo, la voce di dolore della Chiesa diviene più vibrante e commossa,
e tra breve essa farà sentire i suoi lamenti inconsolabili per la morte del suo
divino Sposo. «Il Cielo della Santa Chiesa si oscura sempre più», scrive
dom Guéranger. Il Redentore divino, fattosi uomo per amore dell’uomo, sta per
espiare l’umano peccato sostituendosi ai suoi fratelli colpevoli. Egli si
riveste dei nostri peccati, dice il Profeta, come di un mantello, e si fa peccatore
per noi per poterlo portare nella sua carne sulla croce e distruggerlo con la
sua morte (cf 1 Pt 2,24).
Nell’Orto degli
Ulivi, tutti i peccati commessi dall’umanità colpevole, dagli albori del mondo
fino alla consumazione dei secoli, affluiscono come flutti melmosi nell’anima
purissima del Salvatore del mondo, che diviene così «il ricettacolo di tutto
il fango umano e il rifiuto della creazione» (Mons. Gay). Il Padre deve
allora trattarlo come maledetto, poiché è scritto: «Sia maledetto chiunque è
appeso al legno» (Gal 3,11). Per la nostra salvezza bisognava
davvero che Gesù fosse appeso al legno della Croce, affinché la vita ci fosse
resa dal legno che ci aveva dato la morte, e che colui che in un albero aveva
trionfato, da un albero – a sua volta – fosse vinto (Prefazio della Croce).
La Sacra Liturgia
nota che, «poiché i nostri progenitori erano stati ingannati da satana, bisognava
che uno stratagemma divino sventasse l’artificio del serpente». S. Bernardo
lo spiega dicendo che «poiché Gesù non aveva che l’apparenza del peccato, fu
appunto quest’apparenza a mascherare la trappola in cui satana cadde». E S.
Agostino: «Per un giusto permesso di Dio, Lucifero perdette il diritto di
morte che aveva sui peccatori il giorno in cui egli fu abbastanza temerario da
usarlo contro il Giusto». Si tratta di una lotta senza precedenti e senza
pari tra il principe della morte e il Dio della vita, ma «immolandosi Cristo
trionfa» e – col più grande dei divini paradossi – morendo ci dona la vita.
Nella Domenica delle
Palme, Egli avanza come un conquistatore, circondato di onori dalla folla che
acclama: «Osanna al Figlio di David, benedetto colui che viene nel nome del
Signore, il Re d’Israele». Ma dopo una gloria passeggera e fugace, il
Figlio dell’uomo è sottoposto ad un infamante e menzognero processo. Condannato
al peggiore dei supplizi, voluto non solo per ucciderLo, ma anche per
cancellarne la memoria, Egli sale sulla croce, trono prezioso che il suo Sangue
«orna della porpora regale».
L’oracolo di Davide
si è compiuto: ¥Dio ha regnato dal legno», che da oggetto di ignominia è
divenuto il vessillo del re e la nostra sola speranza in questo tempo di
Passione. «Noi ci prostriamo davanti alla Croce, poiché è per essa che è
venuta la gioia in tutto il mondo» (Liturgia). E per dimostrare che è solo
in questa prospettiva salvifica che la Chiesa guarda ed adora la Santa Croce,
gli artisti cristiani di un tempo cambiavano la corona di spine in una corona
araldica e reale.
La Sacra Liturgia,
rovesciando – con il suo linguaggio e suoi simboli – la nostra umana
comprensione, non fa che riflettere il sapiente e misterioso disegno di Dio il
Quale, nonostante le astuzie degli uomini e gli ostacoli più insormontabili da
essi posti, si realizza inesorabilmente nella sua pienezza. Anzi, trionfando
dell’umana bassezza, esso rifulge più glorioso, poiché Dio, nella Sua
provvidenza, calcola anticipatamente ogni minuto ostacolo che gli uomini
possono frapporre ai Suoi divini disegni.
Ecco perché il Salmo
canta: «Insorgono i re della terra e i principi congiurano insieme contro il
Signore e contro il suo Messia: Se ne ride chi abita i cieli, li schernisce
dall’alto il Signore» (2, 2-9). Dio non solo irride le astute tattiche e i
perversi ragionamenti umani, ma li ribalta con sovrana sapienza, facendoli
servire ai Suoi imperscrutabili fini. E, difatti, nel corso della vita del
Salvatore, mentre gli Scribi e i Farisei avevano tentato di distruggerLo e
coprirLo di ignominia, non compresero che, con l’ignominia di cui volevano ricoprirlo,
preparavano il Suo più grande trionfo.
Il Salvatore del
mondo fu condannato dai Giudei per un meschino opportunismo politico verso
l’autorità romana, ma – mai come allora – fecero di Pilato, che quella autorità
rappresentava, un misero zimbello nelle loro mani. E lui, che di quel processo
infamante pretendeva vigliaccamente di lavarsi le mani, è da 2000 anni
ricordato da tutti i cristiani ogni volta che si recita il Credo. I Giudei
simularono di condannare Gesù per difendere la loro nazione, e proclamarono solennemente
di non avere altro re all’infuori di Cesare.
Essi «Finsero di
temere le sedizioni popolari, e vi ricorsero quando vollero che il popolo
condannasse Gesù alla morte di croce. Finsero di condannare Gesù per amore alla
verità, e ricorsero alle false testimonianze; finsero di ucciderlo per amore
della Legge, e violarono la Legge» (D. Ruotolo). Frutto di un processo
menzognero, anche il Calvario si presentò come una menzogna. «Il Redentore
vi apparve come uomo, ed era Dio, vi apparve come reo, ed era la santità
stessa, vi apparve come maledetto, ed era la benedizione del genere umano»
(ivi).
Più precisamente,
Egli – facendosi maledizione per noi – appese alla croce il chirografo della
nostra condanna. Fu in questa apparenza di menzogna che l’uomo ottenne la benedizione
e la salvezza. Il Redentore fu coperto di sangue, e la Madre sua fu ai suoi
piedi per presentarlo, così sfigurato, al Padre. «Quel sangue sembrava
orrore di pena, ed era amore, quelle spine sembravano obbrobrio, ed erano una
corona regale, quei chiodi sembravano il sanguinoso vincolo della libertà, ed
erano il definitivo affrancamento dalla schiavitù». «Tutto era, ci si
perdoni la frase, una menzogna divina, perché in questa divina finzione la
benedizione cadde sul Re d’amore per noi, e Maria Immacolata fu la Madre della
benedetta umanità rigenerata» (ivi).
Il Tempo di Passione
non è un semplice ricordo storico di questi avvenimenti riferentesi alla
persona di Gesù; esso è una realtà per tutto il Corpo mistico. Il dramma del
Golgota si estende a tutta la Chiesa che, con Cristo suo capo, rivive la
Passione del suo Signore. Il Processo infamante di Gesù nostro Signore non è
terminato. Pascal diceva giustamente che Gesù è in agonia fino alla fine del
mondo.
Ma, in realtà, tutti
i misteri della vita del Signore continuano e continueranno fino alla consumazione
dei secoli nella sua Chiesa. Anche il Suo processo. Ora come allora assistiamo
alla defezione degli apostoli, al tradimento di Pietro, alle menzogne create
per distruggere il Suo Corpo e, se fosse possibile, cancellarlo dalla memoria
del mondo. Il processo di Gesù fu una farsa e una menzogna, ma una “menzogna
divina” perché non sfuggì all’ordine delle cose voluto da Dio.
Nessun dettaglio
della Passione del Redentore, come della Sua vita, sfuggì alla divina economia
della Sua misteriosa provvidenza. Così avviene per la Sua Chiesa. Se essa, nella
sua componente umana, è prona al mondo e alle sue sirene, se il Sinedrio modernista
la vende per trenta denari, se Pietro la tradisce e gli apostoli fuggono impauriti
davanti ad un vergognoso e infame processo mondano, rimane tuttavia un piccolo
gregge attorno alla Vergine Santissima che, ai piedi della Croce, impietrita
dal dolore, contempla, ora come allora, non la morte del Figlio ma la salvezza
del mondo.
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