venerdì 30 giugno 2017
sabato 24 giugno 2017
In pellegrinaggio nei luoghi di San Giovanni Battista (parte 1)
Siamo in piena crisi di fede: intervista a don Nicola Bux
Nella festa della Natività del Precursore S. Giovanni Battista, rilanciamo
volentieri la traduzione italiana della recente intervista di don Nicola Bux
rilasciata al vaticanista Edward Pentin e pubblicata in inglese il 21 giugno
scorso.
Bottega italiana, Natività del Battista, XVII sec., Viterbo |
Bottega italiana, Natività del Battista, XVIII sec., Viterbo |
Giuseppe Tori, Natività del Battista, XVIII sec., La Spezia |
Giuseppe Varotti, Natività del Battista, 1760 circa, Bologna |
Luigi Molineris, Natività del Battista, 1866, Saluzzo |
Luigi Fontana, Natività del Battista, 1886-88, Basilica Santuario Maria SS. del Suffragio, Grotte di Castro |
Siamo in piena crisi di fede: intervista a don Nicola Bux
Pubblichiamo l’intervista di Edward Pentin a don
Nicola Bux apparsa ieri, 21 giugno, sul National Catholic Register (qui l’originale in lingua inglese).
(Edward Pentin) Quali
implicazioni ha l’”anarchia dottrinale” sulla Chiesa e, ancora di più, sulle anime
dei fedeli e dei sacerdoti?
La prima implicazione
dell’anarchia dottrinale sulla Chiesa, è la divisione, a causa dall’apostasia,
che è l’abbandono del pensiero cattolico, così definito da san Vincenzo di Lerins: quod
semper, quod ubique, quod ab omnibus creditur (il credo professato
sempre, dovunque e da tutti). Sant’Ireneo di Lione, che definisce Gesù Cristo
‘maestro dell’unità’, aveva fatto notare agli eretici, che tutti professano le
stesse cose, ma non tutti le intendono alla stessa maniera. Ecco la funzione
del Magistero, fondato sulla verità di Cristo: ricondurre tutti all’unità
cattolica. San Paolo esortava i cristiani a essere concordi e unanimi nel
parlare: che direbbe oggi?
Quando i Cardinali
tacciono o accusano i confratelli; quando i Vescovi che avevano pensato,
parlato e scritto – scripta manent! – in modo cattolico, per
qualsiasi motivo, dicono il contrario; quando i sacerdoti contestano la
tradizione liturgica della Chiesa, si configura l’apostasia, il distacco dal pensiero
cattolico. Paolo VI aveva previsto che «questo pensiero non cattolico
all’interno del cattolicesimo diventi domani il più forte. Ma esso non
rappresenterà mai il pensiero della Chiesa. Bisogna che sussista un piccolo
gregge, per quanto piccolo esso sia» (Conversazione con J. Guitton,
9.IX.1977).
Quale implicazione, poi, ha l’“anarchia dottrinale” sulle anime dei fedeli e degli ecclesiastici?
L’Apostolo esorta
a essere fedeli alla dottrina sicura, sana e pura: quella fondata su Gesù
Cristo e non sulle opinioni mondane (cfr Tito 1,7-11; 2,1- 8). La perseveranza
nell’insegnare e nell’obbedire alla dottrina, guida le anime alla salvezza
eterna. La Chiesa non può cambiare la fede e ad un tempo chiedere ai credenti
di rimanere fedeli ad essa. Essa è invece intimamente obbligata verso la parola
di Dio e verso la Tradizione.
Dunque, la Chiesa
ricordi la sentenza del Signore: «E’ per un giudizio che io sono venuto in
questo mondo, perché coloro che non vedono, vedano e quelli che vedono,
diventino ciechi» (Gv 9,40). Non dimentichi che, quando è applaudita dal
mondo, vuol dire che gli appartiene. Infatti, il mondo ama ciò che è suo e odia
ciò che non gli appartiene (cfr Gv 15,18). La Chiesa cattolica ricordi sempre
di essere formata soltanto da quanti si sono convertiti a Cristo, sotto la
guida dello Spirito Santo; tutti gli esseri umani le sono ordinati
(cfr Lg 13), ma non ne fanno parte finché non si convertono.
Come si può risolvere
al meglio il problema?
Il punto è: che idea
ha il Papa del ministero petrino, come descritto in Lumen gentium 18 e
codificato nel diritto canonico? Di fronte alla confusione e all’apostasia, il
Papa dovrebbe operare la distinzione – come fece Benedetto XVI – tra quello che
pensa e ha detto come dottore privato, e quello che deve dire come Papa della
Chiesa cattolica.
Sia chiaro: il Papa
può esprimere sue idee, come dottore privato, sulle materie opinabili e che non
sono definite dalla Chiesa, ma, nemmeno come dottore privato, può fare affermazioni
eretiche. Altrimenti sarebbe egualmente eretico. Ritengo che il Papa sappia,
che ogni fedele – il quale conosca la regula fidei o dogma,
che fornisce a ciascuno il criterio per sapere qual è la fede della Chiesa, che
cosa ognuno deve credere e a chi deve dare ascolto – può accorgersi se lui parla
e opera in modo cattolico, oppure sia andato contro il sensus
fidei della Chiesa. Anche un solo fedele potrebbe chiedergliene conto.
Quindi, chi ritiene,
che esporre dubbi al Papa non sia segno di obbedienza, non ha compreso, dopo 50
anni dal Vaticano II, il rapporto che intercorre tra lui e tutta la Chiesa.
L’obbedienza al Papa, dipende unicamente dal fatto che questi è vincolato alla
dottrina cattolica, alla fede che egli continuamente deve professare davanti
alla Chiesa.
Siamo in piena crisi
di fede! Pertanto, per fermare la divisione in atto, il Papa – come Paolo
VI nel 1967, dinanzi alle teorie erronee che circolavano subito dopo la
conclusione del concilio – dovrebbe fare una Dichiarazione o Professione di
fede, con la quale affermi ciò che è cattolico e corregga quelle parole e
quegli atti, suoi e dei vescovi, ambigui o erronei, che sono interpretati in
senso non cattolico.
Sarebbe altrimenti
grottesco che, mentre si cerca l’unità con i cristiani non cattolici o
addirittura l’intesa con i non cristiani, si favorisse l’apostasia e la
divisione all’interno della Chiesa cattolica. Per molti cattolici, è
incredibile che il Papa chieda ai vescovi di dialogare con quanti la pensano
diversamente, ma non voglia confrontarsi innanzitutto con i Cardinali
che sono i suoi primi consiglieri.
Se il Papa non
custodisce la dottrina, non può imporre la disciplina. Come ricordava Giovanni
Paolo II, il Papa deve sempre convertirsi, per poter confermare i suoi
fratelli, secondo le parole di Cristo a Pietro: Et tu autem conversus,
confirma fratres tuos.
venerdì 23 giugno 2017
Il Sacro Cuore di Gesù pulsa per la nostra salvezza
Nella festa del Sacro Cuore, rilanciamo quest’articolo di Cristina
Siccardi.
Felice Boscarato, Sacro Cuore con i SS. Francesco di Sales, Margherita M. Alacoque e Giovanna de Chantal, 1790-1810, Venezia |
Ambito veneto, Apparizione del sacro Cuore a S. Margherita M. Alacoque, 1840 circa, Verona |
Antonio Allevi, Sacro Cuore, XIX sec., Macerata |
Luigi Galizzi, Sacro Cuore, 1873-75, Bergamo |
Antonio Guadagnini, Sacro Cuore, XIX sec., Bergamo |
Antonio Guadagnini, Sacro Cuore, 1887, Bergamo |
Ambito lombardo, Apparizione del Sacro Cuore a S. Margherita M. Alacoque, 1890-1910, Bergamo |
Raffaele Gagliardi, Sacro Cuore e S. Margherita M. Alacoque, 1920, Chieti |
Giuseppe Cassioli, Sacro Cuore in trono tra le SS. Margherita M. Alacoque e Gertrude, 1925, Bologna |
Il Sacro Cuore di Gesù pulsa per la nostra salvezza
di Cristina
Siccardi
Che cos’è il tempo
per Dio e per la Sua Chiesa? Un mezzo. E come tale deve essere considerato
anche dai credenti in Cristo. Non sappiamo per quanto tempo permarranno gli scandali
dottrinali e morali in cui si trova la Chiesa contemporanea, la certezza sta
nel sapere che la Sposa di Cristo tornerà un giorno a risplendere di fronte a
tutti e i Sacri Cuori di Gesù e di Maria trionferanno all’unisono. Il tempo è
un mezzo al servizio della Verità e un mezzo di prova per chi professa la Fede.
Per esempio sono passati ben duecento anni prima di giungere alla piena
devozione del Sacro Cuore di Gesù, che si festeggerà il 23 di questo mese.
La pubblicazione
della Vie abrégée (Vita breve) di santa Margherita-Maria
Alacoque (1647-1690) di Padre Croiset fu messa all’Indice e quella di Monsignor
Languet nel 1729 suscitò reazioni sarcastiche. Disprezzo e scherni colpirono i
centri di devozione dove i seguaci della santa di Paray-le-Monial resistettero:
gli eretici giansenisti, gli ingegni eletti e perfino i vescovi si opposero con
sdegno ai sostenitori di quella che essi chiamavano beffardamente «teologia
muscolare».
Critiche più moderate
emersero nello stesso Ordine della Visitazione a cui apparteneva la mistica
nata a Verosvres (Charolais), in quanto diffidente nei confronti di un culto
nuovo e non istituito dai fondatori, i santi Francesco di Sales e Giovanna
Francesca Frémiot de Chantal. Alcuni erano poi compiaciuti nel poter suggerire
che dietro un tale culto si nascondessero i Gesuiti.
Nonostante tutto ciò
la devozione proseguì il suo lento corso, sviluppandosi in modo graduale
attraverso le immagini, i libri, le prediche, gli altari consacrati, i
santuari, le confraternite. Dieci anni dopo la morte di santa Margherita-Maria
Alacoque, tutti i conventi della Visitazione in Francia, a Friburgo, a Napoli,
a Vienna e in Polonia, avevano introdotto la devozione al Sacro Cuore di Gesù e
la confraternita di Digione contava 13.000 membri in tutta Europa. Nel 1697 la
Sacra Congregazione dei Riti di Roma dovette emettere un decreto con il quale
si accordava «ai monasteri della Visitazione la messa delle cinque piaghe
per la festa del Sacro Cuore».
Fu un evento tragico
ad accelerare la diffusione popolare del culto. Nel 1720 un’epidemia di peste
colpì Marsiglia. Il Vescovo del luogo, Monsignor de Belsunce, spinto dalla visitandina
Anne-Madeleine de Rémusat, decise di organizzare una solenne processione per la
riparazione dei peccati nelle strade della città e di dedicare l’intera diocesi
al Sacro Cuore di Gesù. Anche l’anno dopo venne celebrata questa festa a cui il
popolo assistette in lacrime… e il flagello ebbe termine.
Ma la peste
ricomparve nel 1722. Questa volta le stesse autorità cittadine fecero un voto
solenne per celebrare il Sacro Cuore e di nuovo l’epidemia cessò, fu così che
la devozione si propagò per tutto il Sud della Francia.Verso la metà del XVIII
secolo si contavano più di mille congregazioni dedicate al Sacro Cuore di Gesù,
mentre crescevano di anno in anno i pellegrini nel convento visitandino dove la
mistica Alacoque aveva avuto le apparizioni di Cristo e del Suo Cuore.
Tuttavia Roma
continuava a conservare dubbi, nonostante le suppliche provenienti dal Re della
Polonia e dal Re di Spagna. Da che cosa era dettata la reticenza delle alte
gerarchie della Chiesa?Dal rispetto umano, lo stesso che ai nostri
giorni continua a far dimenticare il rispetto per Dio, infatti la parola «cuore»
creava timori e perplessità per il rischio di scontentare i filosofi del tempo.
Gli schernitori dei sentimenti di Cristo nei confronti dei figli di Dio
mettevano in soggezione molti alti prelati, così come accade ora, e ora come
allora oltre ai filosofi pure i preti si fanno beffe della devozione
all’ardente Cuore di Cristo, ma «paziente e misericordioso è il Signore, /
lento all’ira e ricco di grazia […] Il Signore è vicino a quanti lo invocano,/
a quanti lo cercano con cuore sincero./ Appaga il desiderio di quelli che lo temono,
/ ascolta il loro grido e li salva. / Il Signore protegge quanti lo amano, / ma
disperde tutti gli empi» (Salmo 144).
Amare con tutto il
cuore il Cuore incarnato del Figlio di Dio significa vivere autenticamente
la Fede e non solo assaporarla con l’intelletto, così come fece un’altra
visitandina, Madre Luisa Margherita Claret de la Touche (1868-1915), che lascia
testimonianza sublime del suo amore per il Sacro Cuore nel dipinto custodito
nella chiesa di Betania del Sacro Cuore a Vische Canavese (TO).
Nel 1902, in una
interiore ispirazione, la monaca avvertì la presenza di Gesù che le impresse
nell’anima lo splendore del suo volto, nonché l’abbozzo di quelle riflessioni
che divennero una vera e propria dottrina sistematica nel suo libro Il
Sacro Cuore e il Sacerdozio.
Nel mese di novembre
sua mamma andò a trovarla perché preoccupata degli accadimenti legislativi della
Francia liberale ai danni della Chiesa e chiese alla figlia, dal talento artistico,
un quadro del Sacro Cuore di Gesù. Ottenuto il permesso dalla Superiora, suor
Luisa Margherita si mise all’opera, traducendo iconograficamente (nella foto
qui sopra) ciò che lei aveva misticamente visto alcuni mesi prima.
Dopo l’emigrazione
della Visitazione di Romans, dove il suo Ordine era perseguitato dalle autorità
francesi, Madre Luisa Margherita con la postulante Margherita Reynaud si
stabilì a Vische per dare inizio a una nuova fondazione (19 marzo 1914). Al
fine di adornare la povera cappella, occorreva un quadro del Sacro Cuore. Fu
così che il dipinto donato anni prima giunse a Vische, dove si trova tuttora.
L’opera riconduce
alla genuina Arte sacra cattolica, sia nei suoi connotati pittorici, che
dottrinali. Il volto di Cristo richiama quello sindonico. Gli occhi paiono
scrutare in profondità chi lo guarda. Attorno al sacro capo c’è una duplice
aureola: una formata da una corona di spine, l’altra ornata da tre gigli con la
scritta Misericordiam volo. Cristo è dolce e maestoso allo stesso
tempo. Egli appoggia la mano sinistra sul torace: il pollice sul Cuore, mentre
l’indice sfiora il lembo della tunica aperta (a forma di cuore) sulla piaga del
costato. Gesù si manifesta quindi come il compimento della profezia di
Zaccaria: «Guarderanno a colui che hanno trafitto» (Gv 19,
37). È la ferita del costato che qui rivela l’Amore infinito del Cuore di
Cristo, diventando sorgente di Misericordia.
La raffigurazione
richiama la maestà del Sommo Sacerdote, del Pontefice eterno, del Tempio
vivente, del divino sacrificatore di se stesso: dal suo costato continua a
stillare sangue – così come dalla piaga della mano – sull’umanità e in particolare
sui sacerdoti, «le onde vivificanti dell’Amore Infinito» per usare una
definizione della pittrice consacrata e autrice di mirabili pagine a difesa
della santa identità sacerdotale, scritti più attuali che mai.
Nel 1765 la Santa
Sede permise ad alcune diocesi in Polonia e in Spagna la celebrazione della
festa del Sacro Cuore. Dovettero però trascorrere cento anni ancora prima che
il culto assumesse una dimensione nazionale in Francia e quindi internazionale,
simboleggiato dalla costruzione della Basilica di Montmartre a Parigi. Le
cerimonie che qui si svolgevano rendono bene lo spirito che ispira realmente
questa devozione: una lunghissima processione illuminata da fiaccole e da inni
sacri terminava ai piedi dell’altare della Basilica, dove erano deposti
pentimento e riparazione per i peccati.
Atteggiamenti di
pietà che, a fronte di un’apostasia di impressionanti dimensioni, tornano oggi,
sia pubblicamente che nel nascondimento, ad essere praticati a consolazione del
Sacro Cuore di Gesù, che continua a pulsare ardentemente per noi e per la nostra
salvezza. Nonché per la riaffermazione della Verità in seno alla Chiesa. Quando
avverrà?… È solo questione di tempo.
giovedì 22 giugno 2017
Il significato profondo della festa del Corpus Domini
Nell’Ottava
della festa del Corpus Domini e nella memoria di S. Paolino da Nola, rilanciamo
questo contributo di Corrispondenza romana.
Jan van Kessel, Il secondo sacramento, XVII sec. |
Jan van Kessel, Eucaristia in ghirlanda di fiori, XVII sec. |
Alexander Coosemans, Allegoria dell'Eucaristia, 1641 |
Abraham Bloemaert, I quattro Padri della Chiesa latina ed il SS. Sacramento, 1632, Museum Catharijneconvent, Utrecht |
Ambito piemontese, Madonna con Bambino con S. Paolino di Nola, XVIII sec., Alba |
Ambito italiano, S. Paolino di Nola, protettore di Senigallia, 1740-60, Senigallia |
Il significato profondo della festa del Corpus Domini
di Cristina
Siccardi
La festa del Corpus
Domini è alle porte, ma quanti ancora comprendono in profondità questo
sublime miracolo d’amore?
Ogni vita sulla
terra, per continuare ad esistere, ha necessità di essere alimentata,
altrimenti perisce. L’uomo, essendo creatura con un anima razionale, ha pure
bisogno di nutrimento sia intellettivo, che spirituale; ha bisogno
dell’alimentazione della fede, della speranza, della carità (amore); ma il
Salvatore gli ha anche offerto un cibo ancora più divino: se stesso in forma
eucaristica. San Tommaso d’Aquino spiega in questi termini il Mistero
eucaristico: «L’effetto che produsse nel mondo la passione di Cristo,
questo Sacramento lo produce in ciascuno di noi. Come il cibo materiale
sostiene la vita corporea, l’accresce, la ristora, ed è gradevole al
gusto, l’Eucaristia produce nell’anima simili effetti» (IIIª,
9, 79, a. 1).
«Caro mea vere est
cibus, et sánguis meus vere est potus: qui mandúcat meam carnem, et bibi tmeum
sánguinem, in me manet, et ego in eo» (Gv 6, 56-57), ovvero «La
mia carne è veramente cibo, e il mio sangue è veramente bevanda: chi mangia la
mia carne e beve il mio sangue, rimane in me e io in lui». Più chiaro di
così se non ci si nutre della Santa Ostia non può avvenire l’inabitazione
reciproca.
La storia della
Chiesa è una continua lotta fra errori e verità, fra sacrilegi e trionfo del
divino. Durante il periodo delle guerre di religione in Francia e anche oltre
(1540-1600), la processione del Corpus Domini fu oggetto di
feroce ostilità da parte degli ugonotti (i calvinisti francesi). Essi, come
d’altra parte i luterani, negano la transustanziazione. Ecco che le processioni
del Corpus Domini diventavano pretesti di pesanti
provocazioni, profanazioni, blasfemie.
La festa liturgica
affonda le sue radici nella Gallia belgica, che san Francesco definiva «amica
Corporis Domini», grazie alle rivelazioni dell’agostiniana e mistica Beata
Giuliana di Retìne, che nel 1208 ebbe un’estasi: vide il disco lunare risplendente
di candida luce, deformato però da una linea in ombra. Si trattava della
rappresentazione simbolica della Chiesa, alla quale mancava una solennità in
onore della Santa Ostia. Alla monaca, nello stesso anno, apparve Cristo, che le
chiese di impegnarsi affinché venisse istituita la festa del Santissimo
Sacramento al fine di ravvivare la fede dei fedeli e di espiare i peccati
commessi contro l’Eucaristia.
Nominata priora del
convento di Mont Cornillon di Liegi, chiese consiglio ai maggiori teologi ed
ecclesiastici del tempo, interpellando anche l’arcidiacono di Liegi, Jacques Pantaléon,
futuro papa Urbano IV, e il Vescovo di Liegi, Roberto de Thourotte. Fu così che
nel 1246 quest’ultimo convocò un concilio, ordinando, a partire dall’anno
successivo, la celebrazione della festa del Corpus Domini. Con la
bolla Transiturus dell’11 agosto 1264, da Orvieto, dove aveva
stabilito la residenza della corte pontificia, Urbano IV estese la solennità a
tutta la Chiesa.
A convincere il
Pontefice nello scrivere la bolla fu il celebre Miracolo eucaristico di
Bolsena, che si verificò un anno prima, quando un sacerdote boemo, in
pellegrinaggio verso Roma, si fermò a celebrare la Santa Messa proprio a Bolsena,
nel viterbese; nel momento preciso in cui spezzò l’Ostia consacrata, egli fu
pervaso dal dubbio che essa contenesse veramente il Corpo di Cristo. Fu allora
che dal Sacro Pane uscirono alcune gocce di sangue, le quali macchiarono sia il
corporale di lino, attualmente conservato nel Duomo di Orvieto, sia alcune
pietre dell’altare, custodite in preziose teche nella Basilica di Santa
Cristina.
Da allora si sono
verificati moltissimi Miracoli eucaristici riconosciuti dalla Chiesa, che
possono essere visionati, uno ad uno, grazie allo straordinario sito http://www.miracolieucaristici.org/.
Autore di questo splendido studio storiografico ed iconografico è il Servo di
Dio Carlo Acutis, nato a Londra il 3 maggio 1991 e morto a 15 anni, il 12
ottobre 2006, a causa di una leucemia fulminante.
È sepolto nella nuda
terra ad Assisi, la città di san Francesco che più di altre ha amato e nella
quale tornava periodicamente per ritemprare lo spirito. «Tutti nasciamo come
degli originali, ma molti muoiono come fotocopie», ha lasciato scritto fra
i suoi appunti. A 12 anni aveva iniziato a comunicarsi quotidianamente e non
finiva il suo giorno senza la recita del Santo Rosario e l’adorazione
eucaristica, convinto com’era che quando «ci si mette di fronte al sole ci
si abbronza… ma quando ci si mette dinnanzi a Gesù Eucaristia si diventa santi».
Di brillante
intelligenza e di profonda fede, egli offrì le sue sofferenze e la sua vita per
il Papa e per la Chiesa. I suoi sacrifici, uniti a quelli di altre nascoste
anime oblative, e le preghiere intercessorie rivolte ai santi e alla Regina dei
santi salveranno, per l’ennesima volta, la Chiesa dai suoi ugonotti, che oggi
profanano il Corpo di Cristo con indegne liturgie e indegni altari.
giovedì 15 giugno 2017
martedì 13 giugno 2017
Nella festa di S. Antonio da Padova
La Chiesa universale e gli Ordini Francescani celebrano la festa liturgica di s. Antonio di Padova.
Ecco l'elogio solenne contenuto nel Martyrologium Franciscanum, ediz. 1946:
In Padova, s. Antonio di Lisbona, detto comunemente di Padova, sacerdote e confessore, celeberrimo per la santità della vita e per la predicazione, che dal Sommo Pontefice Gregorio IX per la moltitudine dei miracoli neppure un anno dopo la sua morte fu annoverato tra i santi. Il Sommo Pontefice Pio XII lo dichiarò Dottore della Chiesa Universale.
Pietro Avogadro, con aggiunte di Francesco Savanni, Madonna col Bambino tra i SS. Francesco e Antonio da Padova, XVIII sec., Chiesa di S. Carlo, Brescia |
Giuseppe Manzo, S. Antonio elemosinante, 1890, collezione privata |
Teofilo Patini, S. Antonio incoronato da Gesù Bambino, 1898, Parrocchia - Santuario Maria SS. della Libera, Pratola Peligna (L'Aquila) |
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