Nella festa della Natività del Precursore S. Giovanni Battista, rilanciamo
volentieri la traduzione italiana della recente intervista di don Nicola Bux
rilasciata al vaticanista Edward Pentin e pubblicata in inglese il 21 giugno
scorso.
Bottega italiana, Natività del Battista, XVII sec., Viterbo |
Bottega italiana, Natività del Battista, XVIII sec., Viterbo |
Giuseppe Tori, Natività del Battista, XVIII sec., La Spezia |
Giuseppe Varotti, Natività del Battista, 1760 circa, Bologna |
Luigi Molineris, Natività del Battista, 1866, Saluzzo |
Luigi Fontana, Natività del Battista, 1886-88, Basilica Santuario Maria SS. del Suffragio, Grotte di Castro |
Siamo in piena crisi di fede: intervista a don Nicola Bux
Pubblichiamo l’intervista di Edward Pentin a don
Nicola Bux apparsa ieri, 21 giugno, sul National Catholic Register (qui l’originale in lingua inglese).
(Edward Pentin) Quali
implicazioni ha l’”anarchia dottrinale” sulla Chiesa e, ancora di più, sulle anime
dei fedeli e dei sacerdoti?
La prima implicazione
dell’anarchia dottrinale sulla Chiesa, è la divisione, a causa dall’apostasia,
che è l’abbandono del pensiero cattolico, così definito da san Vincenzo di Lerins: quod
semper, quod ubique, quod ab omnibus creditur (il credo professato
sempre, dovunque e da tutti). Sant’Ireneo di Lione, che definisce Gesù Cristo
‘maestro dell’unità’, aveva fatto notare agli eretici, che tutti professano le
stesse cose, ma non tutti le intendono alla stessa maniera. Ecco la funzione
del Magistero, fondato sulla verità di Cristo: ricondurre tutti all’unità
cattolica. San Paolo esortava i cristiani a essere concordi e unanimi nel
parlare: che direbbe oggi?
Quando i Cardinali
tacciono o accusano i confratelli; quando i Vescovi che avevano pensato,
parlato e scritto – scripta manent! – in modo cattolico, per
qualsiasi motivo, dicono il contrario; quando i sacerdoti contestano la
tradizione liturgica della Chiesa, si configura l’apostasia, il distacco dal pensiero
cattolico. Paolo VI aveva previsto che «questo pensiero non cattolico
all’interno del cattolicesimo diventi domani il più forte. Ma esso non
rappresenterà mai il pensiero della Chiesa. Bisogna che sussista un piccolo
gregge, per quanto piccolo esso sia» (Conversazione con J. Guitton,
9.IX.1977).
Quale implicazione, poi, ha l’“anarchia dottrinale” sulle anime dei fedeli e degli ecclesiastici?
L’Apostolo esorta
a essere fedeli alla dottrina sicura, sana e pura: quella fondata su Gesù
Cristo e non sulle opinioni mondane (cfr Tito 1,7-11; 2,1- 8). La perseveranza
nell’insegnare e nell’obbedire alla dottrina, guida le anime alla salvezza
eterna. La Chiesa non può cambiare la fede e ad un tempo chiedere ai credenti
di rimanere fedeli ad essa. Essa è invece intimamente obbligata verso la parola
di Dio e verso la Tradizione.
Dunque, la Chiesa
ricordi la sentenza del Signore: «E’ per un giudizio che io sono venuto in
questo mondo, perché coloro che non vedono, vedano e quelli che vedono,
diventino ciechi» (Gv 9,40). Non dimentichi che, quando è applaudita dal
mondo, vuol dire che gli appartiene. Infatti, il mondo ama ciò che è suo e odia
ciò che non gli appartiene (cfr Gv 15,18). La Chiesa cattolica ricordi sempre
di essere formata soltanto da quanti si sono convertiti a Cristo, sotto la
guida dello Spirito Santo; tutti gli esseri umani le sono ordinati
(cfr Lg 13), ma non ne fanno parte finché non si convertono.
Come si può risolvere
al meglio il problema?
Il punto è: che idea
ha il Papa del ministero petrino, come descritto in Lumen gentium 18 e
codificato nel diritto canonico? Di fronte alla confusione e all’apostasia, il
Papa dovrebbe operare la distinzione – come fece Benedetto XVI – tra quello che
pensa e ha detto come dottore privato, e quello che deve dire come Papa della
Chiesa cattolica.
Sia chiaro: il Papa
può esprimere sue idee, come dottore privato, sulle materie opinabili e che non
sono definite dalla Chiesa, ma, nemmeno come dottore privato, può fare affermazioni
eretiche. Altrimenti sarebbe egualmente eretico. Ritengo che il Papa sappia,
che ogni fedele – il quale conosca la regula fidei o dogma,
che fornisce a ciascuno il criterio per sapere qual è la fede della Chiesa, che
cosa ognuno deve credere e a chi deve dare ascolto – può accorgersi se lui parla
e opera in modo cattolico, oppure sia andato contro il sensus
fidei della Chiesa. Anche un solo fedele potrebbe chiedergliene conto.
Quindi, chi ritiene,
che esporre dubbi al Papa non sia segno di obbedienza, non ha compreso, dopo 50
anni dal Vaticano II, il rapporto che intercorre tra lui e tutta la Chiesa.
L’obbedienza al Papa, dipende unicamente dal fatto che questi è vincolato alla
dottrina cattolica, alla fede che egli continuamente deve professare davanti
alla Chiesa.
Siamo in piena crisi
di fede! Pertanto, per fermare la divisione in atto, il Papa – come Paolo
VI nel 1967, dinanzi alle teorie erronee che circolavano subito dopo la
conclusione del concilio – dovrebbe fare una Dichiarazione o Professione di
fede, con la quale affermi ciò che è cattolico e corregga quelle parole e
quegli atti, suoi e dei vescovi, ambigui o erronei, che sono interpretati in
senso non cattolico.
Sarebbe altrimenti
grottesco che, mentre si cerca l’unità con i cristiani non cattolici o
addirittura l’intesa con i non cristiani, si favorisse l’apostasia e la
divisione all’interno della Chiesa cattolica. Per molti cattolici, è
incredibile che il Papa chieda ai vescovi di dialogare con quanti la pensano
diversamente, ma non voglia confrontarsi innanzitutto con i Cardinali
che sono i suoi primi consiglieri.
Se il Papa non
custodisce la dottrina, non può imporre la disciplina. Come ricordava Giovanni
Paolo II, il Papa deve sempre convertirsi, per poter confermare i suoi
fratelli, secondo le parole di Cristo a Pietro: Et tu autem conversus,
confirma fratres tuos.
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