Il 22 luglio del 1966 si spegneva nell’abbazia di Noci
l’abate Emanuele Caronti.
Per ricordare l’evento rilanciamo volentieri questo
contributo del prof. Abbruzzi.
Fonte immagini: mostra fotografica sull'abate Caronti
L’Abate Caronti, testimone della Grande Guerra
di Vito Abbruzzi
Il 22 luglio di cinquantuno anni fa moriva l’Abate
Emanuele Caronti. Per una misteriosa coincidenza, un amico – ignaro della cosa
– mi ha telefonato chiedendomi dove e come poter acquistare il Diario di Guerra
(1917 – 1918) che il nostro Abate redasse da cappellano dei bersaglieri in
quella che il Papa di allora, Benedetto XV, non esitò a stigmatizzare come
“inutile strage”.
Quel Diario (amabilmente curato da Padre
Lunardi), purtroppo non è più in commercio; la stessa abbazia della Scala di
Noci ha esaurito tutte le copie in vendita e non credo abbia l’intenzione di
ristamparlo.
Peccato!
Peccato, perché, pur trattandosi di “semplici
appunti”, esso è altamente interessante per “l’immediatezza del linguaggio che
ci immerge nella drammaticità delle sofferenze, nella monotonia delle
interminabili giornate in una baracca del Campo e infine nella gioia della
liberazione. Ne scaturisce un Caronti ‘inedito’, probabilmente diverso da
quella immagine che ne avevamo. Qui ci troviamo di fronte a un uomo che si
commuove quando ripensa alla Mamma o al monastero lontani, che gode della
amicizia dei suoi colleghi, ma specialmente, che sa affrontare sofferenze
inattese e atroci, perché dietro ad esse il suo sguardo di fede scorge sempre
la mano di un Dio che è Amore”.
È quanto scrive nella premessa al Diario di Guerra
il buon Don Giovanni Lunardi, che dell’Abate Caronti è il depositario delle
memorie scritte e non scritte. Un personaggio, quello dell’Abate Caronti, che
va assolutamente riscoperto, rivalutato e, soprattutto, riattualizzato… perché
di attuale è attuale; anzi, è attualissimo!
C’è una frase del Diario che mi commuove assai
assai, scritta il 14 dicembre del 1917 da un Caronti sofferente, duramente provato dalla spietata prigionia
nella lontana e freddissima Ungheria:
« Sono vari giorni che nel mio cuore sento un
abbandono completo nelle mani di Dio ».
Due giorni prima egli, a causa del freddo intenso,
aveva accusato “dolori acuti di palpitazione del cuore”, appuntando nel taccuino:
« Erano già vari anni che non sentivo questo disturbo. L’attacco odierno mi
impressiona ».
L’“abbandono completo nelle mani di Dio” altro
non è che un momento di profondissima estasi: la stessa, certamente, provata
dall’altro importante testimone della Grande Guerra: Giuseppe Ungaretti,
che – guarda caso – nello stesso anno (il 26 gennaio 1917) scrive: « M’illumino
d’immenso ». Struggimento totale.
Ma se Ungaretti si limita a testimoniarci l’orrore
della Prima Guerra Mondiale attraverso i suoi sublimi versi divenuti
celeberrimi nella loro scarna bellezza, Caronti fa lo stesso nel suo Diario,
raccontando in poche ma lapidarie battute la quotidianità da combattente prima
e da prigioniero dopo.
Un interessante documento da leggere!
Le immagini dell'articolo sono state scannerizzate dal prof. Vito Abbruzzi
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