Nella festa di S. Elia, profeta, rilanciamo questo contributo.
Sant’Elia: il Profeta degli ultimi tempi
di Cristiana de
Magistris
Il 20 luglio, festa
liturgica – nell’Ordine Carmelitano – del profeta Elia, il sacerdote sale
all’altare con i paramenti rossi. Eppure sant’Elia non ha versato il sangue per
la fede, anzi – come sappiamo dalla Scrittura – non è ancora morto. Egli
tornerà negli ultimi tempi come precursore dell’anticristo a predicare e
convertire il popolo ebraico, ed allora, secondo la tradizione, verserà il suo
sangue nella città di Gerusalemme. È in vista di questo glorioso martirio che
la Liturgia carmelitana adotta – in modo profetico per un profeta – i paramenti
rossi.
Elia è il profeta del
Dio vivente. Il suo stesso nome, che significa: “JHWH è Dio”, è il vero
programma della sua vita. Si tratta di uno dei più grandi uomini dell’Antico
Testamento: è colui che sta alla presenza del suo Dio ed è divorato dallo zelo
per la Sua gloria. Le parole che si leggono nel primo libro dei Re “Zelo
zelatus sum pro Domino Deo exercituum” (Sono pieno di zelo per
il Signore Dio degli eserciti [1 Re 19,10]) riassumono il tratto
essenziale della sua fisionomia – il cui simbolo è il fuoco (Sir 48,1) – che si
delinea con straordinaria vivacità nel Testo sacro.
Dopo la morte di
Salomone, le dodici tribù di Israele si divisero in due grandi regni: quello di
Giuda e quello d’Israele. Il primo formatosi con le due tribù di Giuda e di
Beniamino, ebbe per capitale Gerusalemme; il secondo si compose di
dieci tribù con capitale Sichem, poi Samaria. A questo secondo regno appartenne
il profeta Elia, che abitava il deserto di Galaad in Samaria. Uomo virtuoso e
austero, vestiva una tunica di peli di cammello con ai fianchi una cintura di
cuoio: “pieno di zelo per ilDio degli eserciti”, uscì tre volte dal deserto per
minacciare Achab, settimo re di Israele, e la regina Iezabele, che avevano
pervertito il popolo trascinandolo nell’idolatria; per mandare a morte i 450
profeti di Baal che confuse sul Monte Carmelo; e per annunciare al re, impossessatosi
della vigna di Naboth, che sarebbe stato ucciso, e, alla regina, che il
suo sangue sarebbe scorso ove era scorso il sangue di Naboth e i cani avrebbero
divorate le sue carni. Per tutti questi motivi, Elia fu perseguitato dagli
Israeliti, da Achab e da Iezabele e dovette fuggire sul monte Horeb per
scampare alla morte. Quando più tardi Ochozia, figlio di Achab, divenne re,
Elia gli fece dire di non consultare Belzebu, il dio di Accaron, come aveva
intenzione di fare, ma il Dio d’Israele. Ochozia allora gli mandò un capitano
con cinquanta soldati per indurlo a scendere dalla montagna e rendergli conto
delle sue parole. Elia rispose al capitano: “Se io sono un uomo di Dio, scenda
dal cielo un fuoco che divori te e i tuoi cinquanta”. E scese il
fuoco e divorò lui e i suoi cinquanta uomini.
Più tardi, Elia andò
verso il Giordano con Eliseo, e allorché ebbero attraversato il fiume, un carro
di fuoco con cavalli di fuoco separò l’uno dall’altro, ed Elia salì al cielo in
un turbine. Eliseo allora si rivestì del mantello che Elia aveva lasciato
cadere e ricevette doppiamente il suo spirito.
Il doppio spirito che
Elia lasciò ad Eliseo si trasmise agli eremiti del monte Carmelo, i quali – con
l’avvento dell’atteso Messia – si costituirono gradualmente in Ordine
religioso, il cui stemma – in forma di scudo – rivela la sua origine “eliana”.
Esso, infatti, è sormontato da un braccio con una spada di fuoco e
un nastro con una citazione biblica. Il braccio è quello di Elia, che tiene una
spada di fuoco, e il nastro porta l’iscrizione “Zelo zelatus sum pro Domino
Deo exercituum”. Il braccio e la spada mostrano la passione ardente di Elia
per l’assoluto di Dio, la cui “parola bruciava come fiaccola” (Sir 48,1).
Per i Carmelitani, Elia è il profeta solitario che coltiva la sete dell’unico
Dio e vive alla Sua presenza. Come lui, essi portano “la spada dello spirito,
che è la Parola di Dio” (Regola Carmelitana, n. 19) ed è per essi modello
di azione, ma soprattutto maestro di orazione e di contemplazione.
L’apostolo san
Giacomo, nella sua Epistola, ci propone come modello di preghiera l’orazione
fervorosa e potente del santo patriarca Elia, che ottenne da Dio prima la
completa siccità sui campi d’Israele per tre anni e sei mesi, e poi
l’abbondanza della pioggia. Alla sua preghiera i morti risuscitarono; il fuoco
cadde dal cielo per tre volte in punizione degli idolatri; sul monte Oreb, il
Signore si manifestò per mezzo del venticello leggero; sul monte Carmelo apparve
la piccola nube, simbolo misterioso della Vergine Maria, Madre di Dio.
Sant’Isidoro afferma che tutte le azioni della vita di Elia non furono che
un’orazione continua, Elias in sancta meditatione assiduus, da cui
nacque la santa Famiglia dei contemplativi del Carmelo. Simeone Metafraste (X
sec.) – il grande agiografo bizantino – suggerisce a chiunque voglia
comprendere lo spirito di un ordine religioso di studiare lo spirito del
fondatore, che è il padre spirituale di tutti quei religiosi. Ma in Elia,
aggiunge, il fuoco ardente e lo zelo dell’anima sono così intensi che devono
essere studiati da tutti.
Alla fine della sua
terrena esistenza, fu il fuoco nella forma di carro e cavalli che rapì il
profeta Elia trasportandolo in un luogo ignoto. Suarez afferma esser di fede
che Elia, come anche Enoch, non è morto. Sant’Agostino conferma che “né Enoch
né Elia hanno subito la corruzione in tutto questo tempo”. “Enoch ed Elia ora
hanno gli stessi corpi – sostiene S. Girolamo – che avevano quando furono
trasportati” (nel luogo del loro misterioso soggiorno). S. Gregorio specifica
che “Sant’Elia non è sfuggito alla morte, ma per lui essa è solo ritardata”.
Circa il luogo del
suo soggiorno, alcuni autori ritengono che Elia con Enoch si trovi nel Paradiso
terrestre che sarebbe sfuggito all’universale diluvio, altri in un luogo
ignoto, ma ameno, conosciuto da Dio solo. Quel che è certo, in entrambi i casi,
è che essi posseggono uno straordinario potere di contemplazione e di amore in
cui si preparano alla loro venuta finale. Elia, nel luogo dove la divina
Provvidenza lo ha posto e sul quale i teologi non ci dicono nulla di certo,
prega senza posa per gli uomini, essendo – secondo san Gregorio – in continue
estasi, in serafiche contemplazioni e in dolci e soavi colloqui. Nell’esercizio
di questa sublime orazione, l’estatico Profeta riceve quella luce abbondante e
sovrana con cui dovrà un giorno venire a rischiarare il mondo. Ed è per questo
che san Bernardo gli conferisce il nome di luce del mondo: orbis lumen.
“Enoch ed Elia sono
felici – afferma ancora san Bernardo – poiché vivono solo per Dio e sono
occupati in Lui solo, contemplandolo, amandolo e godendo di Lui”. Suarez
sostiene essere del tutto consequenziale al loro stato il fatto che essi siano
stati confermati in grazia, benché nel tempo del loro lungo soggiorno non
possano più meritare. La loro capacità di meritare, infatti, secondo Suarez,
sarebbe sospesa fino al loro ritorno, quando completeranno la loro missione con
la predicazione e l’effusione del loro sangue. S. Tommaso afferma che Enoch ed
Elia “vivranno insieme fino alla venuta dell’anticristo”. Questa verità, che i
Padri riconoscono pressoché unanimemente, Suarez ritiene esser de fide o proxima
fidei. La missione di Enoch ed Elia, negli ultimi tempi, sarà quella di
predicare in abito di penitenza contro l’anticristo. La missione speciale di
Enoch sarà di convertire i Gentili, mentre quella di Elia sarà di convertire i
Giudei, i quali, tuttora, nella loro liturgia della Pasqua, gli lasciano un
posto vuoto proprio per ricordarne la presenza alla fine dei tempi.
Essi verranno in
abito di sacco per richiamare le anime alla penitenza e alla povertà. Ed anche,
aggiunge l’Aquinate, per indicare che la Chiesa alla fine dei tempi ritornerà
ai tempi della sua giovinezza, quando il Battista predicava vestito con peli di
cammello. Essi – come mistici ponti – congiungeranno l’inizio della storia alla
sua fine.
Sant’Elia sarà dunque
predicatore e apostolo di Gesù Cristo nei tempi futuri, quando l’anticristo
perseguiterà la Chiesa di Dio, secondo il capitolo 17° del Vangelo di san
Matteo, in cui Nostro Signore Gesù Cristo stesso dice che Elia verrà e
ristabilirà ogni cosa: Elias quidem venturus et restituet omnia,
perché allora, come ha profetizzato Malachia, egli comparirà come precursore
del secondo avvento di Gesù Cristo nel mondo.
Contro l’efficace
predicazione di Elia e di Enoch, che conquisterà Giudei e Gentili, si scatenerà
la rabbia infernale dell’anticristo il quale tenterà di ucciderli: cosa che Dio
permetterà, per aggiungere alla loro corona la palma del martirio. Secondo
numerosi Padri ed altri importanti autori, questi due ultimi apostoli saranno
messi a morte in Gerusalemme come il nostro divin Redentore, ed i loro corpi,
gettati sulla piazza, resteranno senza essere sotterrati per tre giorni e
mezzo, secondo la profezia di san Giovanni nell’Apocalisse (cap. 11); ma,
trascorsi questi tre giorni e mezzo, i due Santi risusciteranno gloriosi e
saliranno al cielo in anima e corpo, in una nube luminosa, sotto gli occhi
dell’anticristo e dei suoi sostenitori.
Alla morte di Enoch
ed Elia seguirà subito la disfatta dell’anticristo, perché – secondo
Tertulliano – questi due apostoli degli ultimi tempi “sono riservati per
distruggere l’anticristo con il loro sangue”.
Secondo padre
Frederick William Faber, fondatore dell’Oratorio di Londra, Elia ebbe un cuore
di guerriero e un intelletto di serafino. Lo dimostra la sua fede così eroica
che gli meritò di essere sulla terra il suo primo difensore, come san Michele
lo era già stato in Cielo contro gli angeli ribelli. Ciò avvenne in quel
pubblico “autodafé”, celebrato sul monte Carmelo, allorché, per ordine del re
Acab, si trovarono riuniti ottocentocinquanta falsi profeti che Elia confuse
con sagace ironia, e debellò, meritando per questo da san Bernardo il titolo di defensor
fidei.
L’ardore di questo
santo di fuoco, definito dal Crisostomo “angelo della terra e uomo del Cielo”,
che fu portato nel luogo del suo misterioso soggiorno da quel fuoco su cui aveva
esercitato uno speciale potere sulla terra, ha fatto di lui una sorta di “uomo
eterno” che attende l’ora di Dio per incendiare il cuore degli uomini col fuoco
del divino amore. Nel luogo in cui vive con Enoch, Elia si prepara alla sua
missione finale. Poiché fu il primo devoto della Vergine Santissima, si crede
che egli trascorra questo tempo nell’imitazione di Colei che ebbe lo speciale
privilegio di vedere adombrata nella misteriosa nuvoletta e che amò con
ammirabile anticipazione. È alla scuola della Madre di Dio che il Profeta degli
ultimi tempi si prepara ad affrontare l’anticristo, attendendo due cieli: il
cielo della terra, dove verserà il suo sangue, e il Cielo dei cieli, dove
godrà, infine, della visione di quel Dio la cui gloria ha zelato con impareggiabile
ardore.
I tempi tumultuosi
che sta vivendo la Chiesa e il mondo, se non sono i tempi dell’anticristo, ne
sono certamente una prefigurazione. Il profeta Elia, che attendiamo secondo le
profezie scritturistiche, è fin d’ora un modello di azione e di contemplazione,
di fede e di speranza, di amore incandescente all’unico vero Dio e di totale
rifiuto del compromesso con l’errore. Infine il santo Profeta e Patriarca
invita tutti alla generosità più estrema nel servizio di Dio, quella generosità
che lo farà tornare sulla terra a versare il suo sangue per il quale ha
anticipatamente meritato il titolo di martire.
Se la moderna
cristianità ha relegato (anche) il grande profeta Elia tra i personaggi
leggendari, a noi la saggezza di seguire la fede dei nostri Padri che solo la
stolta infatuazione dei loro figli si gloria di ignorare.
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