Nella festa dell’invenzione di S. Stefano, rilanciamo questo contributo di
Cristina Siccardi.
Bernardo Daddi, Martirio di S. Stefano, Storie di S. Stefano, 1345 circa, Musei Vaticani, Città del Vaticano, Roma |
Bernardo Daddi, Apparizione in sogno a S. Luciano di S. Gamaliele, Storie di S. Stefano, 1345 circa, Musei Vaticani, Città del Vaticano, Roma |
Bernardo Daddi, S. Luciano parla della sua visione a Giovanni, patriarca di Gerusalemme, Storie di S. Stefano, 1345 circa, Musei Vaticani, Città del Vaticano, Roma |
Bernardo Daddi, Ritrovamento delle reliquie di S. Stefano, Storie di S. Stefano, 1345 circa, Musei Vaticani, Città del Vaticano, Roma |
Bernardo Daddi, Trasferimento dei corpi ritrovati a Gerusalemme, Storie di S. Stefano, 1345 circa, Musei Vaticani, Città del Vaticano, Roma |
Bernardo Daddi, Trasferimento del corpo di S. Stefano a Roma, Storie di S. Stefano, 1345 circa, Musei Vaticani, Città del Vaticano, Roma |
Bernardo Daddi, Bisognosi dinanzi alla tomba dei due Santi leviti, Storie di S. Stefano, 1345 circa, Musei Vaticani, Città del Vaticano, Roma |
Ambito della famiglia Vergós, Ritrovamento del corpo di S. Stefano, Pala di S. Stefano (Retablo de San Esteban Protomártir), 1495-1500, Museo Nacional de Arte de Cataluña, Barcellona |
Jerónimo Jacinto de Espinosa, S. Luciano parla a Giovanni, patriarca di Gerusalemme, della sua visione, XVII sec., Parroquia de San Esteban protomártir, Valencia |
Jerónimo Jacinto de Espinosa, Invenzione del corpo di S. Stefano, XVII sec., Parroquia de San Esteban protomártir, Valencia |
3 agosto: il miracoloso ritrovamento delle spogli di santo Stefano
di Cristina
Siccardi
Nel 1960, sotto il
pontificato di Giovanni XXIII, venne soppressa una festività molto importante
per la Chiesa: il 3 agosto era ricordato il ritrovamento miracoloso delle
spoglie di santo Stefano, un fatto storico e soprannaturale tanto grande da
meritare doppia festività liturgica per il protomartire, che fu il primo a
testimoniare con il sangue la sua Fede e il suo amore per Cristo, doppia come
per san Giovanni Battista, che preparò la strada alla predicazione pubblica di
Gesù.
Dimenticare significa
non più testimoniare e la testimonianza dei fatti accaduti il 3 agosto del 415
non può non essere tramandata di padre in figlio. Quel giorno, meglio, in
quella notte, il sacerdote Luciano del villaggio di Caphargamala, ebbe una
visione che registrerà in una lettera poco tempo dopo gli avvenimenti e
destinata «alla santa Chiesa ed a tutti i santi che sono in Gesù Cristo, nel
mondo intero».
In essa si può
leggere la prima delle quattro visioni che precedettero la scoperta. Luciano,su
richiesta del prete spagnolo Avito, redasse in greco l’epistola. Avito la
tradusse subito in latino per consegnarla ad un suo compatriota, Paolo Orosio,
che stava per imbarcarsi per l’Occidente. Tale traduzione è stata per molto
tempo pubblicata fra le opere di sant’Agostino. Le numerose versioni greche,
una traduzione in lingua siriaca ed altre ancora in armeno, in georgiano…
testimoniano l’enorme diffusione del testo originario.
Riportiamo qui lo
scritto dello straordinario documento, riguardante la prima visione: «Io mi
ero addormentato, al calar della notte, nel mio giaciglio, nel santo luogo del
battistero, dove avevo l’abitudine di andare a dormire per custodire gli
oggetti utili al ministero. Alla terza ora della notte, caddi in una sorta di
estasi, un mezzo sonno, e vidi un vecchio di grandi proporzioni fisiche, prete
di grande dignità, coi capelli bianchi, la barba lunga, rivestito di una grande
stola bianca ornata da bottoni d’oro con una croce in mezzo. In mano teneva un
bastone d’oro. Mi si avvicinò e, ponendosi alla mia destra, mi toccò col suo
bastone d’oro: poi, dopo avermi chiamato per nome tre volte: “Luciano, Luciano,
Luciano”, mi disse in greco: “Andate nella città di Aelia, che è Gerusalemme, e
dite al santo Vescovo Giovanni queste parole: “Per quanto tempo dovremo rimanere
rinchiusi e tarderete ad aprirci le porte? Sotto il vostro episcopato noi
dobbiamo essere rivelati. Non tardate ad aprire il sepolcro in cui i nostri
resti sono stati deposti senza onori, in modo che, per tramite nostro, Dio, il
suo Cristo e lo Spirito Santo aprano la porta della clemenza sul mondo, perché
le numerose cadute di cui il mondo è testimone lo mettono ogni giorno in
pericolo. D’altronde, più che di me stesso, io mi preoccupo di quei santi
davvero degni di tutti gli onori”. Io gli risposi così: “Chi siete, voi,
signore, e chi sono quelli che stanno con voi?”. Così egli mi rispose: “Io sono
Gamaliele[Cfr. Atti 5, 34-39 ndr], son colui che ha educato Paolo e gli
ha insegnato la Legge di Gerusalemme. Accanto a me, verso Oriente, è sepolto
Stefano, che i principi e sacerdoti giudei hanno lapidato a Gerusalemme per la
fede di Cristo, fuori della città, presso la porta Nord, sulla strada verso
Cedar. In quel luogo, il corpo di Stefano rimase un giorno ed una notte, steso
a terra, senza sepoltura, esposto alle bestie feroci, di cui, secondo l’ordine
empio dei capi dei sacerdoti, sarebbe dovuto divenire preda. Ma Dio non volle
che Stefano subisse quella sorte […]. Ed io, Gamaliele, pieno di pietà per la
sorte del ministro di Cristo, […] ho inviato durante la notte gli uomini pii,
che abitavano in Gerusalemme, di cui io conoscevo la fede in Cristo, e feci loro
tutte le mie raccomandazioni. Diedi loro tutto ciò che serviva e li convinsi a
recarsi in segreto sul luogo delsupplizio per portare via il corpo e condurlo,
con uno dei miei carri, alla mia casa di campagna chiamata Caphargamala, cioè
‘Casa di campagna di Gamaliele’, a venti miglia dalla città. Là io feci
celebrare i funerali che durarono quaranta giorni e feci deporre il corpo nel
sepolcro che mi ero fatto costruire da queste parti, nella capanna situata ad
Oriente, e ho fatto dare a questa gente il denaro necessario per sostenere le
spese dei funerali”. Ed io, l’umile prete Luciano, rivolsi a Gamaliele questa
domanda: “Dove dobbiamo cercare?”. Gamaliele mi rispose: “Nel mezzo del
sobborgo”, il che poteva esser detto di un campomolto vicino alla casa di
campagna, chiamato Delagabria, cioè campo degli uomini di Dio»
(Luciano, Lettera, 3 dicembre 415, cap. XXII).
Il sacerdote Luciano
si recò, insieme ad alcuni uomini, quella stessa notte alla tomba indicata dal
maestro di san Paolo. Dopo aver scavato trovarono una pietra tombale su cui si
leggeva a grandi lettere KEAYEA, CELIEL, ossia servi di Dio, e
APAAN, DARDAN, che significa Nicodemo e Gamaliele.
Inoltre, era sepolto
Abibon. Fu il Vescovo Giovanni di Gerusalemme a tradurre tali parole al prete
Luciano, che lo raggiunse a Diospolis, per riferire gli accadimenti, città dove
in quel momento il Vescovo stava presiedendo un Sinodo (20 dicembre 415).Giovanni
si recò personalmente, insieme ad altri due vescovi, Eustonio di Sebaste ed
Eleuterio di Gerico, nel campo degli uomini di Dio. Quando aprirono il feretro
di santo Stefano, racconta Luciano, la terra tremò e tutt’intorno si diffuse un
profumo dolce, soave, paradisiaco.
All’evento era
presente una moltitudine di persone, molte delle quali malate, che all’istante
guarirono. Come già in vita («Stefano intanto, pieno di grazia e di
fortezza, faceva grandi prodigi e miracoli tra il popolo», Atti6,
8), anche dopo il ritrovamento dei resti mortali e a seguire ci fu, in tutta la
cattolicità, un immenso numero di miracoli. Narra Luciano: «Nello stesso
istante in cui sentirono questo dolce profumo, settantatré di loro ricuperarono
la salute. Quanto ad altri, i demoni che si erano impadroniti di loro furono
cacciati […]. Accaddero molte altre guarigioni che sarebbe per me troppo lungo
ricordare dettagliatamente qui. Dopo aver baciato le sante reliquie,
richiudemmo il feretro e portammo le reliquie di santo Stefano, cantando salmi
ed inni, nella santa chiesa di Sion, dove egli era stato ordinato arcidiacono»
(Luciano, Lettera, cap. XXVII).
I Padri della Chiesa
hanno profuso insegnamenti eccelsi sulla figura di Stefano, soprattutto perché
egli rappresenta il modello per eccellenza di amore per i nemici. L’amicizia di
Dio, la filiazione adottiva del Padre hanno questo prezzo, ricorda san Massimo
di Torino (Hom. 64 in S. Steph.). Ma tutti gli apologeti di santo
Stefano si trovano concordi sull’affermazione di Massimo: Gregorio di Nissa,
Giovanni Crisostomo, Cesario di Arles, Anselmo… «Gesù», predica
sant’Agostino, «troneggiava sulla cattedra della sua croce ed insegnava a
Stefano la regola della pietà. O buon maestro, tu hai ben parlato, ben
insegnato. Guarda: il tuo discepolo prega per i suoi nemici, prega per i suoi
carnefici» (Sermone, 315, 8), infatti gridò Stefano poco prima di
morire: «Signore, non imputar loro questo peccato» (Atti 7,
60).
Quale sarà la fortuna
di questo tema attraverso gli Atti dei Martiri, in cui si vedono i
condannati manifestare rispetto e carità per i loro torturatori e assassini!
San Tommaso Moro fa riferimento all’esempiodi Stefano allorquando si augura di
ritrovare in Paradiso i giudici che lo hanno condannato a morte, così come
Paolo, presente sia alla condanna che alla lapidazione, lo ha raggiunto
nell’eternità di Dio.
Ciò che accadde la
notte del 3 agosto del 415, alla Chiesa, quella che nasconde con vergogna le
realtà soprannaturali nell’affannosa ricerca di accondiscendere al mondo, non interessa
più. Con l’obiettivo di dialogare con i neopositivisti – denigratori di
visioni, apparizioni, fenomeni celesti–con i liberali, con i comunisti, con i
radicali… ovvero con i «lontani»,come li definiva Paolo VI (che prima di
Giovanni XXIII e del Concilio Vaticano II la Chiesa aveva sempre chiamato «nemici»),
la Chiesa si è allontanata da se stessa, dimentica ormai del suo immenso e
potente Patrimonio, un patrimonio di bene, di bellezza, di verità destinato
universalmente a ciascuno.
Il lungo discorso che
tenne Stefano (Atti 7, 1-53) di fronte al Sinedrio che lo condannò,
come aveva condannato Gesù, rivela il suo magistrale eloquio e la sua granitica
Fede, i cui contenuti fanno tremare i polsi per la loro attualità: «O gente
testarda e pagana nel cuore e nelle orecchie, voi sempre opponete resistenza
allo Spirito Santo; come i vostri padri, così anche voi. Quale dei profeti i
vostri padri non hanno perseguitato? Essi uccisero quelli che preannunciavano
la venuta del Giusto, del quale voi ora siete divenuti traditori e uccisori;
voi che avete ricevuto la legge per mano degli angeli non l’avete osservata»
(Atti 7, 51-53).
Il 3 agosto
ricordiamo di nuovo ciò che accadde al campo degli uomini di Dio e nel farlo
preghiamo santo Stefano per i nemici esterni ed interni alla Chiesa.
Nessun commento:
Posta un commento