Nell’odierna festa di S. Chiara,
vergine assisana, e del beato Innocenzo XI, papa, rilanciamo questo contributo
di Piero Vassallo.
Claudio Ridolfi, Madonna con Bambino e S. Francesco con i SS. Ubaldo, Caterina d'Alessandria e Chiara, 1620 circa, Senigallia |
Giovanni Claret, Madonna con Bambino e angeli tra i SS. Francesco e Chiara, 1647, Alba |
Felice Torelli, Madonna con S. Francesco e S. Chiara con Gesù Bambino, XVII sec., Faenza |
Bottega abruzzese, Incoronazione della Vergine con i SS. Carlo Borromeo, Antonio da Padova, Chiara e Francesco, XVII sec., Chieti |
Raffaello Tancredi, SS. Francesco e Chiara, 1904, Pitignano |
Ambito bergamasco, Beato Innocenzo XI, 1676, Bergamo |
Ambito italiano, Beato Innocenzo XI benedicente, XVIII sec., Bergamo |
Ambito romano, Ritratto del Beato Innocenzo XI, XVIII sec., Ascoli Piceno |
Ambito italiano, Beato Innocenzo XI, XIX sec., Bologna |
Maria I Tudor. La strenua difesa
della Santa Messa
“Il giudizio del
mondo è un giudizio privo di misericordia. Perché allora il mondo non dovrebbe
essere giudicato nello stesso modo nel quale esso giudica?” (Paolo Pasqualucci)
di Piero Vassallo
La regina Maria I Tudor (1516-1558)
restituì, per la durata del suo breve regno (1553-1558) l’Inghilterra a
Cristo. Amata dal suo popolo fu odiata dalle canaglie, gaudenti una ricchezza
turpe, ottenuta grazie al furto dei beni ecclesiastici commesso da Enrico VIII,
il re posseduto dal delirio teologico discendente da una implacabile infezione libertina.
La
intrepida regina restaurò la Santa Messa e ripristinò l’ordine turbato e
devastato dall’odio viscerale nutrito da Enrico VIII contro i cattolici, ai
suoi occhi colpevoli di fedeltà a Clemente VII (1478-1534), il papa che aveva
negato la consacrazione dell’amorazzo adulterino del re con la cortigiana Anna
Bolena, rapporto da cui era nata la futura regina Elisabetta.
L’orgoglio
smisurato e il rovente fanatismo del re scismatico, autore dell’empio Act of Supremacy,
che dichiarava il re capo supremo della chiesa d’Inghilterra, avevano diviso la
nazione e incrementato quella devastante miseria, che è narrata negli scritti
di San Tommaso Moro (1478-1535) il sapiente refrattario all’ideologia
divorzista, che fu fatto decapitare dal
folle re.
Il
divieto del padre Enrico VIII aveva impedito a Maria, cattolica irriducibile,
di apprendere la scienza politica. La madre, la devota e irriducibile Caterina
d’Aragona, le insegnò a giudicare la salvezza delle anime superiore ad ogni
altro bene. La dottrina cattolica le fu insegnata dalla Beata Margaret Pole,
che sarà martirizzata dagli eretici nel 1541.
Hilaire
Belloc ha dimostrato che Maria Tudor “possedeva
una solida virtù e una chiara impostazione morale, mentre Elisabetta possedeva
una certa tenacia senza scopo e combinata con il suo capriccio“.
Maria,
salita al trono dopo la morte di Enrico VIII e del successore, il suo
fratellastro, il cagionevole Edoardo VI, fu amata dal suo popolo perché
riabilitò la Messa cattolica, fece rimpatriare il cardinale Reginald Pole
(1500-1558) e i sacerdoti fedeli al papa e restituì ai conventi la proprietà
delle terre destinate all’uso dei contadini poveri.
Fu
odiata dall’oligarchia scismatica, da lei privata del bottino, detestata dal
clero eretico e corrotto e finalmente calunniata da una storiografia asservita
ai perpetui e oscuri poteri della menzogna e del disordine.
Sposa
del grande Filippo II di Spagna, Maria Tudor desiderò ardentemente un figlio
cui affidare il compito di proseguire la missione finalizzata alla
restaurazione cattolica.
Delusa
la sua attesa, morì rassegnata al volere di Dio e lasciò l’eredità del regno
alla sorellastra, la miscredente e ipocrita Elisabetta, che, fingendo,
professava la fede cattolica.
In
quanto figlia illegittima di Enrico VIII e di Anna Bolena, Elisabetta non aveva
diritto alla successione, vero è che il papa non riconobbe il suo regno. E con
piena ragione poiché il primo atto del regno elisabettiano fu la profanazione
della Messa cattolica. Elisabetta, preso atto dell’ostilità del papato (sarà
scomunicata da San Pio V nel 1570) gettò la pia maschera:
sostenne apertamente la fazione anglicana, promosse la persecuzione dei
cattolici e avviò una politica intesa a rovesciare l’alleanza con la Spagna. La
fortuna della regina impropriamente detta vergine,
si deve in larga misura al grave errore di Filippo II, che ostacolò l’ascesa al
trono d’Inghilterra di Maria Stuarda, perché la regina di Scozia era favorevole
a un accordo con il regno di Francia piuttosto che con la monarchia ispanica.
In tal modo iniziò quella trionfale marcia dell’impero britannico, che fu
macchiata dalla ferocia e dall’untuosa empietà, prima di scivolare nell’impero
delle banche d’America e di raggiungere il suo squillante/imbalsamante epilogo
nei torridi fumetti della birichina principessa Diana e nelle alte ombre della pedofilia intorno alla regia
corte.
Per
fare luce sulla vera storia di Maria Tudor il grande scrittore e sacerdote
cattolico Robert Hugh Benson (1871-1914) scrisse, nel 1907, una magnifica
storia romanzata, La Tragedia della Regina. Maria Tudor, sovrana incompresa, che è riproposta da Fede e Cultura, casa
editrice in Verona (il volume di pagine 365 è in vendita nelle librerie
cattoliche a euro 15 – per acquisti on line cliccare sul titolo).
Geniale
e instancabile scrittore, Benson fu uno dei protagonisti della insorgenza
spirituale e culturale, che, all’inizio del ventesimo secolo, destò la speranza
di una rinascita cattolica in Inghilterra.
Protagonisti
del romanzo sono personaggi storici e personaggi inventati da una fantasia che
mai sconfina nell’inverosimile.
Il
profilo della regina è disegnato con un’arte che mai si discosta dalla verità
storica: Benson, pur non nascondendo le debolezze di Maria Tudor riconobbe e
apprezzò la sincerità della fede da lei professata e le attribuì il
merito di aver sconfitto i promotori dello scisma “che
avevano strappato il Corpo di Cristo dalle loro chiese”.
Il
celebre romanziere rammentò inoltre che la regina cattolica difese e protesse i
poveri “i teneri agnelli che avevano pianto così
pietosamente da villaggi e strade, vagando senza un pastore, soffrendo la fame
per mancanza di cibo salutare“.
D’altra
parte Benson affermò e dimostrò la doppiezza e l’arroganza di Elisabetta: nel
romanzo il minaccioso discorso, con cui la futura regina vergine tenta di indurre al tradimento uno
studioso fedele a Maria, è un capolavoro di letteratura al servizio della
verità storica.
Il
romanzo di Benson, libro che non può mancare in una biblioteca seria, si
raccomanda quale efficace antidoto all’anglofilia squillante nei pensieri
della più retriva e sciocca borghesia italiana. E come lettura disintossicante,
necessaria agli irriducibili, che intendono interrompere e spezzare il vizioso circolo ecumenico avviato dagli ammiratori degli
avvoltoi in volo modernizzante sopra l’infelice Concilio Vaticano II.
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