sabato 12 agosto 2017

Maria I Tudor. La strenua difesa della Santa Messa

Nell’odierna festa di S. Chiara, vergine assisana, e del beato Innocenzo XI, papa, rilanciamo questo contributo di Piero Vassallo.

Claudio Ridolfi, Madonna con Bambino e S. Francesco con i SS. Ubaldo, Caterina d'Alessandria e Chiara, 1620 circa, Senigallia

Giovanni Claret, Madonna con Bambino e angeli tra i SS. Francesco e Chiara, 1647, Alba

Felice Torelli, Madonna con S. Francesco e S. Chiara con Gesù Bambino, XVII sec., Faenza

Bottega abruzzese, Incoronazione della Vergine con i SS. Carlo Borromeo, Antonio da Padova, Chiara e Francesco, XVII sec., Chieti

Raffaello Tancredi, SS. Francesco e Chiara, 1904, Pitignano


Ambito bergamasco, Beato Innocenzo XI, 1676, Bergamo


Ambito italiano, Beato Innocenzo XI benedicente, XVIII sec., Bergamo


Ambito romano, Ritratto del Beato Innocenzo XI, XVIII sec., Ascoli Piceno

Ambito italiano, Beato Innocenzo XI, XIX sec., Bologna

Maria I Tudor. La strenua difesa della Santa Messa

“Il giudizio del mondo è un giudizio privo di misericordia. Perché allora il mondo non dovrebbe essere giudicato nello stesso modo nel quale esso giudica?” (Paolo Pasqualucci)

di Piero Vassallo

La regina Maria I Tudor (1516-1558) restituì, per la durata  del suo breve regno (1553-1558) l’Inghilterra a Cristo. Amata dal suo popolo fu odiata dalle canaglie, gaudenti una ricchezza turpe, ottenuta grazie al furto dei beni ecclesiastici commesso da Enrico VIII, il re posseduto dal delirio teologico discendente da una implacabile infezione libertina.
La intrepida regina restaurò la Santa Messa e ripristinò l’ordine turbato e devastato dall’odio viscerale nutrito da Enrico VIII contro i cattolici, ai suoi occhi colpevoli di fedeltà a Clemente VII (1478-1534), il papa che aveva negato la consacrazione dell’amorazzo adulterino del re con la cortigiana Anna Bolena, rapporto da cui era nata la futura regina Elisabetta.
L’orgoglio smisurato e il rovente fanatismo del re scismatico, autore dell’empio Act of Supremacy, che dichiarava il re capo supremo della chiesa d’Inghilterra, avevano diviso la nazione e incrementato quella devastante miseria, che è narrata negli scritti di San Tommaso Moro (1478-1535) il sapiente refrattario all’ideologia divorzista, che fu fatto decapitare dal folle re.
Il divieto del padre Enrico VIII aveva impedito a Maria, cattolica irriducibile, di apprendere la scienza politica. La madre, la devota e irriducibile Caterina d’Aragona, le insegnò a giudicare la salvezza delle anime superiore ad ogni altro bene. La dottrina cattolica le fu insegnata dalla Beata Margaret Pole, che sarà martirizzata dagli eretici nel 1541.
Hilaire Belloc ha dimostrato che Maria Tudor “possedeva una solida virtù e una chiara impostazione morale, mentre Elisabetta possedeva una certa tenacia senza scopo e combinata con il suo capriccio“.
Maria, salita al trono dopo la morte di Enrico VIII e del successore, il suo fratellastro, il cagionevole Edoardo VI, fu amata dal suo popolo perché riabilitò la Messa cattolica, fece rimpatriare il cardinale Reginald Pole (1500-1558) e i sacerdoti fedeli al papa e restituì ai conventi la proprietà delle terre destinate all’uso dei contadini poveri.
Fu odiata dall’oligarchia scismatica, da lei privata del bottino, detestata dal clero eretico e corrotto e finalmente calunniata da una storiografia asservita ai perpetui e oscuri poteri della menzogna e del disordine.
Sposa del grande Filippo II di Spagna, Maria Tudor desiderò ardentemente un figlio cui affidare il compito di proseguire la missione finalizzata alla restaurazione cattolica.
Delusa la sua attesa, morì rassegnata al volere di Dio e lasciò l’eredità del regno alla sorellastra, la miscredente e ipocrita Elisabetta, che, fingendo, professava la fede cattolica.
In quanto figlia illegittima di Enrico VIII e di Anna Bolena, Elisabetta non aveva diritto alla successione, vero è che il papa non riconobbe il suo regno. E con piena ragione poiché il primo atto del regno elisabettiano fu la profanazione della Messa cattolica. Elisabetta, preso atto dell’ostilità del papato (sarà scomunicata da San Pio V nel 1570) gettò la pia maschera: sostenne apertamente la fazione anglicana, promosse la persecuzione dei cattolici e avviò una politica intesa a rovesciare l’alleanza con la Spagna. La fortuna della regina impropriamente detta vergine, si deve in larga misura al grave errore di Filippo II, che ostacolò l’ascesa al trono d’Inghilterra di Maria Stuarda, perché la regina di Scozia era favorevole a un accordo con il regno di Francia piuttosto che con la monarchia ispanica. In tal modo iniziò quella trionfale marcia dell’impero britannico, che fu macchiata dalla ferocia e dall’untuosa empietà, prima di scivolare nell’impero delle banche d’America e di raggiungere il suo squillante/imbalsamante epilogo nei torridi fumetti della birichina principessa Diana e nelle alte ombre della pedofilia intorno alla regia corte.
Per fare luce sulla vera storia di Maria Tudor il grande scrittore e sacerdote cattolico Robert Hugh Benson (1871-1914) scrisse, nel 1907, una magnifica storia romanzata, La Tragedia della Regina. Maria Tudor, sovrana incompresache è riproposta da Fede e Cultura, casa editrice in Verona (il volume di pagine 365 è in vendita nelle librerie cattoliche a euro 15 – per acquisti on line cliccare sul titolo).
Geniale e instancabile scrittore, Benson fu uno dei protagonisti della insorgenza spirituale e culturale, che, all’inizio del ventesimo secolo, destò la speranza di una rinascita cattolica in Inghilterra.
Protagonisti del romanzo sono personaggi storici e personaggi inventati da una fantasia che mai sconfina nell’inverosimile.
Il profilo della regina è disegnato con un’arte che mai si discosta dalla verità storica: Benson, pur non nascondendo le debolezze di Maria Tudor riconobbe e apprezzò la sincerità della fede da lei professata  e le attribuì il merito di aver sconfitto i promotori dello scisma “che avevano strappato il Corpo di Cristo dalle loro chiese”.
Il celebre romanziere rammentò inoltre che la regina cattolica difese e protesse i poveri “i teneri agnelli che avevano pianto così pietosamente da villaggi e strade, vagando senza un pastore, soffrendo la fame per mancanza di cibo salutare“.
D’altra parte Benson affermò e dimostrò la doppiezza e l’arroganza di Elisabetta: nel romanzo il minaccioso discorso, con cui la futura regina vergine tenta di indurre al tradimento uno studioso fedele a Maria, è un capolavoro di letteratura al servizio della verità storica.
Il romanzo di Benson, libro che non può mancare in una biblioteca seria, si raccomanda quale efficace antidoto all’anglofilia squillante  nei pensieri della più retriva e sciocca borghesia italiana. E come lettura disintossicante, necessaria agli irriducibili, che intendono interrompere e spezzare il vizioso circolo ecumenico avviato dagli ammiratori degli avvoltoi in volo modernizzante sopra l’infelice Concilio Vaticano II. 

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