Sante Messe in rito antico in Puglia

mercoledì 27 settembre 2017

Magnum principium vs Summorum Pontificum?

All’inizio di questo mese è stato pubblicato il m.p. Magnum principium, che, unitamente al discorso, di pochi giorni prima, del Vescovo di Roma in occasione della LXVIII Settimana liturgica nazionale (cfr. Enrico Lenzi, Udienza. Papa Francesco: la riforma liturgica è irreversibile, in Avvenire, 24.8.2017), dovrebbe costituire uno dei pilastri che rendano la c.d. riforma, elaborata a seguito del Concilio Vaticano II, un fatto definitivo e, quasi, potremmo dire, di fede. Sì, una fede, lontana da quella della Catholica, ma tutta impregnata di giansenismo o neo-giansenismo, che altro non sarebbe che la versione “cattolica” del calvinismo, e di gallicanesimo; mali questi da cui può dirsi affetta la Chiesa cattolica (di giansenismo ne parla anche don Alfredo Morselli, «Summa familiae cura»: la grazia di sempre e “le forme e modelli del passato”, in MiL, 21.9.2017).
Del resto, non è un mistero che il Vescovo di Roma riprenda a piene mani le tesi di alcuni maîtres à penser, che in anni passati si erano pur espressi in termini assolutamente analoghi, come il prof. Andrea Grillo (cfr. l’intervista allo stesso, Concilio e la Riforma irreversibile. Intervista al prof. Grillo, ivi, 7.3.2012). Non è difficile, dunque, immaginare chi siano stati gli autori ai quali l’Augusto abbia inteso ispirarsi. Il problema è, però, la scarsa lungimiranza di questi personaggi; una sostanziale incapacità di saper vedere lontano e di cogliere i “segni dei tempi”, come, ad es., la circostanza che, come è stato notato anche alla luce del recente Pellegrinaggio Summorum Pontificum, non ci sia «niente di più giovane del rito antico» (così Valerio Pece, Non c’è niente di più giovane del rito antico. A dieci anni dalla Summorum Pontificum, in Tempi, 12.9.2017), tanto da far dire all’abbé Claude Barthe, animatore di quel pellegrinaggio, che sia piuttosto il processo innestato dal Summorum Pontificum ad essere irreversibile e non già la c.d. riforma conciliare! (cfr. Summorum Pontificum est « irréversible », in Riposte Catholique, 21 sept. 2017).
Per questo, non possiamo che cogliere l’invito rivolto da Franco Parresio: diamo tempo al tempo. Sì, lasciamo sia il tempo a decidere quali siano le foglie secche destinate a cadere … .
Nella festa dei santi Anargiri e martiri, Cosma e Damiano, rilanciamo, perciò, questo contributo.









Magnum principium vs Summorum Pontificum?

di Franco Parresio

È la domanda che sicuramente molti si staranno facendo: il Magnum principium contro il Summorum Pontificum?
Un interrogativo legittimo se si considera che il motu proprio Magnum principium è stato pubblicato il 3 settembre scorso: esattamente undici giorni prima del decennale dell’entrata in vigore del motu proprio Summorum Pontificum (14 settembre 2007).
Una provocazione?
Così sembrerebbe alla luce del Discorso ai partecipanti alla 68.ma settimana liturgica nazionale, tenuto da Francesco il 24 agosto 2017, nell’Aula Paolo VI (v. qui), col quale egli, atteggiandosi a Pontifex Maximus, ha solennemente definito (si noti il plurale maiestatico):
«Possiamo affermare con sicurezza e con autorità magisteriale che la riforma liturgica è irreversibile».
Frase che, seppur sibillina, suona come una sorta di “definizione ex cathedra”.
Dico “sibillina” perché davvero poco chiara e piena di ambiguità: e in chiave progressista, secondo cui “usare i sacri edifici per arbitrari esperimenti” non solo è lecito ma doveroso, in barba a quanto invece prescrive la Mediator Dei, e in chiave tradizionalista, secondo cui “la riforma liturgica è irreversibile”… esattamente come il coma.
Ed è proprio questo stato comatoso profondo nel quale è caduto miseramente la riforma liturgica a farci serenamente dire – contrariamente a quanto si possa pensare – che il Magnum principium non solo non osteggia il Summorum Pontificum, ma addirittura lo promuove.
Può sembrare un paradosso. Invece non lo è!
Non lo è perché il Magnum principium – a sua insaputa e per sua disgrazia – avvalora e dà forza a quanto denunciato dieci or sono da Galimberti, che a pagina 23 de L’ospite inquietante (ed. Feltrinelli) scrive: «Malato è anche il lógos frantumato in lingue regionali quando dovrebbe portare con sé, come dice il suo nome, l’unità della ragione». Esattamente come la lingua latina.
Ma quel che è peggio è che il Magnum principium fa risorgere il gallicanesimo e con esso riabilita, richiamandolo dalle sue ceneri, il mai sopito giansenismo: quello di bassa lega (ce ne fossero di giansenisti del calibro di Pascal!) con le rivendicazioni per la creazione di chiese nazionali. Invero il Magnum principium fa, de facto, delle Conferenze Episcopali nazionali delle vere e proprie chiese nazionali!
Su queste basi e con questi principi il Summorum Pontificum non potrà che prosperare, grazie proprio ai suoi detrattori i quali, ammalati di creatività, non fanno altro che contribuire «a deformazioni della Liturgia al limite del sopportabile» (Benedetto XVI, Lettera di accompagnamento del motu proprio).
Tempo al tempo!

giovedì 7 settembre 2017

Un testamento e due ultimi aforismi del card. Caffarra



Fonte per questo aforisma: Eminenza, ora ci aiuti dal Cielo, in blog MiL, 6.9.2017, nonché Un sacerdote rivela le ultime drammatiche parole del card. Caffarra, in blog Lo straniero, 7.9.2017

Ci sarà padre per sempre. In ricordo del compianto card. Caffarra

Ieri abbiamo appreso la triste notizia della dipartita improvvisa del compianto card. Carlo Caffarra, arcivescovo emerito di Bologna.
Certo, era malato da tempo, ma nulla lasciava presagire una dipartita imminente o prossima, sebbene ad un auspicio sui suoi ottanta anni, che avrebbe celebrato l’anno prossimo, aveva chiosato – a mo’ di battuta – «Spero poterli festeggiare in Paradiso».
L’avevamo incontrato non molti giorni fa e, sebbene un po’ provato, aveva uno spirito vivace ed attivo. Ed era soprattutto un uomo di preghiera. L’abbiamo visto, infatti, di primo mattino, quasi all’alba, immerso nell’orazione silenziosa del Breviario, cui dedicava – lo possiamo dire per averlo visto con i nostri occhi – non meno di un paio d’ore, cui seguiva la S. Messa, celebrata con grande trasporto e convinzione.
Della sua Messa, cui abbiamo avuto la grazia di assistere, ci ha colpito il momento della consacrazione, allorché elevava l’Ostia ed il Calice a tal punto da alzarsi quasi sulle punte dei piedi; elevava l’Ostia ed Calice finché poteva, il più possibile per lui, stendendo al massimo le braccia. Questo ci ha impressionato non poco. Il Cardinale sembrava quasi voler offrire, dopo le parole consacratorie, la massima visibilità alle Sacre Specie perché fossero adorate e con lui, anche i fedeli, si stupissero delle meraviglie del Signore per il Miracolo della Transustanziazione compiutosi sull’Altare.
Un uomo di preghiera, dunque.  Del resto, solo vivendo in una profonda dimensione spirituale poteva elargire un sì saggio, illuminato e cattolico insegnamento; solo vivendo un’intima unione con Dio poteva attingere la forza di difendere le grandi verità morali sul matrimonio, sulla famiglia e sulla vita dinanzi ad un mondo incredulo, ateo ed edonista; solo vivendo in Dio poteva trovare il coraggio per contestare gli errori insinuatisi nella Chiesa, pur in alto loco, riuscendo a vedere gli attacchi del grande nemico di Dio contro la sua santa Legge (v. Luigi Amicone, È morto il cardinale Caffarra: «Bisogna che il popolo combatta per la legge come per le mura della città», in Tempi, 19.6.2015; «Nello scontro tra Dio e Satana, siamo chiamati a testimoniare pubblicamente, Non a scappare come disertori», in Il Timone, 7.9.2017. Cfr. Carlo Caffarra, «Aborto e omosessualità, così Satana sfida Dio», in LNBQ, 21.5.2017; I Dossier di BQ sul card. Caffarra, ivi; Francesco Agnoli, Quel conforto che Caffarra riceveva da Benedetto XVI, ivi, 9.9.2017; Diane Montangna, Intervista esclusiva al Cardinale Caffarra: “Quanto mi ha scritto Suor Lucia si sta adempiendo oggi”, in Aleteia, 22.5.2017; Fabio Belli, Il Cardinal Caffarra e Fatima: e profezie di Suor Lucia si stanno avverando?, in Il sussidiario, 24.5.2017; Dorothy Cummings McLean - Pete Baklinski, Abortion, homosexuality show ‘final battle’ between God and Satan has come: Cardinal, in Lifesitenews, May 19th, 2017).




Nel ricordo imperituro dell’insigne prelato, affidando la sua anima alla misericordia di Dio, affinché lo accolga nella grande Liturgia Celeste come servo buono e fedele, rilanciamo questo contributo del prof. Livio Melina.


Augustinus


Ci sarà padre per sempre

di Livio Melina

Man mano che le emozioni si placano nella preghiera, il primo momento di smarrimento per l’irreparabile perdita di un Maestro e di un Padre si trasforma nella coscienza grata di un dono ricevuto, così prezioso e unico, che, essendo radicato in Dio, neppure la morte può togliere. Chi ci è stato Padre nella verità, resta padre per sempre.
E, in effetti, come ogni autentico Maestro, il cardinale Carlo Caffarra, non legava a sé o a proprie idee, ma aiutava a guardare insieme ad una Verità più grande, da amare, ricercare e onorare senza calcoli umani e riserve. Una Verità che per lui era una Persona. Chi ha avuto il dono di essergli discepolo non può dimenticare l’esperienza affascinante di chiarezza, cui introducevano le sue lezioni, mentre offrivano una visione nuova della teologia morale. 
Superando gli schematismi dell’impostazione casuistica, che contrappone la norma alla coscienza e resta invischiata nel dibattitto sterile tra rigorismo e lassismo, egli ci ha indicato che l’origine della dinamica morale consiste nell’incontro con Cristo e ci ha mostrato come la verità sul bene apre un cammino di pienezza di vita, in armonia col disegno che Dio Creatore ha scritto nel cuore di ogni uomo. 
La chiarezza cristallina dell’insegnamento non era quindi in nessun modo rigidità ignara della complessità della vita concreta, ma piuttosto luce che mobilita per un cammino di conversione e di crescita verso il compimento della propria umanità, nella fiducia che la Grazia di Dio sempre rende possibile ciò che comanda. Radicando nel dono dell’Alleanza tra Cristo e la Chiesa la sua comprensione del sacramento del matrimonio, egli ne ha delineato i tratti di una dimora di edificazione umana ed ecclesiale e di una vera e propria via alla santità.
Come la sapienza orientale riconosce, i veri maestri sono i “genitori del cuore”, e quindi anche i padri del nostro spirito. Essi continuano a vivere e ad operare in noi, chiedendo ascolto ed ospitalità alla nostra libertà e fruttificando nelle nostre opere. 
Come sacerdote appassionato di Cristo e della Chiesa, il card. Carlo Caffarra ha esercitato una paternità nutrita di semplice e concreta sollecitudine per le persone, con una spiccata capacità di creare attorno a sé comunione di vita e spirito di fraternità, entusiasmando al lavoro comune. La grande stima e amicizia, di cui lo aveva privilegiato san Giovanni Paolo II, si concretizzò in maniera unica nell’opera di costruzione del Pontificio Istituto per Studi su Matrimonio e Famiglia, per il quale egli donò le sue energie, il suo amore, la sua creatività. Egli poi la sviluppò secondo nuove dimensioni e traiettorie come Arcivescovo di Ferrara e poi di Bologna, senza mai dimenticare la centralità del matrimonio e della famiglia nella nuova evangelizzazione.
L’amore senza riserve a Cristo, alla Chiesa e al Papa ha sempre avuto per lui la forma di una testimonianza limpida e franca per la Verità, priva di compromessi e infingimenti, per vantaggi personali o per amore del comodo. Per questo, fino all’ultimo ha saputo spendersi ed esporsi, affrontando incomprensioni, ostilità e perfino umiliazioni e derisioni, convinto che la forma più vera di amore e il miglior servizio che avrebbe potuto dare alla Chiesa e al Papa era la fedeltà alla propria coscienza e alla voce di Dio, che in essa risuona. 
È morto nell’anno centenario dei messaggi di Fatima e la misteriosa lettera scrittagli da suor Lucia in riferimento alla sua missione fondativa dell’Istituto gli permetteva di comprendere il momento presente come parte dello scontro definitivo di Cristo col Nemico, che sarebbe avvenuto proprio sul terreno del matrimonio e della famiglia cristiana, secondo le parole della veggente. Egli ha offerto la sua vita per questo, con generosa e limpida testimonianza. Che il Signore renda fruttuoso per noi questo sacrificio, in un momento così drammatico della vita della Chiesa e del mondo!
Per lui dunque sono particolarmente appropriate le parole dell’Apostolo: «Ho combattuto  la buona battaglia, ho terminato la mia corsa, ho conservato la fede. Ora mi resta solo la corona di giustizia che il Signore, giusto giudice mi consegnerà in quel giorno, e non solo a me, ma anche a tutti coloro che attendono con amore la sua manifestazione» (II Tim 4, 8).

lunedì 4 settembre 2017

Padre Nichols ha ragione quanto alla crisi dottrinale. Ma c’è una risposta migliore

Nella festa di S. Rosalia di Palermo rilanciamo volentieri questo contributo suggeritoci dal nostro amico Epifanio.

Piero Novelli detto il Monrealese, S. Rosalia, XVII sec., collezione privata

Andrea Vaccaro, S. Rosalia di Palermo, XVII sec., museo del Prado, Madrid

Andrea Sacchi, S. Rosalia di Palermo, XVII sec., museo del Prado, Madrid

Heinrich Schwemminger, Morte di S. Rosalia di Palermo, 1836, collezione privata





Gregorio Tedeschi, Trapasso di S. Rosalia, 1630 circa, Santuario di S. Rosalia, Monte Pellegrino, Palermo










Ignoto napoletano, Statua di S. Rosalia, XVIII-XIX sec., Chiesa madre, Lentiscosa

Nel post di sabato 2 settembre avevamo riportato la Proposta del P. Nichols, pubblicata il 18 agosto scorso, circa le possibilità giuridiche di una correzione formale di un Papa che fosse caduto in eresia e si fosse rivelato pervicace nel sostenerla. The Catholic Herald, il più storico e significativo periodico cattolico britannico, proponeva quello stesso giorno un altro intervento per mezzo di un articolo ragionato, il cui autore è P. Brian Harrison, O.S., teologo australiano, docente emerito di teologia alla Pontifical Catholic University of Puerto Rico, dal momento che parla fluentemente lo spagnolo.

Epifanio

Padre Nichols ha ragione quanto alla crisi dottrinale. Ma c’è una risposta migliore


Di P. Brian Harrison, traduzione di F. S.

La riforma proposta sarebbe difficile da attuare. Ecco un altro modo per cambiare la norma canonica.

Come molti fedeli cattolici, P. Aidan Nichols è preoccupato per l’inasprirsi della crisi dottrinale e pastorale derivante dall’esortazione apostolica di Papa Francesco Amoris Laetitia. Questo documento magistrale è senza precedenti, in quanto sembra essere in conflitto con diversi insegnamenti tradizionali della Chiesa: quelli che, per esempio, vietano la comunione per i cattolici divorziati risposati e quelli che affermano l’esistenza di atti intrinsecamente cattivi, che non possono mai essere giustificati in nessuna circostanza. Alcuni di questi insegnamenti certamente soddisfano le condizioni circa l’infallibilità stabilite dal Concilio Vaticano II nella Lumen Gentium, n. 25.
Tuttavia, ho alcune riserve attorno alla soluzione proposta da P. Nichols: una nuova procedura canonica «per richiamare all’ordine un Papa che insegni un errore dottrinale».
Come riconosce P. Nichols, l’antico canone, che afferma che «la Prima Sede non è giudicata da nessuno» (c. 1404 nel Codice attuale), non preclude la correzione di un Papa che sbaglia. È presente nella sezione su «I Processi» e significa semplicemente che la Chiesa non riconosce alcun tribunale, laico o religioso, che sia competente a convocare e giudicare il Romano Pontefice. L’autorevole New Commentary on the Code of Canon Law, nello spiegare questo canone, chiarisce che «non è una dichiarazione circa l’impeccabilità personale o l’inerranza del Santo Padre. Se il Papa dovesse cadere in eresia, è chiaro che perderebbe il suo ufficio. Decadere dalla fede di Pietro significa decadere dalla sua sede». La maggior parte dei grandi canonisti, così come i teologi classici come, per es., Suárez, Cajetano, Bellarmino e Giovanni di San Tommaso, hanno sostenuto questa visione, intendendo qui con ‘eresia’ l’eresia formale, che include l’elemento della pertinacia (ostinazione). Essa occorre quando ci si rifiuta di accettare la correzione anche dopo che si sia dimostrato che una certa opinione è in contraddizione con una dottrina che la Chiesa ha proposto come verità rivelata, cioè da credere «per fede divina e cattolica» (cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 2089).

Una prima soluzione poco adatta ai tempi – il concilio imperfetto


Ma il su citato Commentary aggiunge immediatamente una riserva importante: «Tuttavia, la questione di chi o quale ente … debba determinare se il Papa sia effettivamente caduto in eresia non è storicamente chiara e, ovviamente, non è stabilita da questo canone» (pag. 1618). La maggior parte dei canonisti e dei grandi teologi sopra menzionati sosteneva che solo un Concilio generale imperfetto (composto dall’intero collegio episcopale eccetto il Papa) avrebbe giurisdizione su questa questione. Questo ente, però, se necessario, non deporrebbe il Papa dall’ufficio – qualcosa che va oltre la competenza di una qualsiasi autorità terrena – ma semplicemente dichiarerebbe, come fatto evidente, che il Papa è caduto in eresia formale, col che egli decadrebbe ipso facto dall’ufficio. I Cardinali allora si riunirebbero in conclave per eleggere un nuovo Papa.
Tuttavia, nella procedura di cui sopra, si evidenzierebbe immediatamente una debolezza fatale qualora cercassimo di attuarla nel XXI secolo. E temo che questa debolezza si determinerebbe probabilmente anche al tipo più semplice di procedimento canonico suggerito da P. Nichols – che cercherà non di sostituire il Pontefice regnante, ma solo di correggerlo formalmente. Quei grandi studiosi dei secoli scorsi davano per scontata una cultura ecclesiale in cui il Collegio Episcopale manteneva una profonda e sana avversione verso l’eresia. Essi hanno quindi presupposto che, se un Papa dovesse cadere in eresia (non voglia il Cielo!), egli si sarebbe ritrovato dinnanzi a un solido muro di resistenza da parte dei rimanenti Vescovi e dal Collegio dei Cardinali, fino al punto che, chiunque venisse eletto come nuovo Papa, avrebbe apprezzato l’unanime consenso morale in materia di fede. Problema risolto.
Ma oggi, ogni tentativo di dichiarare un Papa come eretico, comporterebbe semplicemente uno scisma, con un episcopato diviso ed amareggiato e alla guida di due fazioni di fedeli sotto due Papi rivali.

La soluzione proposta da Nichols e le sue criticità


Anche la proposta di P. Nichols, anche se meno drastica, non riuscirà affatto a raggiungere l’effetto desiderato. Il problema fondamentale è che nella Chiesa del dopo-Vaticano II, secolarizzata, ecumenica, dialogica e mediatica, la salvaguardia rigorosa della verità rivelata da Cristo non è più una priorità viscerale per la maggior parte dei cattolici. E questo vale per molti Vescovi e Cardinali (come i due recenti Sinodi Romani hanno dolorosamente reso chiaro). La gerarchia non fa più uno sforzo risoluto per eliminare l’eresia. Infatti, il quadro della situazione è stato ribaltato – e ancor più sotto Papa Francesco – in modo che siano proprio quelli che detestano e si oppongono all’eterodossia che si trovano cacciati, emarginati e rimproverati per il loro «fariseismo», «rigidità», «intolleranza», «legalismo» e «mancanza di misericordia».
All’interno di questa cultura, anche supponendo che il Papa potesse venir persuaso ad approvare una emendamento alla legge canonica con cui egli stesso potesse essere corretto formalmente per un errore di insegnamento, come verrebbe formulato tale emendamento? E come funzionerebbe? Chi avrebbe autorità canonica per decidere se il Santo Padre abbia bisogno di una tale correzione, e poi di portarla avanti? Un vasto consenso di Cardinali e/o di Vescovi? Spiacenti, ma non ci sarà alcun consenso del genere. Una maggioranza semplice o di due terzi? Ancora molto improbabile che sia raggiunto e in ogni caso i Papi possono ignorare le maggioranze. Il Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede? Il Papa lo potrebbe allontanare e sostituire con la forza di un dito – come abbiamo visto recentemente per quanto è accaduto con il degno e coraggioso Cardinale Müller.

Forse…


Tuttavia, seguendo la traccia di P. Nichols, ho un suggerimento per un emendamento canonico. Il canone 212, §3 già riconosce per tutti i fedeli «in modo proporzionato alla scienza, alla competenza e al prestigio di cui godono … il diritto, e anzi talvolta anche il dovere, di manifestare ai sacri Pastori», anche pubblicamente, la loro opinione su questioni che interessano il bene della Chiesa. Devono però farlo, «salva restando l’integrità della fede e dei costumi e il rispetto verso i Pastori, tenendo inoltre presente l’utilità comune e la dignità delle persone». Suggerisco di aggiungere la seguente frase conclusiva al c. 212 §3: «Questo diritto e dovere può estendersi anche a rimostranze pubbliche rivolte al Romano Pontefice, se, in interventi che non si avvalgano della sua prerogativa dell’infallibilità, parrebbe insegnare una dottrina incompatibile con quella dei suoi predecessori alla Cattedra di Pietro».
Si tratterebbe di una modifica modesta, ovviamente non vincolante e con poche o nessuna conseguenza giuridica. Ma darebbe un bello slancio alla triste realtà della fallibilità papale e, come si suol dire, tutto giova.