sabato 30 settembre 2017
mercoledì 27 settembre 2017
Magnum principium vs Summorum Pontificum?
All’inizio di questo
mese è stato pubblicato il m.p. Magnum principium, che, unitamente al
discorso, di pochi giorni prima, del Vescovo di Roma in occasione della LXVIII
Settimana liturgica nazionale (cfr. Enrico
Lenzi, Udienza. Papa Francesco: la riforma liturgica è irreversibile,
in Avvenire,
24.8.2017), dovrebbe costituire uno dei pilastri che rendano la c.d.
riforma, elaborata a seguito del Concilio Vaticano II, un fatto definitivo e,
quasi, potremmo dire, di fede. Sì, una fede, lontana da quella della Catholica,
ma tutta impregnata di giansenismo o neo-giansenismo, che altro non sarebbe che
la versione “cattolica” del calvinismo, e di gallicanesimo; mali questi da cui
può dirsi affetta la Chiesa cattolica (di giansenismo ne parla anche don Alfredo Morselli, «Summa familiae
cura»: la grazia di sempre e “le forme e modelli del passato”, in MiL, 21.9.2017).
Del resto, non è un
mistero che il Vescovo di Roma riprenda a piene mani le tesi di alcuni maîtres
à penser, che in anni passati si erano pur espressi in termini assolutamente
analoghi, come il prof. Andrea Grillo (cfr. l’intervista allo stesso, Concilio
e la Riforma irreversibile. Intervista al prof. Grillo, ivi,
7.3.2012). Non è difficile, dunque, immaginare chi siano stati gli autori
ai quali l’Augusto abbia inteso ispirarsi. Il problema è, però, la scarsa
lungimiranza di questi personaggi; una sostanziale incapacità di saper vedere
lontano e di cogliere i “segni dei tempi”, come, ad es., la circostanza che,
come è stato notato anche alla luce del recente Pellegrinaggio Summorum
Pontificum, non ci sia «niente di più giovane del rito antico» (così Valerio Pece, Non c’è niente di più
giovane del rito antico. A dieci anni dalla Summorum Pontificum, in Tempi,
12.9.2017), tanto da far dire all’abbé Claude Barthe, animatore di quel
pellegrinaggio, che sia piuttosto il processo innestato dal Summorum
Pontificum ad essere irreversibile e non già la c.d. riforma conciliare!
(cfr. Summorum Pontificum est « irréversible », in Riposte
Catholique, 21 sept. 2017).
Per questo, non possiamo
che cogliere l’invito rivolto da Franco Parresio: diamo tempo al tempo. Sì,
lasciamo sia il tempo a decidere quali siano le foglie secche destinate a cadere
… .
Nella festa dei santi
Anargiri e martiri, Cosma e Damiano, rilanciamo, perciò, questo contributo.
Magnum principium vs Summorum
Pontificum?
di Franco Parresio
È la domanda che
sicuramente molti si staranno facendo: il Magnum principium contro il Summorum
Pontificum?
Un interrogativo
legittimo se si considera che il motu proprio Magnum
principium è stato pubblicato il 3 settembre scorso: esattamente undici
giorni prima del decennale dell’entrata in vigore del motu proprio Summorum
Pontificum (14 settembre 2007).
Una provocazione?
Così sembrerebbe alla
luce del Discorso ai partecipanti alla 68.ma settimana liturgica nazionale,
tenuto da Francesco il 24 agosto 2017, nell’Aula Paolo VI (v. qui),
col quale egli, atteggiandosi a Pontifex Maximus, ha solennemente
definito (si noti il plurale maiestatico):
«Possiamo affermare
con sicurezza e con autorità magisteriale che la riforma liturgica è irreversibile».
Frase che, seppur
sibillina, suona come una sorta di “definizione ex cathedra”.
Dico “sibillina” perché
davvero poco chiara e piena di ambiguità: e in chiave progressista, secondo cui
“usare i sacri edifici per arbitrari esperimenti” non solo è lecito ma
doveroso, in barba a quanto invece prescrive la Mediator Dei, e in
chiave tradizionalista, secondo cui “la riforma liturgica è irreversibile”… esattamente
come il coma.
Ed è proprio questo
stato comatoso profondo nel quale è caduto miseramente la riforma liturgica a
farci serenamente dire – contrariamente a quanto si possa pensare – che il Magnum
principium non solo non osteggia il Summorum Pontificum, ma
addirittura lo promuove.
Può sembrare un
paradosso. Invece non lo è!
Non lo è perché il Magnum
principium – a sua insaputa e per sua disgrazia – avvalora e dà forza a
quanto denunciato dieci or sono da Galimberti, che a pagina 23 de L’ospite inquietante
(ed. Feltrinelli) scrive: «Malato è anche il lógos frantumato in lingue
regionali quando dovrebbe portare con sé, come dice il suo nome, l’unità della
ragione». Esattamente come la lingua latina.
Ma quel che è peggio è
che il Magnum principium fa risorgere il gallicanesimo e con esso riabilita,
richiamandolo dalle sue ceneri, il mai sopito giansenismo: quello di bassa lega
(ce ne fossero di giansenisti del calibro di Pascal!) con le rivendicazioni per
la creazione di chiese nazionali. Invero il Magnum principium fa, de
facto, delle Conferenze Episcopali nazionali delle vere e proprie chiese
nazionali!
Su queste basi e con
questi principi il Summorum Pontificum non potrà che prosperare, grazie
proprio ai suoi detrattori i quali, ammalati di creatività, non fanno
altro che contribuire «a deformazioni della Liturgia al limite del sopportabile»
(Benedetto XVI, Lettera di accompagnamento del motu proprio).
Tempo al tempo!
sabato 23 settembre 2017
Pio transito di S. Pio da Pietrelcina
Cfr. Gerardo Di Flumeri, LA MORTE DI SAN FRANCESCO e la morte di Padre Pio, in La Voce di Padre Pio, 2008, fasc. 11, pp. 41 ss.
mercoledì 20 settembre 2017
martedì 19 settembre 2017
giovedì 7 settembre 2017
Un testamento e due ultimi aforismi del card. Caffarra
Fonte per questo aforisma: Eminenza, ora ci aiuti dal Cielo, in blog MiL, 6.9.2017, nonché Un sacerdote rivela le ultime drammatiche parole del card. Caffarra, in blog Lo straniero, 7.9.2017
Ci sarà padre per sempre. In ricordo del compianto card. Caffarra
Ieri
abbiamo appreso la triste notizia della dipartita improvvisa del compianto
card. Carlo Caffarra, arcivescovo emerito di Bologna.
Certo,
era malato da tempo, ma nulla lasciava presagire una dipartita imminente o prossima,
sebbene ad un auspicio sui suoi ottanta anni, che avrebbe celebrato l’anno
prossimo, aveva chiosato – a mo’ di battuta – «Spero poterli festeggiare in
Paradiso».
L’avevamo
incontrato non molti giorni fa e, sebbene un po’ provato, aveva uno spirito
vivace ed attivo. Ed era soprattutto un uomo di preghiera. L’abbiamo visto,
infatti, di primo mattino, quasi all’alba, immerso nell’orazione silenziosa
del Breviario, cui dedicava – lo possiamo dire per averlo visto con i nostri
occhi – non meno di un paio d’ore, cui seguiva la S. Messa, celebrata con grande
trasporto e convinzione.
Della sua Messa, cui abbiamo avuto la grazia di assistere, ci ha colpito il momento della consacrazione, allorché elevava l’Ostia ed il Calice a tal punto da alzarsi quasi sulle punte dei piedi; elevava l’Ostia ed Calice finché poteva, il più possibile per lui, stendendo al massimo le braccia. Questo ci ha impressionato non poco. Il Cardinale sembrava quasi voler offrire, dopo le parole consacratorie, la massima visibilità alle Sacre Specie perché fossero adorate e con lui, anche i fedeli, si stupissero delle meraviglie del Signore per il Miracolo della Transustanziazione compiutosi sull’Altare.
Della sua Messa, cui abbiamo avuto la grazia di assistere, ci ha colpito il momento della consacrazione, allorché elevava l’Ostia ed il Calice a tal punto da alzarsi quasi sulle punte dei piedi; elevava l’Ostia ed Calice finché poteva, il più possibile per lui, stendendo al massimo le braccia. Questo ci ha impressionato non poco. Il Cardinale sembrava quasi voler offrire, dopo le parole consacratorie, la massima visibilità alle Sacre Specie perché fossero adorate e con lui, anche i fedeli, si stupissero delle meraviglie del Signore per il Miracolo della Transustanziazione compiutosi sull’Altare.
Un
uomo di preghiera, dunque. Del resto,
solo vivendo in una profonda dimensione spirituale poteva elargire un sì saggio,
illuminato e cattolico insegnamento; solo vivendo un’intima unione con Dio
poteva attingere la forza di difendere le grandi verità morali sul matrimonio, sulla
famiglia e sulla vita dinanzi ad un mondo incredulo, ateo ed edonista; solo
vivendo in Dio poteva trovare il coraggio per contestare gli errori insinuatisi
nella Chiesa, pur in alto loco, riuscendo a vedere gli attacchi del grande
nemico di Dio contro la sua santa Legge (v. Luigi Amicone, È morto il cardinale Caffarra: «Bisogna
che il popolo combatta per la legge come per le mura della città», in Tempi,
19.6.2015; «Nello scontro tra Dio e Satana, siamo chiamati a
testimoniare pubblicamente, Non a scappare come disertori», in Il
Timone, 7.9.2017. Cfr. Carlo
Caffarra, «Aborto e omosessualità, così Satana sfida Dio», in LNBQ,
21.5.2017; I Dossier di BQ sul card. Caffarra, ivi; Francesco Agnoli, Quel conforto che Caffarra riceveva da Benedetto XVI, ivi, 9.9.2017; Diane Montangna, Intervista esclusiva al Cardinale Caffarra: “Quanto mi ha scritto Suor Lucia si sta adempiendo oggi”, in Aleteia, 22.5.2017; Fabio Belli, Il Cardinal Caffarra e Fatima: e profezie di Suor Lucia si stanno avverando?, in Il sussidiario, 24.5.2017; Dorothy Cummings McLean - Pete Baklinski, Abortion, homosexuality show ‘final battle’ between God and Satan has come: Cardinal, in Lifesitenews, May 19th, 2017).
Nel
ricordo imperituro dell’insigne prelato, affidando la sua anima alla
misericordia di Dio, affinché lo accolga nella grande Liturgia Celeste come
servo buono e fedele, rilanciamo questo contributo del prof. Livio Melina.
Augustinus
Ci sarà padre per
sempre
di Livio Melina
Man mano che le emozioni
si placano nella preghiera, il primo momento di smarrimento per l’irreparabile
perdita di un Maestro e di un Padre si trasforma nella coscienza grata di un
dono ricevuto, così prezioso e unico, che, essendo radicato in Dio, neppure la
morte può togliere. Chi ci è stato Padre nella verità, resta padre per sempre.
E, in
effetti, come ogni autentico Maestro, il cardinale Carlo Caffarra, non
legava a sé o a proprie idee, ma aiutava a guardare insieme ad una Verità più
grande, da amare, ricercare e onorare senza calcoli umani e riserve. Una Verità
che per lui era una Persona. Chi ha avuto il dono di essergli discepolo non può
dimenticare l’esperienza affascinante di chiarezza, cui introducevano le sue
lezioni, mentre offrivano una visione nuova della teologia morale.
Superando
gli schematismi dell’impostazione casuistica, che contrappone la
norma alla coscienza e resta invischiata nel dibattitto sterile tra rigorismo e
lassismo, egli ci ha indicato che l’origine della dinamica morale consiste
nell’incontro con Cristo e ci ha mostrato come la verità sul bene apre un
cammino di pienezza di vita, in armonia col disegno che Dio Creatore ha scritto
nel cuore di ogni uomo.
La chiarezza cristallina
dell’insegnamento non era quindi in nessun modo rigidità ignara della
complessità della vita concreta, ma piuttosto luce che mobilita per un cammino
di conversione e di crescita verso il compimento della propria umanità, nella
fiducia che la Grazia di Dio sempre rende possibile ciò che comanda. Radicando
nel dono dell’Alleanza tra Cristo e la Chiesa la sua comprensione del
sacramento del matrimonio, egli ne ha delineato i tratti di una dimora di
edificazione umana ed ecclesiale e di una vera e propria via alla santità.
Come
la sapienza orientale riconosce, i veri maestri sono i “genitori del
cuore”, e quindi anche i padri del nostro spirito. Essi continuano a vivere e
ad operare in noi, chiedendo ascolto ed ospitalità alla nostra libertà e
fruttificando nelle nostre opere.
Come
sacerdote appassionato di Cristo e della Chiesa, il card. Carlo
Caffarra ha esercitato una paternità nutrita di semplice e concreta
sollecitudine per le persone, con una spiccata capacità di creare attorno a sé
comunione di vita e spirito di fraternità, entusiasmando al lavoro comune. La
grande stima e amicizia, di cui lo aveva privilegiato san Giovanni Paolo II, si
concretizzò in maniera unica nell’opera di costruzione del Pontificio Istituto
per Studi su Matrimonio e Famiglia, per il quale egli donò le sue energie, il
suo amore, la sua creatività. Egli poi la sviluppò secondo nuove dimensioni e
traiettorie come Arcivescovo di Ferrara e poi di Bologna, senza mai dimenticare
la centralità del matrimonio e della famiglia nella nuova evangelizzazione.
L’amore
senza riserve a Cristo, alla Chiesa e al Papa ha sempre avuto
per lui la forma di una testimonianza limpida e franca per la Verità, priva di
compromessi e infingimenti, per vantaggi personali o per amore del comodo. Per
questo, fino all’ultimo ha saputo spendersi ed esporsi, affrontando
incomprensioni, ostilità e perfino umiliazioni e derisioni, convinto che la
forma più vera di amore e il miglior servizio che avrebbe potuto dare alla
Chiesa e al Papa era la fedeltà alla propria coscienza e alla voce di Dio, che
in essa risuona.
È
morto nell’anno centenario dei messaggi di Fatima e la misteriosa
lettera scrittagli da suor Lucia in riferimento alla sua missione fondativa
dell’Istituto gli permetteva di comprendere il momento presente come parte
dello scontro definitivo di Cristo col Nemico, che sarebbe avvenuto proprio sul
terreno del matrimonio e della famiglia cristiana, secondo le parole della
veggente. Egli ha offerto la sua vita per questo, con generosa e limpida
testimonianza. Che il Signore renda fruttuoso per noi questo sacrificio, in un
momento così drammatico della vita della Chiesa e del mondo!
Per
lui dunque sono particolarmente appropriate le parole dell’Apostolo: «Ho combattuto
la buona battaglia, ho terminato la mia corsa, ho conservato la fede. Ora
mi resta solo la corona di giustizia che il Signore, giusto giudice mi
consegnerà in quel giorno, e non solo a me, ma anche a tutti coloro che
attendono con amore la sua manifestazione» (II Tim 4, 8).
Fonte: LNBQ,
7.9.2017
lunedì 4 settembre 2017
Padre Nichols ha ragione quanto alla crisi dottrinale. Ma c’è una risposta migliore
Nella festa di S. Rosalia di Palermo rilanciamo volentieri questo contributo suggeritoci dal nostro amico Epifanio.
Piero Novelli detto il Monrealese, S. Rosalia, XVII sec., collezione privata |
Andrea Vaccaro, S. Rosalia di Palermo, XVII sec., museo del Prado, Madrid |
Andrea Sacchi, S. Rosalia di Palermo, XVII sec., museo del Prado, Madrid |
Heinrich Schwemminger, Morte di S. Rosalia di Palermo, 1836, collezione privata |
Gregorio Tedeschi, Trapasso di S. Rosalia, 1630 circa, Santuario di S. Rosalia, Monte Pellegrino, Palermo |
Ignoto napoletano, Statua di S. Rosalia, XVIII-XIX sec., Chiesa madre, Lentiscosa |
Nel post di sabato 2 settembre avevamo riportato la Proposta del P. Nichols,
pubblicata il 18 agosto scorso, circa le possibilità giuridiche di una correzione
formale di un Papa che fosse caduto in eresia e si fosse rivelato pervicace nel
sostenerla. The
Catholic Herald, il più storico e significativo periodico
cattolico britannico, proponeva quello stesso giorno un altro intervento per
mezzo di un articolo ragionato, il cui autore è P. Brian Harrison, O.S.,
teologo australiano, docente emerito di teologia alla Pontifical Catholic University of Puerto
Rico, dal momento che parla fluentemente lo spagnolo.
Epifanio
Padre
Nichols ha ragione quanto alla crisi dottrinale. Ma c’è una risposta migliore
Di P.
Brian Harrison, traduzione di F. S.
La riforma proposta sarebbe difficile da attuare. Ecco un altro
modo per cambiare la norma canonica.
Come molti fedeli
cattolici, P. Aidan Nichols è preoccupato per l’inasprirsi della crisi dottrinale
e pastorale derivante dall’esortazione apostolica di Papa Francesco Amoris Laetitia. Questo documento
magistrale è senza precedenti, in quanto sembra essere in conflitto con diversi
insegnamenti tradizionali della Chiesa: quelli che, per esempio, vietano la
comunione per i cattolici divorziati risposati e quelli che affermano l’esistenza
di atti intrinsecamente cattivi, che non possono mai essere giustificati in
nessuna circostanza. Alcuni di questi insegnamenti certamente soddisfano le
condizioni circa l’infallibilità stabilite dal Concilio Vaticano II nella Lumen Gentium, n. 25.
Tuttavia, ho alcune
riserve attorno alla soluzione proposta da P. Nichols: una nuova procedura canonica
«per richiamare all’ordine un Papa che insegni un errore dottrinale».
Come riconosce P.
Nichols, l’antico canone, che afferma che «la Prima Sede non è giudicata da
nessuno» (c. 1404 nel Codice attuale), non preclude la correzione di un Papa che
sbaglia. È presente nella sezione su «I Processi» e significa semplicemente che
la Chiesa non riconosce alcun tribunale, laico o religioso, che sia competente
a convocare e giudicare il Romano Pontefice. L’autorevole New Commentary on the Code of Canon Law, nello spiegare questo
canone, chiarisce che «non è una dichiarazione circa l’impeccabilità personale
o l’inerranza del Santo Padre. Se il Papa dovesse cadere in eresia, è chiaro che perderebbe il suo
ufficio. Decadere dalla fede di Pietro significa decadere dalla sua sede».
La maggior parte dei grandi canonisti, così come i teologi classici come, per es.,
Suárez, Cajetano, Bellarmino e Giovanni di San Tommaso, hanno sostenuto questa
visione, intendendo qui con ‘eresia’ l’eresia formale, che include l’elemento della pertinacia (ostinazione). Essa
occorre quando ci si rifiuta di accettare la correzione anche dopo che si sia dimostrato
che una certa opinione è in contraddizione con una dottrina che la Chiesa ha
proposto come verità rivelata, cioè da credere «per fede divina e cattolica»
(cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 2089).
Una prima soluzione poco
adatta ai tempi – il concilio imperfetto
Ma il su citato Commentary aggiunge immediatamente una
riserva importante: «Tuttavia, la questione di chi o quale ente … debba
determinare se il Papa sia effettivamente caduto in eresia non è storicamente
chiara e, ovviamente, non è stabilita da questo canone» (pag. 1618). La maggior
parte dei canonisti e dei grandi teologi sopra menzionati sosteneva che solo un
Concilio generale imperfetto
(composto dall’intero collegio episcopale eccetto il Papa) avrebbe
giurisdizione su questa questione. Questo ente, però, se necessario, non deporrebbe
il Papa dall’ufficio – qualcosa che va oltre la competenza di una qualsiasi autorità
terrena – ma semplicemente dichiarerebbe, come fatto evidente, che il Papa è caduto
in eresia formale, col che egli decadrebbe ipso
facto dall’ufficio. I Cardinali allora si riunirebbero in conclave per
eleggere un nuovo Papa.
Tuttavia, nella
procedura di cui sopra, si evidenzierebbe immediatamente una debolezza fatale
qualora cercassimo di attuarla nel XXI secolo. E temo che questa debolezza si
determinerebbe probabilmente anche al tipo più semplice di procedimento
canonico suggerito da P. Nichols – che cercherà non di sostituire il Pontefice
regnante, ma solo di correggerlo formalmente. Quei grandi studiosi dei secoli
scorsi davano per scontata una cultura ecclesiale in cui il Collegio Episcopale
manteneva una profonda e sana avversione verso l’eresia. Essi hanno quindi
presupposto che, se un Papa dovesse cadere in eresia (non voglia il Cielo!),
egli si sarebbe ritrovato dinnanzi a un solido muro di resistenza da parte dei
rimanenti Vescovi e dal Collegio dei Cardinali, fino al punto che, chiunque
venisse eletto come nuovo Papa, avrebbe apprezzato l’unanime consenso morale in
materia di fede. Problema risolto.
Ma oggi, ogni tentativo
di dichiarare un Papa come eretico, comporterebbe semplicemente uno scisma, con
un episcopato diviso ed amareggiato e alla guida di due fazioni di fedeli sotto
due Papi rivali.
La soluzione proposta da
Nichols e le sue criticità
Anche la proposta di P.
Nichols, anche se meno drastica, non riuscirà affatto a raggiungere l’effetto
desiderato. Il problema fondamentale è che nella Chiesa del dopo-Vaticano II, secolarizzata,
ecumenica, dialogica e mediatica, la salvaguardia rigorosa della verità
rivelata da Cristo non è più una priorità viscerale per la maggior parte dei
cattolici. E questo vale per molti Vescovi e Cardinali (come i due recenti Sinodi
Romani hanno dolorosamente reso chiaro). La gerarchia non fa più uno sforzo risoluto
per eliminare l’eresia. Infatti, il quadro della situazione è stato ribaltato –
e ancor più sotto Papa Francesco – in modo che siano proprio quelli che
detestano e si oppongono all’eterodossia che si trovano cacciati, emarginati e
rimproverati per il loro «fariseismo», «rigidità», «intolleranza», «legalismo» e
«mancanza di misericordia».
All’interno di questa
cultura, anche supponendo che il Papa potesse venir persuaso ad approvare una emendamento
alla legge canonica con cui egli stesso potesse essere corretto formalmente per
un errore di insegnamento, come verrebbe formulato tale emendamento? E come
funzionerebbe? Chi avrebbe autorità canonica per decidere se il Santo Padre abbia
bisogno di una tale correzione, e poi di portarla avanti? Un vasto consenso di
Cardinali e/o di Vescovi? Spiacenti, ma non ci sarà alcun consenso del genere.
Una maggioranza semplice o di due terzi? Ancora molto improbabile che sia
raggiunto e in ogni caso i Papi possono ignorare le maggioranze. Il Prefetto
della Congregazione per la Dottrina della Fede? Il Papa lo potrebbe allontanare
e sostituire con la forza
di un dito – come abbiamo visto recentemente per quanto è accaduto con
il degno e coraggioso Cardinale Müller.
Forse…
Tuttavia, seguendo la
traccia di P. Nichols, ho un suggerimento per un emendamento canonico. Il canone
212, §3 già riconosce per tutti i fedeli «in modo proporzionato alla scienza, alla
competenza e al prestigio di cui godono … il diritto, e anzi talvolta anche il
dovere, di manifestare ai sacri Pastori», anche pubblicamente, la loro opinione
su questioni che interessano il bene della Chiesa. Devono però farlo, «salva
restando l’integrità della fede e dei costumi e il rispetto verso i Pastori,
tenendo inoltre presente l’utilità comune e la dignità delle persone».
Suggerisco di aggiungere la seguente frase conclusiva al c. 212 §3: «Questo
diritto e dovere può estendersi anche a rimostranze pubbliche rivolte al Romano
Pontefice, se, in interventi che non si avvalgano della sua prerogativa dell’infallibilità,
parrebbe insegnare una dottrina incompatibile con quella dei suoi predecessori alla
Cattedra di Pietro».
Si tratterebbe di una
modifica modesta, ovviamente non vincolante e con poche o nessuna conseguenza
giuridica. Ma darebbe un bello slancio alla triste realtà della fallibilità papale
e, come si suol dire, tutto giova.