È poco noto, ma Giovanni XXIII, il “papa buono”, non nutriva molte simpatie
per S. Pio X così come per Pio XII e per S. Pio da Pietrelcina, provando invece
grande venerazione per don Primo Mazzolari.
Indro Montanelli, infatti, raccontando della sua intervista a papa
Roncalli, nel marzo 1959, per conto del Corriere della sera, così
rammentava: «Allora, quando lui mi disse “in quell’occasione venni a Roma e fui
ricevuto da papa Sarto”, io feci quasi automaticamente: “È un santo…”, e lui,
mi ricordo, replicò e di scatto dette un colpo sul bracciolo della sua sedia: “Ma
quale santo!”» (Giovanni Cubeddu, La
Chiesa che ho conosciuto, Intervista a Indro Montanelli, in 30Giorni, 2000,
fasc. n. 7-8).
Eppure dopo pochi giorni dall’intervista, nella primavera di quell’anno,
Giovanni XXIII permise di soddisfare la promessa dell’allora papa Sarto, che
cioè, vivo o morto, sarebbe tornato a Venezia. Il video (v. qui), che mostra la partenza in treno
per Venezia dell’urna col corpo di S. Pio X, ci consegnano le immagini di un
Giovanni XXIII dal volto insolitamente tirato, quasi forzato; un atteggiamento
insolito per il “papa buono” così come ce l’ha consegnato la vulgata popolare.
Ma c’è un motivo di quest’antipatia di papa Giovanni verso S. Pio X. Papa
Sarto ingaggiò, come noto, una lotta senza quartiere nei confronti del
modernismo, del quale un esponente significativo in Italia fu Ernesto Buonaiuti,
del quale il Roncalli fu grande ed intimo amico. In effetti, don Angelo insegnava all’Apollinare
utilizzando le dispense dell’amico già in odore di eresia (cfr. Gianni Gennari, Quel modernista amico
di papa Giovanni, in Vatican
Insider, 4.10.2013). Del resto, il Buonaiuti (v. foto a sinistra in abiti sacerdotali) fu assistente del giovane
don Angelo nella sua prima messa celebrata, nell’estate del 1904, a Roma, nella
Basilica di Santa Maria in Montesanto (10 agosto 1904).
È poco noto, ma proprio di questa amicizia tra Giovanni XXIII e l’eretico
Bonaiuti ne parlava Giulio Andretti, nel famoso libro I quattro del Gesù
(Rizzoli, Milano 1999), raccontando come un gruppetto di quattro seminaristi
irrequieti (don Giulio Belvederi – zio della moglie di Andreotti -, don Ernesto Buonaiuti, don Alfonso Manaresi – che abbandonò lo stato clericale – e don
Angelo Roncalli), che, agli inizi del ‘900, si incontravano, presso la chiesa
romana del Gesù, con puntualità maniacale “tale da poterci regolare gli orologi”
(come ricordava Andreotti riportando la testimonianza di un custode della
chiesa del Gesù) per discorrere tra loro con una certa animazione di quelle che
sarebbero poi divenute le novità del futuro Concilio Vaticano II. Andreotti
riferiva poi, che, ricevuto dall’allora papa Roncalli, questi gli previde che
molte di quei progetti degli allora quattro giovani seminaristi sarebbero stati
poi “costituzionalizzati” dall’assise conciliare: Concilio che, di lì a tre
giorni, il papa avrebbe annunciato nella Basilica di S. Paolo fuori le mura (ivi,
pp. 103 ss.). Qualche anno prima, sempre Andreotti, avendo incontrato l’allora
Patriarca di Venezia Roncalli, gli chiese della santità di papa Sarto. Il
patriarca Roncalli diede una risposta … diplomatica: «Giuseppe Sarto,
indipendentemente dal riconoscimento solenne sopravvenuto, era un santo
integrale. Fare il Papa non è mai facile, ma Pio X si trovò a guidare la Chiesa
in una congiuntura tra le più difficili; e fu obbligato, tenendo fermo il
timone, anche a infliggere qualche punizione oggettivamente non del tutto meritata»
(ivi, pp. 122 ss.). Insomma, per Giovanni XXIII, S. Pio X era santo
… con alcune riserve … . Il Santo papa Sarto era stato, dopotutto, il martello
dei modernisti e tra quelli che cominciarono ad essere colpiti vi era l’amico
di papa Roncalli.
Per questo motivo sono facilmente intuibili le ragioni di stizza manifestate ad Indro Montanelli nel marzo 1959 … .
Per questo motivo sono facilmente intuibili le ragioni di stizza manifestate ad Indro Montanelli nel marzo 1959 … .
Riproponiamo, quindi, un contributo del prof. De Mattei.
Cartolina di S. Pio X in occasione del Congresso eucaristico di Madrid del 1911 |
IN MEMORIAM: il vero volto di san Pio X
di Roberto de Mattei
Cento anni dopo la
sua morte la figura di san Pio X si erge dolente e maestosa, nel firmamento
della Chiesa. La tristezza che vela lo sguardo di Papa Sarto nelle ultime
fotografie, non lascia solo intravedere le catastrofiche conseguenze della
guerra mondiale, iniziata tre settimane prima della sua morte. Ciò che la sua
anima sembra presagire è una tragedia di portata ancora maggiore delle guerre e
delle rivoluzioni del Novecento: l’apostasia delle nazioni e degli stessi
uomini di Chiesa, nel secolo che sarebbe seguito.
Il principale nemico
che san Pio X dovette affrontare aveva un nome, con cui lo stesso Pontefice lo
designò: modernismo. La lotta implacabile al modernismo caratterizzò indelebilmente
il suo pontificato e costituisce un elemento di fondo della sua santità. «La
lucidità e la fermezza con cui Pio X condusse la vittoriosa lotta contro gli
errori del modernismo – affermò Pio XII nel discorso di canonizzazione
di Papa Sarto – attestano in quale eroico grado la virtù della fede
ardeva nel suo cuore di santo (…)».
Al modernismo, che si
proponeva «un’apostasia universale dalla fede e dalla disciplina della
Chiesa», san Pio X opponeva un’autentica riforma che aveva il suo punto
principale nella custodia e nella trasmissione della verità cattolica. L’enciclica Pascendi (1907),con
cui fulminò gli errori del modernismo, è il documento teologico e filosofico
più importante prodotto dalla Chiesa cattolica nel XX secolo. Ma san Pio X non
si limitò a combattere il male nelle idee, come se esse fossero disincarnate
dalla storia. Egli volle colpire i portatori storici degli errori, comminando
censure ecclesiastiche, vigilando nei seminari e nelle università pontificie,
imponendo a tutti i sacerdoti il giuramento antimodernista.
Questa coerenza tra
la dottrina e la prassi pontificia suscitò violenti attacchi da parte degli
ambienti cripto-modernisti. Quando Pio XII ne promosse la beatificazione (1951)
e la canonizzazione (1954), Papa Sarto fu definito dagli oppositori estraneo ai
fermenti rinnovatori del suo tempo, colpevole di aver represso il modernismo
con metodi brutali e polizieschi. Pio XII affidò a mons. Ferdinando Antonelli,
futuro cardinale, la redazione di una Disquisitio storica
dedicata a smontare le accuse rivolte al suo predecessore sulla base di
testimonianze e di documenti,. Ma oggi queste accuse riaffiorano perfino nella
“celebrazione” che l’“Osservatore Romano” ha dedicato a san Pio X, per la penna
di Carlo Fantappié, proprio il 20 agosto, anniversario della sua morte.
Il prof. Fantappié
recensendo sul quotidiano della Santa Sede, il volume di Gianpaolo Romanato Pio
X. Alle origini del cattolicesimo contemporaneo (Lindau, Torino 2014),
nella sua preoccupazione di prendere le distanze dalle «strumentalizzazioni
dei lefebvriani», come scrive in maniera infelice, utilizzando un termine
privo di qualsiasi significato teologico, arriva ad identificarsi con le
posizioni degli storici modernisti. Egli attribuisce infatti a Pio X, «un
modo autocratico di concepire il governo della Chiesa», accompagnato «da
un atteggiamento tendenzialmente difensivo nei confronti dell’establishment e
diffidente nei riguardi degli stessi collaboratori, della cui fedeltà e
obbedienza non di rado dubitava». Ciò«fa comprendere anche
come sia stato possibile che il Papa abbia sconfinato in pratiche dissimulatorie
o esercitato una particolare sospettosità e durezza nei confronti di taluni
cardinali, vescovi e chierici. Avvalendosi delle indagini recenti sulle carte vaticane,
Romanato elimina definitivamente quelle ipotesi apologetiche che cercavano di
addebitare le responsabilità delle misure poliziesche agli stretti
collaboratori anziché direttamente al Papa». Si tratta delle medesime
critiche riproposte qualche anno fa, in un articolo dedicato a Pio X
flagello dei modernisti, da Alberto Melloni, secondo cui «le carte ci
consentono di documentare l’anno con cui Pio IX era stato parte cosciente ed
attiva della violenza istituzionale attuata dagli antimodernisti» (“Corriere
della Sera”, 23 agosto 2006).
Il problema di fondo,
non sarebbe «quello del metodo con cui fu represso il modernismo, bensì
quello della opportunità e validità della sua condanna». La visione di san
Pio X era “superata” dalla storia, perché egli non comprese gli sviluppi della
teologia e dell’ecclesiologia del Novecento. La sua figura in fondo ha il ruolo
dialettico di un’antitesi rispetto alla tesi della “modernità teologica”.
Perciò Fantappié conclude che il ruolo di Pio X sarebbe stato quello di «traghettare
il cattolicesimo dalle strutture e dalla mentalità della Restaurazione alla
modernità istituzionale, giuridica e pastorale».
Per cercare di uscire
da questa confusione possiamo ricorrere ad un altro volume, quello di Cristina
Siccardi, appena pubblicato dalle edizioni San Paolo, con il titolo San Pio
X. Vita del Papa che ha ordinato e riformato la Chiesa, e con una preziosa
prefazione di Sua Eminenza il cardinale Raymond Burke, prefetto del Supremo
tribunale della Segnatura Apostolica.
Il cardinale ricorda
come fin dalla sua prima Lettera enciclica E supremi apostolatus del
4 ottobre 1903, san Pio X annunciava il programma del suo pontificato che
affrontava una situazione nel mondo di confusione e di errori sulla fede e,
nella Chiesa, di perdita della fede da parte di molti. A questa apostasia egli
contrapponeva le parole di san Paolo: Instaurare omnia in Christo,
ricondurre a Cristo tutte le cose. «Instaurare omnia in Christo – scrive il
cardinale Burke – è veramente la cifra del pontificato di san Pio X,
tutto teso a ricristianizzare la società aggredita dal relativismo liberale,
che calpestava i diritti di Dio in nome di una “scienza” svincolata da ogni
tipo di legame con il Creatore» (p. 9).
E’ in questa
prospettiva che si situa l’opera riformatrice di san Pio X, che è innanzitutto
un’opera catechetica, perché egli comprese che agli errori dilaganti occorreva
contrapporre una conoscenza sempre più profonda della fede, diffusa ai più
semplici, a cominciare dai bambini. Verso la fine del 1912, il suo desiderio si
realizzò con la pubblicazione del Catechismo che da lui prende
il nome, destinato in origine alla Diocesi di Roma, ma poi diffuso in tutte le
diocesi di Italia e del mondo.
La gigantesca opera
riformatrice e restauratrice di san Pio X si svolse nella incomprensione degli
stessi ambienti ecclesiastici. «San Pio X – scrive Cristina
Siccardi – non cercò il consenso della Curia romana, dei sacerdoti, dei
vescovi, dei cardinali, dei fedeli, e soprattutto non cercò il consenso del
mondo, ma sempre e solo il consenso di Dio, anche a danno della propria
immagine pubblica e, così facendo, è indubbio, si fece molti nemici in vita e
ancor più in morte» (p. 25).
Oggi possiamo dire
che i peggiori nemici non sono coloro che lo attaccano frontalmente, ma quelli
che cercano di svuotare il significato della sua opera, facendone un precursore
delle riforme conciliari e postconciliari. Il quotidiano “La Tribuna di
Treviso”, ci informa che in occasione del centenario della morte di san Pio X,
la diocesi di Treviso ha «aperto le porte a divorziati e coppie di fatto»,
invitandole, in cinque chiese, tra cui la chiesa di Riese, paese natale di Papa
Giuseppe Sarto, al fine di pregare per la buona riuscita del Sinodo di Ottobre
sulla famiglia, di cui il cardinale Kasper ha dettato la linea, nella sua
relazione al Concistoro del 20 febbraio. Fare di san Pio X il precursore del
cardinale Kasper è un’offesa di fronte a cui la sprezzante definizione melloniana
di «flagello dei modernisti» diviene un complimento.
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