domenica 3 settembre 2017

Il vero volto di S. Pio X

È poco noto, ma Giovanni XXIII, il “papa buono”, non nutriva molte simpatie per S. Pio X così come per Pio XII e per S. Pio da Pietrelcina, provando invece grande venerazione per don Primo Mazzolari.
Indro Montanelli, infatti, raccontando della sua intervista a papa Roncalli, nel marzo 1959, per conto del Corriere della sera, così rammentava: «Allora, quando lui mi disse “in quell’occasione venni a Roma e fui ricevuto da papa Sarto”, io feci quasi automaticamente: “È un santo…”, e lui, mi ricordo, replicò e di scatto dette un colpo sul bracciolo della sua sedia: “Ma quale santo!”» (Giovanni Cubeddu, La Chiesa che ho conosciuto, Intervista a Indro Montanelli, in 30Giorni, 2000, fasc. n. 7-8).
Eppure dopo pochi giorni dall’intervista, nella primavera di quell’anno, Giovanni XXIII permise di soddisfare la promessa dell’allora papa Sarto, che cioè, vivo o morto, sarebbe tornato a Venezia. Il video (v. qui), che mostra la partenza in treno per Venezia dell’urna col corpo di S. Pio X, ci consegnano le immagini di un Giovanni XXIII dal volto insolitamente tirato, quasi forzato; un atteggiamento insolito per il “papa buono” così come ce l’ha consegnato la vulgata popolare.
Ma c’è un motivo di quest’antipatia di papa Giovanni verso S. Pio X. Papa Sarto ingaggiò, come noto, una lotta senza quartiere nei confronti del modernismo, del quale un esponente significativo in Italia fu Ernesto Buonaiuti, del quale il Roncalli fu grande ed intimo amico. In effetti, don Angelo insegnava all’Apollinare utilizzando le dispense dell’amico già in odore di eresia (cfr. Gianni Gennari, Quel modernista amico di papa Giovanni, in Vatican Insider, 4.10.2013). Del resto, il Buonaiuti (v. foto a sinistra in abiti sacerdotali) fu assistente del giovane don Angelo nella sua prima messa celebrata, nell’estate del 1904, a Roma, nella Basilica di Santa Maria in Montesanto (10 agosto 1904).
È poco noto, ma proprio di questa amicizia tra Giovanni XXIII e l’eretico Bonaiuti ne parlava Giulio Andretti, nel famoso libro I quattro del Gesù (Rizzoli, Milano 1999), raccontando come un gruppetto di quattro seminaristi irrequieti (don Giulio Belvederi – zio della moglie di Andreotti -, don Ernesto Buonaiuti, don Alfonso Manaresi – che abbandonò lo stato clericale – e don Angelo Roncalli), che, agli inizi del ‘900, si incontravano, presso la chiesa romana del Gesù, con puntualità maniacale “tale da poterci regolare gli orologi” (come ricordava Andreotti riportando la testimonianza di un custode della chiesa del Gesù) per discorrere tra loro con una certa animazione di quelle che sarebbero poi divenute le novità del futuro Concilio Vaticano II. Andreotti riferiva poi, che, ricevuto dall’allora papa Roncalli, questi gli previde che molte di quei progetti degli allora quattro giovani seminaristi sarebbero stati poi “costituzionalizzati” dall’assise conciliare: Concilio che, di lì a tre giorni, il papa avrebbe annunciato nella Basilica di S. Paolo fuori le mura (ivi, pp. 103 ss.). Qualche anno prima, sempre Andreotti, avendo incontrato l’allora Patriarca di Venezia Roncalli, gli chiese della santità di papa Sarto. Il patriarca Roncalli diede una risposta … diplomatica: «Giuseppe Sarto, indipendentemente dal riconoscimento solenne sopravvenuto, era un santo integrale. Fare il Papa non è mai facile, ma Pio X si trovò a guidare la Chiesa in una congiuntura tra le più difficili; e fu obbligato, tenendo fermo il timone, anche a infliggere qualche punizione oggettivamente non del tutto meritata» (ivi, pp. 122 ss.). Insomma, per Giovanni XXIII, S. Pio X era santo … con alcune riserve … . Il Santo papa Sarto era stato, dopotutto, il martello dei modernisti e tra quelli che cominciarono ad essere colpiti vi era l’amico di papa Roncalli.
Per questo motivo sono facilmente intuibili le ragioni di stizza manifestate ad Indro Montanelli nel marzo 1959 … .
Riproponiamo, quindi, un contributo del prof. De Mattei.

Cartolina di S. Pio X in occasione del Congresso eucaristico di Madrid del 1911





IN MEMORIAM: il vero volto di san Pio X

di Roberto de Mattei


Cento anni dopo la sua morte la figura di san Pio X si erge dolente e maestosa, nel firmamento della Chiesa. La tristezza che vela lo sguardo di Papa Sarto nelle ultime fotografie, non lascia solo intravedere le catastrofiche conseguenze della guerra mondiale, iniziata tre settimane prima della sua morte. Ciò che la sua anima sembra presagire è una tragedia di portata ancora maggiore delle guerre e delle rivoluzioni del Novecento: l’apostasia delle nazioni e degli stessi uomini di Chiesa, nel secolo che sarebbe seguito.
Il principale nemico che san Pio X dovette affrontare aveva un nome, con cui lo stesso Pontefice lo designò: modernismo. La lotta implacabile al modernismo caratterizzò indelebilmente il suo pontificato e costituisce un elemento di fondo della sua santità. «La lucidità e la fermezza con cui Pio X condusse la vittoriosa lotta contro gli errori del modernismo – affermò Pio XII nel discorso di canonizzazione di Papa Sarto – attestano in quale eroico grado la virtù della fede ardeva nel suo cuore di santo (…)».
Al modernismo, che si proponeva «un’apostasia universale dalla fede e dalla disciplina della Chiesa», san Pio X opponeva un’autentica riforma che aveva il suo punto principale nella custodia e nella trasmissione della verità cattolica. L’enciclica Pascendi (1907),con cui fulminò gli errori del modernismo, è il documento teologico e filosofico più importante prodotto dalla Chiesa cattolica nel XX secolo. Ma san Pio X non si limitò a combattere il male nelle idee, come se esse fossero disincarnate dalla storia. Egli volle colpire i portatori storici degli errori, comminando censure ecclesiastiche, vigilando nei seminari e nelle università pontificie, imponendo a tutti i sacerdoti il giuramento antimodernista.
Questa coerenza tra la dottrina e la prassi pontificia suscitò violenti attacchi da parte degli ambienti cripto-modernisti. Quando Pio XII ne promosse la beatificazione (1951) e la canonizzazione (1954), Papa Sarto fu definito dagli oppositori estraneo ai fermenti rinnovatori del suo tempo, colpevole di aver represso il modernismo con metodi brutali e polizieschi. Pio XII affidò a mons. Ferdinando Antonelli, futuro cardinale, la redazione di una Disquisitio storica dedicata a smontare le accuse rivolte al suo predecessore sulla base di testimonianze e di documenti,. Ma oggi queste accuse riaffiorano perfino nella “celebrazione” che l’“Osservatore Romano” ha dedicato a san Pio X, per la penna di Carlo Fantappié, proprio il 20 agosto, anniversario della sua morte.
Il prof. Fantappié recensendo sul quotidiano della Santa Sede, il volume di Gianpaolo Romanato Pio X. Alle origini del cattolicesimo contemporaneo (Lindau, Torino 2014), nella sua preoccupazione di prendere le distanze dalle «strumentalizzazioni dei lefebvriani», come scrive in maniera infelice, utilizzando un termine privo di qualsiasi significato teologico, arriva ad identificarsi con le posizioni degli storici modernisti. Egli attribuisce infatti a Pio X, «un modo autocratico di concepire il governo della Chiesa», accompagnato «da un atteggiamento tendenzialmente difensivo nei confronti dell’establishment e diffidente nei riguardi degli stessi collaboratori, della cui fedeltà e obbedienza non di rado dubitava»Ciò«fa comprendere anche come sia stato possibile che il Papa abbia sconfinato in pratiche dissimulatorie o esercitato una particolare sospettosità e durezza nei confronti di taluni cardinali, vescovi e chierici. Avvalendosi delle indagini recenti sulle carte vaticane, Romanato elimina definitivamente quelle ipotesi apologetiche che cercavano di addebitare le responsabilità delle misure poliziesche agli stretti collaboratori anziché direttamente al Papa». Si tratta delle medesime critiche riproposte qualche anno fa, in un articolo dedicato a Pio X flagello dei modernisti, da Alberto Melloni, secondo cui «le carte ci consentono di documentare l’anno con cui Pio IX era stato parte cosciente ed attiva della violenza istituzionale attuata dagli antimodernisti» (“Corriere della Sera”, 23 agosto 2006).
Il problema di fondo, non sarebbe «quello del metodo con cui fu represso il modernismo, bensì quello della opportunità e validità della sua condanna». La visione di san Pio X era “superata” dalla storia, perché egli non comprese gli sviluppi della teologia e dell’ecclesiologia del Novecento. La sua figura in fondo ha il ruolo dialettico di un’antitesi rispetto alla tesi della “modernità teologica”. Perciò Fantappié conclude che il ruolo di Pio X sarebbe stato quello di «traghettare il cattolicesimo dalle strutture e dalla mentalità della Restaurazione alla modernità istituzionale, giuridica e pastorale».
Per cercare di uscire da questa confusione possiamo ricorrere ad un altro volume, quello di Cristina Siccardi, appena pubblicato dalle edizioni San Paolo, con il titolo San Pio X. Vita del Papa che ha ordinato e riformato la Chiesa, e con una preziosa prefazione di Sua Eminenza il cardinale Raymond Burke, prefetto del Supremo tribunale della Segnatura Apostolica.
Il cardinale ricorda come fin dalla sua prima Lettera enciclica E supremi apostolatus del 4 ottobre 1903, san Pio X annunciava il programma del suo pontificato che affrontava una situazione nel mondo di confusione e di errori sulla fede e, nella Chiesa, di perdita della fede da parte di molti. A questa apostasia egli contrapponeva le parole di san Paolo: Instaurare omnia in Christo, ricondurre a Cristo tutte le cose. «Instaurare omnia in Christo – scrive il cardinale Burke – è veramente la cifra del pontificato di san Pio X, tutto teso a ricristianizzare la società aggredita dal relativismo liberale, che calpestava i diritti di Dio in nome di una “scienza” svincolata da ogni tipo di legame con il Creatore» (p. 9).
E’ in questa prospettiva che si situa l’opera riformatrice di san Pio X, che è innanzitutto un’opera catechetica, perché egli comprese che agli errori dilaganti occorreva contrapporre una conoscenza sempre più profonda della fede, diffusa ai più semplici, a cominciare dai bambini. Verso la fine del 1912, il suo desiderio si realizzò con la pubblicazione del Catechismo che da lui prende il nome, destinato in origine alla Diocesi di Roma, ma poi diffuso in tutte le diocesi di Italia e del mondo.
La gigantesca opera riformatrice e restauratrice di san Pio X si svolse nella incomprensione degli stessi ambienti ecclesiastici. «San Pio X – scrive Cristina Siccardi – non cercò il consenso della Curia romana, dei sacerdoti, dei vescovi, dei cardinali, dei fedeli, e soprattutto non cercò il consenso del mondo, ma sempre e solo il consenso di Dio, anche a danno della propria immagine pubblica e, così facendo, è indubbio, si fece molti nemici in vita e ancor più in morte» (p. 25).
Oggi possiamo dire che i peggiori nemici non sono coloro che lo attaccano frontalmente, ma quelli che cercano di svuotare il significato della sua opera, facendone un precursore delle riforme conciliari e postconciliari. Il quotidiano “La Tribuna di Treviso”, ci informa che in occasione del centenario della morte di san Pio X, la diocesi di Treviso ha «aperto le porte a divorziati e coppie di fatto», invitandole, in cinque chiese, tra cui la chiesa di Riese, paese natale di Papa Giuseppe Sarto, al fine di pregare per la buona riuscita del Sinodo di Ottobre sulla famiglia, di cui il cardinale Kasper ha dettato la linea, nella sua relazione al Concistoro del 20 febbraio. Fare di san Pio X il precursore del cardinale Kasper è un’offesa di fronte a cui la sprezzante definizione melloniana di «flagello dei modernisti» diviene un complimento.

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