All’inizio di questo
mese è stato pubblicato il m.p. Magnum principium, che, unitamente al
discorso, di pochi giorni prima, del Vescovo di Roma in occasione della LXVIII
Settimana liturgica nazionale (cfr. Enrico
Lenzi, Udienza. Papa Francesco: la riforma liturgica è irreversibile,
in Avvenire,
24.8.2017), dovrebbe costituire uno dei pilastri che rendano la c.d.
riforma, elaborata a seguito del Concilio Vaticano II, un fatto definitivo e,
quasi, potremmo dire, di fede. Sì, una fede, lontana da quella della Catholica,
ma tutta impregnata di giansenismo o neo-giansenismo, che altro non sarebbe che
la versione “cattolica” del calvinismo, e di gallicanesimo; mali questi da cui
può dirsi affetta la Chiesa cattolica (di giansenismo ne parla anche don Alfredo Morselli, «Summa familiae
cura»: la grazia di sempre e “le forme e modelli del passato”, in MiL, 21.9.2017).
Del resto, non è un
mistero che il Vescovo di Roma riprenda a piene mani le tesi di alcuni maîtres
à penser, che in anni passati si erano pur espressi in termini assolutamente
analoghi, come il prof. Andrea Grillo (cfr. l’intervista allo stesso, Concilio
e la Riforma irreversibile. Intervista al prof. Grillo, ivi,
7.3.2012). Non è difficile, dunque, immaginare chi siano stati gli autori
ai quali l’Augusto abbia inteso ispirarsi. Il problema è, però, la scarsa
lungimiranza di questi personaggi; una sostanziale incapacità di saper vedere
lontano e di cogliere i “segni dei tempi”, come, ad es., la circostanza che,
come è stato notato anche alla luce del recente Pellegrinaggio Summorum
Pontificum, non ci sia «niente di più giovane del rito antico» (così Valerio Pece, Non c’è niente di più
giovane del rito antico. A dieci anni dalla Summorum Pontificum, in Tempi,
12.9.2017), tanto da far dire all’abbé Claude Barthe, animatore di quel
pellegrinaggio, che sia piuttosto il processo innestato dal Summorum
Pontificum ad essere irreversibile e non già la c.d. riforma conciliare!
(cfr. Summorum Pontificum est « irréversible », in Riposte
Catholique, 21 sept. 2017).
Per questo, non possiamo
che cogliere l’invito rivolto da Franco Parresio: diamo tempo al tempo. Sì,
lasciamo sia il tempo a decidere quali siano le foglie secche destinate a cadere
… .
Nella festa dei santi
Anargiri e martiri, Cosma e Damiano, rilanciamo, perciò, questo contributo.
Magnum principium vs Summorum
Pontificum?
di Franco Parresio
È la domanda che
sicuramente molti si staranno facendo: il Magnum principium contro il Summorum
Pontificum?
Un interrogativo
legittimo se si considera che il motu proprio Magnum
principium è stato pubblicato il 3 settembre scorso: esattamente undici
giorni prima del decennale dell’entrata in vigore del motu proprio Summorum
Pontificum (14 settembre 2007).
Una provocazione?
Così sembrerebbe alla
luce del Discorso ai partecipanti alla 68.ma settimana liturgica nazionale,
tenuto da Francesco il 24 agosto 2017, nell’Aula Paolo VI (v. qui),
col quale egli, atteggiandosi a Pontifex Maximus, ha solennemente
definito (si noti il plurale maiestatico):
«Possiamo affermare
con sicurezza e con autorità magisteriale che la riforma liturgica è irreversibile».
Frase che, seppur
sibillina, suona come una sorta di “definizione ex cathedra”.
Dico “sibillina” perché
davvero poco chiara e piena di ambiguità: e in chiave progressista, secondo cui
“usare i sacri edifici per arbitrari esperimenti” non solo è lecito ma
doveroso, in barba a quanto invece prescrive la Mediator Dei, e in
chiave tradizionalista, secondo cui “la riforma liturgica è irreversibile”… esattamente
come il coma.
Ed è proprio questo
stato comatoso profondo nel quale è caduto miseramente la riforma liturgica a
farci serenamente dire – contrariamente a quanto si possa pensare – che il Magnum
principium non solo non osteggia il Summorum Pontificum, ma
addirittura lo promuove.
Può sembrare un
paradosso. Invece non lo è!
Non lo è perché il Magnum
principium – a sua insaputa e per sua disgrazia – avvalora e dà forza a
quanto denunciato dieci or sono da Galimberti, che a pagina 23 de L’ospite inquietante
(ed. Feltrinelli) scrive: «Malato è anche il lógos frantumato in lingue
regionali quando dovrebbe portare con sé, come dice il suo nome, l’unità della
ragione». Esattamente come la lingua latina.
Ma quel che è peggio è
che il Magnum principium fa risorgere il gallicanesimo e con esso riabilita,
richiamandolo dalle sue ceneri, il mai sopito giansenismo: quello di bassa lega
(ce ne fossero di giansenisti del calibro di Pascal!) con le rivendicazioni per
la creazione di chiese nazionali. Invero il Magnum principium fa, de
facto, delle Conferenze Episcopali nazionali delle vere e proprie chiese
nazionali!
Su queste basi e con
questi principi il Summorum Pontificum non potrà che prosperare, grazie
proprio ai suoi detrattori i quali, ammalati di creatività, non fanno
altro che contribuire «a deformazioni della Liturgia al limite del sopportabile»
(Benedetto XVI, Lettera di accompagnamento del motu proprio).
Tempo al tempo!
Nessun commento:
Posta un commento