martedì 31 ottobre 2017

Il nostro modo di "celebrare" il V centenario della c.d. riforma con aforismi cattolici ed uno sguardo alla contemporaneità







Fonte: Marco Tosatti, Quanto è protestante il papa?Un'intervista del teologo tedesco suo amico a Die Zeit, in Stilum Curiae, 31.10.2017 

Bergoglio e Lutero - Quanto è protestante il Papa? intervista a teologo evangelico, in Chiesa e postconcilio, 1.11.2017


Francobollo celebrativo dell'attuale Stato della Città del Vaticano del centenario della c.d. riforma protestante

La notizia circa questa scandalosa emissione filatelica è possibile leggerla in:
Jacopo Scaramuzzi, Vaticano e Luterani: “Una benedizione la commemorazione della Riforma”, in La Stampa, 31.10.2017
Gian Guido Vecchi, Riforma protestante, emesso il francobollo «dedica» del Vaticano, in Corriere della sera, 31.10.2017
Paolo Rodari, Vaticano, cattolici e luterani uniti per la prima volta nella visione ecumenica della Riforma, in La Repubblica, 31.10.2017
Francobollo vaticano: Lutero e Melantone ai piedi della Croce. Anziché la Madonna e S. Giovanni. Lavoro straordinario per i turiferai, in blog MiL - Messa in latino, 1.11.2017

domenica 29 ottobre 2017

La festa di Cristo re come festa antiluterana per antonomasia


Fonte: 500 years of Protestant Revolution: CHRIST THE KING is the Anti-Luther, in Rorate coeli, Oct. 29, 2017

Dall'inno vesperale "Te sæculórum Príncipem" dell'odierna festa

Te natiónum Prǽsides
Honóre tollant público, 
Colant magístri, júdices, 
Leges et artes éxprimant.




La lotta contro le eresie di san Domenico di Guzmán. In onore della festa di Cristo re dell'universo

Nella festa di Cristo Re dell’Universo e della sua regalità sociale – verità queste sempre riconosciute dalla Cristianità e negate, tuttavia, a partire da Montini in poi, per il quale si è rinnovato l’antica, blasfema esclamazione dei giudei dinanzi a Pilato “Nolumus hunc regnare super nos” (Lc 19, 14), riconoscendosi a Cristo solo una regalità … escatologica … – ricordiamo di rinnovare le prescrizioni di Sua Santità Pio XI di v.m. circa la consacrazione del genere umano: in tutte le chiese parrocchiali, davanti al Santissimo Sacramento esposto alla pubblica adorazione si reciti, infatti, la formula (riformata nel 1925) di consacrazione del genere umano al Sacro Cuore di Gesù, alla quale si devono aggiungere le Litanie del Sacro Cuore (S. R. C. 28 aprile 1926).
In questa festa, pertanto, rilanciamo questo bel contributo di Cristina Siccardi sulla lotta contro le eresie intrapresa da san Domenico di Guzmán; lotta volta, appunto, all’affermazione del regno sociale di Cristo. Si tratta di un contributo quantomeno opportuno stante la lotta senza quartiere ai giorni d’oggi intrapresa contro la Verità di Cristo dai suoi nemici, che non cessano, di giorno in giorno, che diffondere e lodare nuove – ma in verità sempre antiche – eresie.






George Zinoviev, Icona di Cristo re con Sergio di Radonez e Eutimio di Suzdal, 1681, State Vladimir-Suzdal Historical, Architectural and Art Museum-Reserve, Suzdal 

Icona di Cristo sommo sacerdote, XVII sec.

El Greco, Cristo in Croce, 1577-1579, collezione privata, Milano. Regnavit a ligno Deus: già la Lettera di Barnaba insegnava che «il regno di Gesù è sul legno» (VIII, 5, in I Padri Apostolici, Roma 1984, p. 198) ed il martire san Giustino, citando quasi integralmente un noto Salmo (Sal. 96 (95)) nella sua Prima Apologia, concludeva invitando tutti i popoli a gioire perché «il Signore regnò dal legno» della Croce (Gli apologeti greci, Roma 1986, p. 121).








La lotta contro le eresie di san Domenico di Guzmán

di Cristina Siccardi

Giovanni Antonio Sogliani, S. Domenico fa servire i suoi frati dagli angeli, 1536, Convento di S. Marco, Firenze

Ottocento anni fa avvenne un fatto fondamentale per la vita della Chiesa, che andò a sommarsi all’operato dei Frati minori di san Francesco di Assisi: era il 1217 quando san Domenico di Guzmán (Caleruega 1170/1175-Bologna 6 agosto 1221) inviò nelle città europee, dove si trovavano le principali sedi universitarie (Bologna, Parigi, Madrid…), i membri dell’Ordine dei Predicatori da lui fondato al fine di renderli dotti per risanare il tessuto cattolico.
I due ordini mendicanti, mendichi per volontà di san Francesco e di san Domenico della sola Provvidenza, risollevarono le sorti di una Chiesa piena di boria, moralmente corrotta, avente parroci spesso ignoranti e fedeli imbevuti di errori diffusi da movimenti pauperisti.
La vita di san Domenico di Guzmán è meno nota rispetto a quella del suo contemporaneo san Francesco di Assisi (1181/1182-1226), in quanto il fondatore dei Predicatori si identifica per lo più con la sua opera, a differenza di san Francesco, il cui percorso terreno fu caratterizzato dalla sua stessa originale personalità. Proprio per tale ragione la figura di san Domenico ha subito meno stravolgimenti e profanazioni rispetto a quella del poverello di Assisi, in quanto l’icona del santo spagnolo è stata associata più che altro alla sua fondazione.
Ma c’è anche un altro dato che non può essere sottovalutato: Francesco era l’uomo di Dio che apriva il suo santo animo alla singola creatura, dunque la devozione che scaturì fu di carattere personale, un po’ come accadrà per san Pio da Pietrelcina: ognuno, anche il laico, sente un richiamo magnetico per san Francesco (da qui la più agevole strumentalizzazione da parte delle diverse ideologie: gnostica, comunista, relativista…); mentre la devozione per san Domenico non assume questo carattere di empatia personale, bensì si confonde nella sfera del suo Istituto, creato ad hoc contro le eresie, utilizzando un metodo preciso: formare predicatori di elevata qualità per essere in grado di confutare gli errori.
L’azione catechetica e di evangelizzazione che adottò san Domenico era per l’appunto focalizzata sulla predicazione con lo scopo precipuo di debellare le eresie, in particolare puntò la sua attenzione sui càtari, che si consideravano puri, detti anche albigesi, dal nome della cittadina francese di Albi, altresì dalla locuzione latina in albis (in [vesti] bianche), come ha ricordato il professor Dario Pasero, filologo, linguista e glottologo che negli scorsi giorni ha tenuto una splendida lezione, all’interno di un incontro organizzato dall’Associazione John Henry Newman di Rivarolo Canavese, sulla figura di san Domenico tratteggiata da Dante nel XII canto del Paradiso, dove la terzina 72 così lo dipinge: «Domenico fu detto; e io ne parlo/sì come de l’agricola che Cristo/elesse a l’orto suo per aiutarlo».
I càtari si diffusero nella Linguadoca, nella Provenza, nella Lombardia, in Bosnia, in Bulgaria, nell’Impero bizantino. La tolleranza praticata dai signori di Provenza, come il conte di Tolosa, da alcuni ecclesiastici, come i vescovi di Tolosa e Carcassonne, e dall’Arcivescovo di Narbonne, nei confronti dei predicatori eretici, permise che quest’ultimi non solo circolassero indisturbati nei villaggi e ricevessero lasciti cospicui, ma venissero posti a capo di istituti religiosi.
I sacerdoti locali si disinteressavano degli eretici proprio perché, essendo intellettualmente impreparati, non avevano mezzi per controbatterli. Fu così che i Domenicani, formati nei migliori atenei, acquisirono gli strumenti adeguati per compiere la loro missione in funzione della ragione e della Fede contro menzogne ed inganni.
Domenico apparteneva alla nobile famiglia dei Guzmán della Castiglia e sostenuto da uno zio sacerdote aveva studiato in una celebre scuola di Palencia. Si distinse subito per l’interesse alla Sacra Scrittura e per l’amore verso i poveri, tanto da vendere i suoi libri manoscritti di grande valore (all’epoca non esisteva ancora la stampa) per soccorrere, con il ricavato, le vittime di una carestia.
Nel 1196 fu eletto canonico del capitolo cattedrale di Osma. Il Vescovo del luogo, Diego de Acevedo, lo chiamò al suo fianco e nel 1203, divenuto sottopriore dello stesso capitolo, lo accompagnò in una missione diplomatica, per conto del Re di Castiglia, da espletare nella Germania del Nord. Giunti a destinazione constatarono le devastazioni morali prodotte in Turingia da una popolazione pagana dell’Europa centrale, i Cumani. Da questo istante fino al termine della sua vita Domenico sarà animato dal desiderio di convertire.
Sulla strada per la Germania, il Vescovo e il suo collaboratore avevano soggiornato nella contea di Tolosa, prendendo così coscienza del successo che qui aveva riscosso il catarismo. Tale termine deriva dal latino medievale catharus (a sua volta dal greco καϑαρός «puro»), con il quale si autodefinirono per primi i seguaci del Vescovo Novaziano elettosi antipapa dal 251 al 258; per questa ragione il termine katharoi fu citato per la prima volta in un documento ufficiale della Chiesa nei canoni del Concilio di Nicea del 325. Con la definizione di càtari sono indicati gli eretici dualisti medievali (albigesi, manichei, publicani o pauliciani, ariani, bulgari, bogomili… e in Italia patarini), che ebbero terreno fertile dal IV fino al XIV secolo.
Fu proprio per contenere l’estendersi dei càtari che, dopo infruttuosi tentativi da parte di alcuni legati papali, Padre Domenico concepì un nuovo metodo di predicazione: per combatterli bisognava usare i loro stessi mezzi, vale a dire operare in povertà, umiltà e carità. Credendo nella deviazione dalla vera fede della Chiesa di Roma, i càtari crearono una propria istituzione ecclesiastica, parallela a quella ufficiale presente sul territorio.
Per loro Cristo aveva avuto solo in apparenza un corpo mortale (docetismo) e la dottrina si fondava essenzialmente sul rapporto oppositivo fra materia e spirito di derivazione gnostica e manichea. Le opposizioni erano irriducibili (Spirito-Materia, Luce-Tenebre, Bene-Male), all’interno delle quali tutto il creato era una sorta di grande tranello di Satana (Anti-Dio), il quale irretiva lo spirito umano contro le sue rette inclinazioni.
Lo stesso Dio dell’Antico Testamento corrispondeva ad un dio malefico. Basandosi su questi principi divennero vegani ante litteram, rifiutando il consumo di carne, latte, uova e dei loro derivati (ad eccezione del pesce, di cui in epoca medievale non era ancora conosciuta la riproduzione sessuale). Consideravano peccaminoso persino il matrimonio, poiché serviva ad accrescere il numero degli schiavi di Satana. La convinzione che tutto il mondo materiale fosse opera del male comportava il rifiuto dei sacramenti. La perfezione per il càtaro si raggiungeva quando non si possedevano beni materiali e, attraverso un percorso “ascetico”, ci si lasciava morire di fame e di sete (pratica dell’endura).
Nel terzo Concilio Lateranense, convocato da papa Alessandro III a Roma nel marzo 1179, il catarismo venne condannato. Dopo l’elezione al soglio pontificio di Innocenzo III, nel 1198, la Chiesa reagì con decisione all’eresia con l’indizione nel 1208 della Crociata albigese (1209-1229), mentre papa Gregorio IX istituirà il Tribunale dell’Inquisizione, che impiegherà settant’anni per estirpare la malapianta dal Sud della Francia.
In questa drammatica situazione per la Chiesa, La Divina Provvidenza chiama Domenico di Guzmán, con la povertà, lo studio approfondito, la predicazione, e san Francesco di Assisi, con la povertà, l’immolazione, l’esempio di vita per ristabilire la verità e l’ordine.
Il primo successore nella guida dei Domenicani, il beato Giordano di Sassonia (1190-1237), autore del Libellus de principiis Ordinis Praedicatorum, un testo che propone la prima biografia di san Domenico (canonizzato nel 1234) e la storia degli anni iniziali dell’Ordine, scrive: «Durante il giorno, nessuno più di lui si mostrava socievole… Viceversa di notte, nessuno era più di lui assiduo nel vegliare in preghiera. Il giorno lo dedicava al prossimo, ma la notte la dava a Dio» (in P. Lippini OP, San Domenico visto dai suoi contemporaneiI più antichi documenti relativi al Santo e alle origini dell’Ordine Domenicano, Edizioni Studio Domenicano, Bologna 1982, p. 133). I testimoni affermano che «egli parlava sempre con Dio o di Dio». Non ha lasciato scritti sulla preghiera, ma la tradizione domenicana continua a tramandare un’opera dal titolo Le nove maniere di pregare di San Domenico, che venne redatta fra il 1260 e il 1288 da un frate domenicano.
Ogni preghiera viene sempre svolta da Padre Domenico di fronte a Gesù Crocifisso. I primi sette modi seguono una linea ascendente, come i passi di un cammino, verso la comunione con la Trinità: Domenico prega in piedi inchinato per esprimere l’umiltà; steso a terra per chiedere perdono dei peccati; in ginocchio facendo penitenza per partecipare alle sofferenze di Cristo; con le braccia aperte fissando il Crocifisso per contemplare il Sommo Amore; con lo sguardo verso il cielo sentendosi attirato verso il Regno di Dio.
L’ottava pratica consiste nella meditazione personale, quella che conduce alla dimensione intima, fervorosa, rasserenante. Al termine della Liturgia delle Ore e dopo la celebrazione della Santa Messa, egli prolunga il colloquio con Dio, senza porsi limiti di tempo: tranquillamente seduto, si raccoglie in sé e in ascolto, leggendo un libro o fissando il Crocifisso. I testimoni raccontano che, a volte, entrava in estasi con il volto trasfigurato, e dopo riprendeva le sue attività come niente fosse, corroborato dalla forza acquisita dalla preghiera.
Infine c’è l’orazione che svolge durante i viaggi da un convento all’altro: recita le Lodi, l’Ora Media, il Vespro con i confratelli e, percorrendo valli e colline, contempla la bellezza della creazione, mentre dal cuore gli sgorga sovente un canto di lode e di ringraziamento a Dio per tutti i doni, soprattutto per il più grande: la Redenzione operata da Cristo.
Nel 1212, durante la sua permanenza a Tolosa, narra il beato Alano della Rupe, ebbe una visione della Vergine Maria, che gli consegnò il Rosario, come richiesta a una sua preghiera per combattere l’eresia albigese. Secondo il racconto del beato, nel 1213-1214 san Domenico, mentre predicava in Spagna con il confratello Fra’ Bernardo, venne rapito dai pirati.
La notte dell’Annunciazione di Maria (25 marzo) una tempesta stava facendo naufragare la nave su cui si trovavano, quando la Madonna disse a Domenico che l’unica salvezza dalla morte per l’equipaggio era dire sì alla sua Confraternita del Rosario: furono dunque i pirati con i Domenicani a bordo ad esserne i primi membri. Da allora il Rosario divenne la preghiera più diffusa per combattere le eresie e, con il passare dei decenni, una delle più tradizionali preghiere cattoliche.
In occasione di un viaggio a Roma, nell’ottobre 1215, per accompagnare il Vescovo Folchetto, che doveva partecipare al Concilio Laterano IV, Domenico avanzò la proposta a Innocenzo III di un nuovo ordine monastico e mendicante dedicato alla predicazione. Il Papa l’approvò verbalmente, così come aveva fatto con san Francesco nel 1209.
Ma seguendo i canoni conciliari, da lui stesso promulgati (Conc. Laterano IV can. 13), propose di non fare una nuova regola, bensì prenderne una già approvata poiché i tempi erano troppo travagliati per la Chiesa. Seguendo il consiglio, san Domenico con i suoi sedici seguaci, scelse la Regola di Sant’Agostino, corredata da Costituzioni idonee alla loro missione. «San Domenico fu un uomo di preghiera. Innamorato di Dio, non ebbe altra aspirazione che la salvezza delle anime, in particolare di quelle cadute nelle reti delle eresie del suo tempo; imitatore di Cristo […] sotto la guida dello Spirito Santo, progredì sulla via della perfezione cristiana. In ogni momento, la preghiera fu la forza che rinnovò e rese più feconde le sue opere apostoliche», così affermò Benedetto XVI nell’Udienza generale di cinque anni fa, tenuta a Castel Gandolfo (8 agosto 2012).
Chi, oggi, si preoccupa con umiltà, serenità, santità delle anime «cadute nelle reti delle eresie» del nostro tempo? Anche noi, vittime di una funesta carestia di vita interiore e oranti con il Santo Rosario – insistentemente raccomandato cento anni fa da Nostra Signora di Fatima – siamo mendichi, sull’esempio di san Domenico e di san Francesco, della Divina Provvidenza.

sabato 21 ottobre 2017

I Santi tridentini? Erano ispirati dal demonio …. La svolta luterana del sedicente “episcopato” italiano e della Chiesa ex cattolica

Ebbene sì. Non appaia blasfema questa nostra sortita volutamente provocatoria. Per esclusione, infatti, è questa la logica conseguenza: che i grandi Santi ispirati e sollevati nello spirito del Concilio di Trento e della Controriforma, come S. Pio V, S. Carlo Borromeo, S. Filippo Neri, S. Ignazio di Loyola, S. Roberto Bellarmino, S. Lorenzo di Brindisi, S. Teresa d’Avila, S. Giovanni della Croce, ecc., sino ad arrivare ai Santi alle soglie del XX sec. come S. Giovanni Bosco, S. Giuseppe Benedetto Cottolengo, S. Domenico Savio, ecc., tutti ispirati dal Concilio tridentino sarebbero stati, in verità, ispirati dal Nemico di Dio!
C’è poco da discutere. Se un sedicente Segretario dei “Vescovi” italiani come il sig. Galantino si spinge ad affermare che l’eresiarca Lutero sia stato ispirato – nella sua opera di riforma protestante – addirittura dal Paraclito, la conseguenza – inevitabile – è che chi si è opposto a tale azione – come i Santi sopra menzionati – sarebbero stati ispirati, a loro volta, dall’Avversario, dal Serpente antico! Delle due l’una. Non può ammettersi in entrambe le parti una pari ispirazione dello Spirito Santo, perché, in tal caso, si dovrebbe affermare che esso è contraddittorio ed illogico: lo Spirito non potrebbe ispirare un’azione ed il suo contrario. Questo sembra evidente. Necessariamente, dunque, deve concludersi che se Lutero sarebbe stato ispirato dallo Spirito, i Santi ed il Concilio tridentino sarebbero stati sotto l’egida dell’antico Nemico di Dio, nell’Opposto dello Spirito cioè.
Questa vera e propria bestemmia e blasfemia del Segretario della CEI, col silenzio complice e compiaciuto del “vescovo” di Roma e del presidente della CEI, sig. Bassetti, denota il degrado di fede in cui i “vescovi” italiani sono caduti: sono persone sostanzialmente atee, non cattoliche, apostate!
Non sono gli unici. Una serie di articoli della Civiltà (ex) cattolica di quest’anno 2017 celebrano con entusiasmo la figura sempre di questo eresiarca, dipingendolo quasi come un incompreso dalla Chiesa del suo tempo (addebitando, dunque, la responsabilità della sua disobbedienza alla Chiesa cattolica! cfr. Mauro Faverzani, Per i 500 anni di Lutero ora è la Chiesa ad autoaccusarsi, in Corrispondenza romana, 29.6.2016); uno dalla vocazione sincera (e non, invece, un gaglioffo, uno scampato alla forca, che, per sfuggire alla condanna a morte per un omicidio di un suo compagno di studi, decise di diventare monaco, contando sull’immunità che gli garantivano le mura monastiche: v. Martin Lutero, assassino e suicida, in Gloria.tv, 11.9.2016). Insomma, quasi un santo, a parere della Civiltà (ex) cattolica.
Ecco alcuni esempi: «La questione dirimente è stata forse la pretesa, da parte sia della Chiesa di Roma sia di Lutero, di incarnare in toto la verità e di esserne dispensatori. Eppure, nonostante tutto, non si può negare il ruolo che Lutero ha avuto come testimone della fede» (Giancarlo Pani, Martin Lutero, cinquecento anni dopo, in Civ. Catt., 2017, vol. IV, q. 4016, pp. 119 ss.). In questo enunciato, evidentemente eretico e scandaloso, ci sta tutto il neo-modernismo degli odierni ecclesiastici.
«L’esattezza di certe formule, la critica al proverbio tradizionale secondo cui desperatio facit monachum, il problema della validità del voto, il rapporto conflittuale con il padre e il contesto della scelta fanno propendere decisamente per una vocazione autentica» (Id., La vocazione di Martin Lutero, ivi, vol. III, q. 4014, pp. 463 ss.).
«Oggi, a posteriori, è abbastanza ovvio affermare che il confronto con Lutero non sarebbe stato facile, e quasi certamente sarebbe fallito. Di fatto, purtroppo, non ci fu» (Id., Il processo a Lutero e la scomunica, ivi, vol. I, q. 4000, pp. 364 ss.).
«Lo storico Erwin Iserloh ha dimostrato che l’affissione delle Tesi non è storia, ma leggenda, e per di più contraddice l’intenzione del riformatore. Il 31 ottobre Lutero scrive ai vescovi interessati per un problema di fede, di coscienza e di pastorale: la predicazione delle indulgenze per la fabbrica di San Pietro è ingannevole perché garantisce la salvezza. Nessuno è sicuro della propria salvezza. Il vescovo deve predicare non le indulgenze, ma il Vangelo e le opere di carità» (Id., L’affissione delle 95 tesi di Lutero: storia o leggenda, ivi, 2016, vol. IV, q. 3993, pp. 213 ss.).
Quando la Civiltà era ancora pienamente cattolica, ecco quanto scriveva dell’eresiarca:
«tutto il sistema di Lutero riposa sul falso: nella Scrittura non c’è un testo che lo legittimi. Lutero con audacia bronzea torse in parte violentemente la Scrittura, e in parte vi sostituì le sue falsificazioni» (Lutero e Luteranismo, in Civ. catt., 1918, vol. I, pp. 132 ss., partic. p. 141).
Avvenire e la CEI non sono da meno. Cfr. Mimmo Muolo, Vincenzo Paglia: “La Riforma? Una felice colpa”, in Avvenire, 6.12.2016; Franco Cardini, L’età moderna? Inizia con le 95 Tesi di Lutero il 31 ottobre 1517, ivi, 18.8.2017; Giacomo Gambassi, Il cardinale Bassetti nei luoghi di Lutero, ivi, 2.9.2017; Id., Bassetti nei luoghi di Lutero, crocevia di riconciliazione, ivi, 8.9.2017. Cfr. la serie di articoli dedicati ai 500 anni della c.d. riforma, qui.
Si tratta di falsificazioni storiche e documentali, che aprono la strada alla probabile “riabilitazione” dell’eresiarca; una strada, per la verità, già ventilata anche da Benedetto XVI (cfr. Francesca de Villasmundo, Un colloque au Vatican pour réhabiliter Luther ?, in Medias-Press.info, 23.3.2017 ed in traduzione italiana qui; Giuliano Ferrara, Il tribuno del nuovo gesuitismo che recupera con Lutero anche Pascal, in Il Foglio, 9.7.2017; Lutero riabilitato. Quando voleva “strappare la lingua al papa”, in Blitzquotidiano, 3.11.2016; Piero Schiavazzi, Perché papa Francesco riabilita Lutero, in Limes, 2.11.2016; Lorenzo Bertocchi, Lutero padre del laicismo e del potere senza il bene, in LNBQ, 27.10.2016; Benedetto XVI, una sintesi purificatrice con i luterani (nella fede), in Chiesa e postconcilio, 7.9.2012; Giacomo Galeazzi, Ratzinger riforma Lutero. Aveva molte idee cattoliche, in La Stampa, 5.3.2008). Del resto, non è forse vero che si è sostenuto da più parti nella Chiesa d’oggi (l’aveva sostenuto persino il “santo” Giovanni Paolo II!) che le intenzioni del Martin erano buone e sincere (cfr. Lutero e la Riforma: Bergoglio in continuità con Wojtyla e Ratzinger, in UCCR, 16.2.2017)? Sì, come, del resto, anche quelle che furono di Ario, di Nestorio, di Giuda Iscariota e persino di Lucifero … . Tutti son partiti con “buone intenzioni”, salvo poi perdersi lungo la via. Non è forse vero, d’altronde, che la strada verso l’Inferno è costellata di “buone intenzioni”?
Lutero studiava il modo di uscire dal convento perché non accettava più la castità e il celibato (e quasi sicuramente non le aveva mai accettate, stante l'insincerità della sua vocazione): le sue sedicenti "buone intenzioni" erano solo un pretesto:
«È molto importante sottolineare che il lusso e lo sfarzo, come pure anche la corruzione di buona parte della Curia Romana, non scandalizzarono più di tanto Lutero (come oggi si vuol far credere) — ha scritto il padre domenicano Roberto Coggi –, il quale, a quanto ci risulta, non trasse da ciò alcun turbamento nella sua fede cattolica e nella sua fedeltà nel Romano Pontefice. È quindi falso attribuire la ribellione di Lutero all’autorità ecclesiastica, quale si verificò pochi anni più tardi, a una sua indignazione contro i costumi corrotti del clero» (P. Roberto Coggi, Ripensando Lutero, ESD, Bologna, 2004, p. 9).
Noi preferiamo stare dalla parte della Vera Chiesa Cattolica, dalla parte dei Veri Santi, dalla parte del Concilio di Trento piuttosto che da quella di codesti eretici ed apostati, che vogliono lodare l’eresiarca Lutero, che i mistici ci assicurano giace – sventurato – all’Inferno, torturato, per l’eternità, dagli angeli decaduti. Egli era, è e rimane un volgare eretico (cfr. Francesco Agnoli, Jacques Maritain legge Martin Lutero, in Libertà e persona, 19.10.2017; Id., Lutero, un Macchiavelli della fede, in LNBQ, 18.8.2016; Gederson Falcometa, Giuda, Teilhard de Chardin, Martin Lutero e il Concilio e… i mass media, in Riscossa cristiana, 18.10.2017; Principi filosofici e teologici della Riforma protestante (1517). Un saggio di don Marino Neri, in Vigiliae Alexandrinae, 22.5.2017, ripreso in Lutero resta un eretico con buona pace dei “rivisitatori”, in MiL, 30.5.2017), causa e dannazione di molti europei e, diciamolo chiaramente, di molti ecclesiastici oggi, e distruttore dell’unità europea (cfr. Francesco Agnoli, Carlo Magno e Lutero: costruzione e distruzione dell’Europa, in Libertà e persona, 11.10.2017; Stefano Fontana, La gnosi luterana e la dottrina del potere politico, ivi, 25.3.2017, nonché in Totus tuus, 13.6.2017).
Sull’attuale situazione ecclesiale, davvero possono riprendersi le parole di S. Gregorio Magno: «Merorem, Petre, quem cotidie patior, et semper mihi per usum vetus est, et semper per augmentum novus» (Dialogi, I, 3).
Rilanciamo per questo l’editoriale de LNBQ, ripreso da Galantino & co su Lutero. Quello che la Chiesa ha omesso di dire nel 500° anniversario della riforma protestante, in Il Timone, 21.10.2017 . Per la notizia sull’uscita galantiniana, cfr. «La Riforma Protestante un evento dello Spirito Santo». Galantino esalta Martin Lutero, ivi, 19.10.2017; La Riforma un evento dello Spirito Santo. Galantino esalta Lutero, in MiL, 20.10.2017; Giuseppe Rusconi, Il vescovo Galantino, il monaco Lutero e il vescovo Zambito, in Rossoporpora, 20.12.2017; Francesca de Villasmundo, I vescovi italiani riabilitano Lutero, in Riscossa cristiana, 20.10.2017; Francesco Boezi, Galantino accelera su Lutero: "Opera dello Spirito Santo", in Il Giornale, 21.10.2017).

Lo Spirito di Lutero conquista Galantino

di Stefano Fontana


A leggere che secondo il vescovo Galantino la Riforma fu “un evento dello Spirito Santo” viene subito da pensare che lo Spirito Santo allora si contraddice. Siccome questo non è possibile, non rimane che ritenere l’affermazione molto temeraria. Affermazioni simili sono oggi molto frequenti ed è importante chiederci da dove provengano.
L’essenza della posizione di Martin Lutero è la riduzione della fede ad atto di fede. Nella fede non ci sono contenuti, verità cui aderire, ma ciò che conta è l’affidarsi, senza ragioni, a Cristo, fidandosi che lui coprirà con un mantello tutte le nostre colpe. Per la religione cattolica non è così. La fede ha due versanti, quello dell’atto soggettivo del credere e quello oggettivo delle verità cui ai aderisce con la fede per l’autorità di Dio che ce le ha rivelate. E’ la fides qua e la fides quae. Quella cattolica non è una fede cieca, è l’adesione al dogma. La fede di Lutero invece è solo atto senza dogmi.
Perché ricordo questo aspetto? Perché il fatto che Lutero sia stato spinto dall’amore di Dio, o dalla “passione per Dio” - come si intitolava il convegno alla Lateranense ove mons. Galantino ha fatto il suo intervento – dice poco di significativo dal punto di vista cattolico. Passione per quale Dio? La passione è solo il polo soggettivo della fede come atto, manca il polo oggettivo delle verità credute, ossia dei dogmi. Accettare come valida questa impostazione fondata sulla sola “passione per Dio” significa già accettare l’impostazione luterana. E che dialogo ci può essere se si accetta fin da subito la posizione dell’altro con cui si vorrebbe dialogare?
Celebrando questo 500mo anniversario della Riforma luterana, la Chiesa cattolica ha fatto spesso questo errore di impostazione iniziale: spostare l’attenzione dalla dottrina alle “intenzioni” di Lutero, ossia dai contenuti della fede all’atto di fede. Tutti vedono che in questo modo si sposa già fin dall’inizio la posizione luterana e la si fa propria. Nella fede luterana è centrale la coscienza, dato che non interessa tanto Cristo in sé, quanto Cristo per me, il Cristo della fede e non il cristo della Storia. Il Padre Coggi dei domenicani di Bologna ce lo ha spiegato molto bene. La fede per Lutero non è conoscenza ma esperienza soggettiva, fatta in coscienza al cui interno si consuma il rapporto io-Tu tra il credente e Dio. Se, quindi, la Chiesa cattolica si concentra sulla coscienza del monaco Lutero piuttosto che sulla dottrina luterana rinuncia alle proprie esigenze già in partenza, accettando la validità di una fede senza dogmi. Le intenzioni di Lutero non contano se non per una ricostruzione storica o psicologica. Contano le cose da lui scritte e formalizzate nella dottrina della Riforma. Contano le cose da lui scritte contrarie alla verità della fede cattolica.
L’idea oggi prevalente è che le intenzioni di Lutero erano buone ed ispirate dallo Spirito Santo, mentre poi la cose presero una strada diversa, complici anche le chiusure della Chiesa cattolica. Bisognerebbe quindi recuperare le buone intenzioni degli inizi e usufruirne anche per una riforma del cattolicesimo stesso. Si è anche detto in questi giorni che Lutero avrebbe addirittura anticipato il Vaticano II, richiamando l’attenzione sul Vangelo. E rieccoci all’atto senza i contenuti. Aver proposto la salvezza per Sola Scriptura è stato un grave errore e non un merito, in quanto l’attenzione al Vangelo, dal punto di vista cattolico, senza la dovuta attenzione alla Tradizione e al Magistero non è cosa da apprezzare. Se il Vaticano II fosse stato influenzato da un’eresia, come si dice in questo caso, ne deriverebbe un inquinamento dello stesso Concilio dalle proporzioni devastanti.
Sia sostenendo che la Riforma è stata un dono dello Spirito Santo, sia dicendo che la valorizzazione luterana del Vangelo ha anticipato il Vaticano II, si insiste solo ed eventualmente sulle “intenzioni” e non sui contenuti. Ma insistendo solo sulle intenzioni di coscienza sparisce completamente il concetto di eresia. Uno non è eretico per le sue intenzioni ma per quanto ha detto di contrario al dogma. E da questo punto di vista Lutero è stato un eretico, quali che fossero le sue intenzioni. Faccio notare che se sparisce il concetto di eresia sparisce anche quello di dogma.
L’altro aspetto della strategia della Chiesa cattolica in questo 500mo anniversario della Riforma protestante è quello di fare un pezzo di strada insieme, cioè di fare delle cose insieme puntando sulla prassi più che sulla dottrina. Anche questo obiettivo lo si persegue meglio non tenendo conto della dottrina luterana ma delle cosiddette buone intenzioni del monaco Lutero. Depurando la fede dai suoi contenuti e soffermandosi sul suo essere un atto personale si pensa di camminare meglio insieme. Ma per andare dove? Verso quale Cristo? Verso quale salvezza? L’atto di fede preso in se stesso è cieco, sono i contenuti a dargli la luce. Anticipare la prassi rispetto alla dottrina è un’altra concessione fatta in partenza alla posizione luterana.
C’è infine l’aspetto forse più inquietante della questione. Incentrarsi sulla fede come atto, ossia sulla coscienza e sulla prassi piuttosto che sui contenuti e sulla dottrina, potrebbe voler dire maturare insieme una nuova autocoscienza credente (come direbbe Hegel), ossia vedere insieme i contenuti in un modo nuovo. L’eresia sarebbe allora uno stimolo indispensabile all’evoluzione dialettica del dogma. Ma questa sarebbe una concessione all’evoluzione del dogma all’interno dell’autocoscienza dei credenti completamente fuori della visione cattolica, anche se certamente compatibile con la confessione protestante.

venerdì 13 ottobre 2017

Fatima è un fatto. Non un’ermeneutica – Editoriale di maggio 2017 di “Radicati nella fede” nella data significativa del 13 ottobre

Il 13 ottobre: una data significativa.
Il 13 ottobre 2017 cadono i 100 esatti dell’ultima apparizione della Vergine di Fatima e del miracolo del sole.
Il 13 ottobre 2016, entrava scandalosamente in Vaticano, nell’aula delle udienze (Sala Nervi), l’effigie di Martin Lutero, “in pellegrinaggio a Roma”, accoltavi dal Vescovo di Roma. Era l’inizio del trionfo dell’eresiarca e della sua eresia sulla Chiesa … “cattolica”.
Uno scandalo!!!
Il 13 ottobre 1958, alla presenza del Sacro Collegio, della Corte Pontificia, del Capitolo e del Clero della Patriarcale Basilica Vaticana, dei Parroci Romani e del popolo fedele, il corpo del defunto Venerabile pontefice Pio XII viene tumulato nelle Grotte Vaticane vicino al Sepolcro del beatissimo Pietro. Non a caso ciò avvenne un 13 ottobre … . Da allora la Chiesa mutò definitivamente rotta, non avendo motivi di cui gioire, come invece auspicò il successore. Quel 13 ottobre 1958 assieme alla bara di Pio XII scendeva nel sepolcro il Papato inteso come sommo potere religioso e civile, come katechon. Sappiamo comunque che come il Cristo, del quale è Vicario, risorgerà trionfante, Dio solo sa quando.
Il 13 ottobre 1917, alla Cova di Iria, la Vergine Maria, apparsa ai tre pastorelli il 13 maggio precedente, si presentava come la Regina del Rosario e sugellava la veridicità delle apparizioni con il celebre “miracolo del sole”, che si manifestò nuovamente, dinanzi a Pio XII, alla vigilia della proclamazione del dogma dell’Assunzione.
Il 13 ottobre 1884 il Sommo Pontefice Leone XIII scriveva la celebre preghiera al Principe delle Milizie Celesti, S. Michele, dopo aver visto in visione “demoni che si addensavano sul Vaticano e sulla Basilica di San Pietro che, assalita dalle forze infernali, tremava paurosamente” e udito “Satana che sfidava il Signore dicendo che se avesse avuto mano libera avrebbe distrutto la sua Chiesa in cento anni”. Per ordine dello stesso Pontefice, dal 1886 la potente preghiera era recitata al termine di ogni Messa.
E ciò fu fino al 1964 quando a seguito della riforma liturgica fu decretato che «...le preghiere leoniane sono soppresse»!!! Da quell’anno, non essendosi più invocato pubblicamente, da parte della Chiesa, al termine di ogni S. Messa, l’Arcangelo di «recare aiuto contro gli attacchi degli spiriti perduti al popolo di Dio, donando loro la vittoria», verosimilmente, dev’essere iniziato il tempo di Satana come richiesto al Signore dallo stesso principe della menzogna.
Il 13 ottobre dell’anno 64 d.C., poi, secondo gli studi della compianta epigrafista Professoressa Margherita Guarducci, nel decennale dell’ascesa al trono imperiale di Nerone (il dies imperii), si compiva sul Colle Vaticano il martirio del beato apostolo Pietro (cfr. Margherita Guarducci, La data del martirio di Pietro, in 30Giorni, 1996, fasc. marzo, pp. 79-82). Ecco come immaginò il martirio lo scrittore Henryk Sienkiewicz, nel suo Quo vadis: «La processione si fermò fra il Circo e il Colle Vaticano. Allora alcuni soldati cominciarono a scavare una buca, altri deposero la croce sul suolo, e i martelli e i chiodi, aspettando che fossero finiti i preparativi. [...] L’Apostolo col capo illuminato dagli aurei raggi del sole, si volse per l’ultima volta verso la città. [...] E Pietro, circondato dai pretoriani, contemplava la città come un governatore, un re, mira il suo retaggio, e le diceva: “Tu sei redenta e mia!”. Nessuno, non solo fra i soldati che scavavano la buca per la sua croce, ma nemmeno fra i credenti, avrebbe potuto indovinare che colui che era là, eretto in mezzo a loro, fosse il vero governatore di quella città; che sarebbero passati i Cesari, sarebbero passate le incursioni dei barbari, sarebbero passati secoli, ma quel vecchio vi sarebbe rimasto per sempre il supremo reggitore. [...] I soldati si appressarono a Pietro per spogliarlo. Ma egli, che era assorto nella preghiera, si drizzò d’un tratto e stese in alto la destra [...] fece il segno di croce, impartendo nell’ora della morte la sua benedizione “Urbi et orbi”».
Una data, dunque, densa di significati. Per la Chiesa di ieri. Ma anche e soprattutto per la Chiesa d’oggi.
Per questo rilanciamo l’editoriale dello scorso maggio di Radicati nella fede, che è stato pubblicato anche da Riscossa cristiana.






FATIMA È UN FATTO, NON UN’ERMENEUTICA.


Editoriale di “Radicati nella fede”
Anno X n. 5 - Maggio 2017

Fatima è un fatto, punto e basta. 
Se c’è una cosa che tutti devono riconoscere nel centenario delle apparizioni della Madonna in terra di Portogallo, è che da Fatima non si può prescindere. Sia che tu le riconosca come vere, sia che tu rimanga come un po’ in sospeso, da Fatima non puoi esulare: essa segna una “botta” di cristianità in mezzo al secolo più laico che la storia abbia mai conosciuto; segna un emergere della coscienza cattolica, più puramente cattolica che si possa immaginare, alla vigilia della seconda guerra mondiale e di quella che viene da molti chiamata la terza guerra mondiale, cioè il Concilio Vaticano II e il suo turbolento post- concilio.
Il fatto stesso che la Chiesa non le abbia sconfessate, ma anzi riconosciute ripetutamente, anche con il pellegrinaggio di suoi tre Papi (il quarto, l’attuale, è in procinto di recarvisi), pone le apparizioni di Fatima al centro della storia della Cattolicità tra ‘900 e 2000.
E non è nemmeno necessario chiarire il mistero del terzo o quarto segreto, che tutt’ora permane, per capire che Fatima colpisce al fianco quella falsificazione della vita della Chiesa che si è andata drammaticamente operando in nome dell’ “aggiornamento”.
Basta risentire i primi due segreti, quelli conosciuti con chiarezza, per capire che il Cielo è intervenuto a correggere quel disastro che gli uomini di chiesa avrebbero costruito da lì a poco. La visione dell’inferno, l’annuncio della fine della prima guerra mondiale e poi l’annuncio della seconda, se gli uomini non si fossero pentiti e ravveduti, sono la più solenne dichiarazione che il nuovo cattolicesimo, sfornato negli anni ‘60, non ha nulla a che fare con la Rivelazione, non ha nulla a che fare col Vangelo di Cristo.
Viene proprio da dirlo: bastano i primi due segreti per scandalizzarsi, se si è dei cattolici ammodernati!
Sì, perché Fatima è la solenne riaffermazione che la storia dipende da Dio, proprio da Dio. Che le guerre non sono l’inizio del male, ma l’esito del peccato degli uomini. Fatima ci ricorda che i nostri atti ci seguono; che il tradimento nei confronti di Dio si paga, nella vita personale come in quella pubblica, a meno che non intervenga un salutare pentimento. Fatima, la Madonna a Fatima, parla per i Pastori della Chiesa che non parlano più; avvisa i suoi figli che bisogna riparare l’offesa fatta a Dio e che da questo dipenderà la storia del mondo, delle nazioni e dei popoli, e non solo la vita personale.
Fatima riafferma l’esistenza dell’Inferno e la sua tragica possibilità, mentre di lì a poco tutta la pastorale della Chiesa ne avrebbe vietato il parlarne. In una parola, Fatima è così limpida come contenuto che è semplicemente una pagina evangelica; ma proprio del Vangelo nel suo contenuto più semplice di conversione, di dannazione e salvezza, la Chiesa si stava preparando a non parlare più.
Certo, si parlerà molto di Fatima in questi mesi, ma molto verrà fatto per tradirla. La si ridurrà all’esperienza spirituale di tre bambini, sottolineando solo che Dio è provvidenza e non abbandona gli uomini. La si ridurrà ad una specie di “scuola di preghiera”, come quelle che tanto andavano in voga negli anni ‘80, ma ci si guarderà bene dal ricordare fino in fondo ciò che la Madonna ha detto in riferimento alla storia dell’umanità e della Chiesa. Si annullerà Fatima dentro la grande ermeneutica della Chiesa di oggi: tutto va riletto dentro lo “spirito del Concilio”, anche Fatima che ne è così evidentemente lontana.
I cattolici di oggi sono così immersi nel Naturalismo, per cui Dio resta al di là della storia senza determinarne il corso, da non sopportare che una guerra scoppi perché i cristiani non osservano più i comandamenti. Per i cattolici riprogrammati dai vari sinodi diocesani, la storia ha ragioni economiche e sociali, mai religiose.
Invece Fatima, eco del Vangelo, dice il contrario: le cause sono sempre religiose: dall’obbedienza o meno a Dio, a Gesù Cristo, dipende tutto.
Il terzo segreto, sia quello che sia, non sarà di una natura diversa da quella dei primi due: ribadirà che la storia dell’umanità e anche quella della Chiesa, dipendono dalla santità o meno dei cristiani. Il terzo segreto riaffermerà che anche la Chiesa si può rinnovare non nelle ottuse analisi umane, ma nell’osservanza della volontà di Dio, possibile solo nella grazia dei sacramenti.
Apprestiamoci a vivere allora con la semplicità dei bambini, dei bambini di Fatima, questo centenario, consapevoli che non si tratta della celebrazione di un fatto passato, ma di un potente richiamo attuale: se gli uomini continueranno a offendere Dio una guerra peggiore scoppierà... e che sia guerra militare o guerra morale poco importa, visto che in entrambe le anime sono esposte al pericolo della dannazione eterna, da cui la Madonna ci vuole sottrarre.
Apprestiamoci a vivere il centenario di Fatima accogliendo il grande richiamo della devozione al Cuore Immacolato di Maria, vero e proprio “pugno nello stomaco” per il cristianesimo ammodernato: la comunione riparatrice che cambia il corso della storia.