Ad un anno dalla
pubblicazione dei Dubia, il card. Burke ha rilasciato un’intervista, che ha
tutto l’aspetto di una sorta di comunicato stampa, e che è stato pubblicato all’unisono
da LNBQ,
Settimo
Cielo ed, in lingua inglese, da National
Catholic Register, ripresi anche da MiL,
Messa in latino.
L’illustre prelato
invita il Vescovo di Roma nuovamente a fare chiarezza.
Cfr. su questa
intervista anche, in commento, Dubia ultima chiamata. Burke rincara la dose “Un
anno di confusione”, in Campari
& de Maistre, 14.11.2017.
Vale per noi ricordare un appunto di Magister:
"Le novità le introduce sempre a piccole dosi, seminascoste, magari in un'allusiva nota a piè di pagina, come ha fatto con l'ormai famosa nota 351 dell'esortazione postsinodale "Amoris laetitia", salvo poi dire con candore, interpellato in una delle sue altrettanto famose conferenze stampa in aereo, che quella nota nemmeno se la ricorda" (La rivoluzione di Bergoglio. A piccole dosi ma irreversibile, in Settimo Cielo, 12.11.2017).
Ed ancora:
"Ma questo è appunto ciò che fa oggi il primo papa gesuita della storia: mette in moto “processi” dentro i quali semina le novità che vuole prima o poi vittoriose, nei campi più diversi, come ad esempio nel giudizio sul protestantesimo. […] Lascia che corrano le interpretazioni più disparate, sia conservatrici che di progressismo estremo, senza mai condannarne esplicitamente nessuna. L’importante per lui è “gettare il seme perché la forza si scateni”, è “mescolare il lievito perché la forza faccia crescere”, sono parole di una sua omelia di pochi giorni fa a Santa Marta" (ivi).
Cfr. Francesco Lamendola, La strategia dei piccoli passi, in Nuova Italia - Accademia Adriatica di Filosofia, 13.11.2017.
Vale per noi ricordare un appunto di Magister:
"Le novità le introduce sempre a piccole dosi, seminascoste, magari in un'allusiva nota a piè di pagina, come ha fatto con l'ormai famosa nota 351 dell'esortazione postsinodale "Amoris laetitia", salvo poi dire con candore, interpellato in una delle sue altrettanto famose conferenze stampa in aereo, che quella nota nemmeno se la ricorda" (La rivoluzione di Bergoglio. A piccole dosi ma irreversibile, in Settimo Cielo, 12.11.2017).
Ed ancora:
"Ma questo è appunto ciò che fa oggi il primo papa gesuita della storia: mette in moto “processi” dentro i quali semina le novità che vuole prima o poi vittoriose, nei campi più diversi, come ad esempio nel giudizio sul protestantesimo. […] Lascia che corrano le interpretazioni più disparate, sia conservatrici che di progressismo estremo, senza mai condannarne esplicitamente nessuna. L’importante per lui è “gettare il seme perché la forza si scateni”, è “mescolare il lievito perché la forza faccia crescere”, sono parole di una sua omelia di pochi giorni fa a Santa Marta" (ivi).
Cfr. Francesco Lamendola, La strategia dei piccoli passi, in Nuova Italia - Accademia Adriatica di Filosofia, 13.11.2017.
Raymond Leo card.
Burke: Amoris Laetitia, fare chiarezza per salvare la fede
A un anno dalla
pubblicazione dei Dubia sull’esortazione apostolica “Amoris Laetitia”,
viene diffusa la seguente intervista al cardinale Raymond Leo Burke, che fa il
punto su quanto accaduto da allora. Così come i “Dubia” questa intervista esce
contemporaneamente su La Nuova Bussola Quotidiana, Settimo
Cielo e il National Catholic Register. E noi
contestualmente la riprendiamo.
La ritengo importante
sia perché avalla pubblicamente la Correctio filialis che perché attendibilmente prelude,
nel caso di mancata risposta a questo che viene chiamato ‘ultimo appello’,
alla correctio canonica.
Eminenza, è passato
un anno da quando lei, il cardinale Walter Brandmüller e i due cardinali recentemente
scomparsi, Carlo Caffarra e Joachim Meisner, avete pubblicato i “dubia”. A che
punto siamo?
A un anno dalla
pubblicazione dei “dubia” su “Amoris laetitia”, che non hanno ottenuto
alcuna risposta dal Santo Padre, constatiamo che la confusione sull’interpretazione
dell’esortazione apostolica è sempre maggiore. Per questo motivo si fa ancora
più urgente la nostra preoccupazione per la situazione della Chiesa e per la
sua missione nel mondo. Io, naturalmente, continuo ad essere in regolare
contatto con il cardinale Walter Brandmüller per quanto riguarda questi
gravissimi problemi. E tutti e due rimaniamo in profonda unione con i due
cardinali defunti Joachim Meisner e Carlo Caffarra, che ci hanno lasciati nel
corso degli ultimi mesi. Così, ancora una volta faccio presente la gravità
della situazione, che continua a peggiorare.
Si è molto parlato dei pericoli della natura ambigua del
capitolo 8 di “Amoris laetitia”, sottolineando che è aperto a molte
interpretazioni. Perché fare chiarezza è così importante?
La chiarezza nell’insegnamento
non implica alcuna rigidità che impedisca al popolo di camminare sulla via del
Vangelo, ma, al contrario, la chiarezza dona la luce necessaria ad accompagnare
le famiglie sulla via della sequela di Cristo. È l’oscurità che ci impedisce di
vedere il cammino e ostacola l’azione evangelizzatrice della Chiesa, come dice
Gesù: “Arriva la notte, in cui nessuno può lavorare” (Gv 9, 4).
Può spiegare di più
la situazione attuale alla luce dei “dubia”?
La presente
situazione, lungi dal diminuire l’importanza dei “dubia”, li rende
ancora più pressanti. Non si tratta affatto, come qualcuno ha detto, di una “ignorantia
affectata”, che solleva dubbi solo perché non vuole accettare un determinato
insegnamento. Piuttosto, la preoccupazione è stata ed è di determinare con precisione
ciò che il papa ha voluto insegnare come successore di Pietro. Le domande
nascono, quindi, proprio dal riconoscimento dell’ufficio petrino che papa
Francesco ha ricevuto dal Signore al fine di confermare i suoi fratelli nella
fede. Il magistero è un dono di Dio alla Chiesa per fare chiarezza sui punti
che riguardano il deposito della fede. Affermazioni alle quali mancasse questa
chiarezza non potrebbero essere, per loro stessa natura, espressioni
qualificate del magistero.
Perché è così
pericoloso, secondo lei, che ci siano interpretazioni diverse di ”Amoris
laetitia”, in particolare sull’approccio pastorale di chi vive in unioni
irregolari e specificamente sui divorziati risposati civilmente che non vivono
in continenza e ricevono la santa comunione?
È palese che alcune
indicazioni di “Amoris laetitia” riguardanti aspetti essenziali della
fede e della pratica della vita cristiana hanno ricevuto varie interpretazioni,
che sono divergenti e a volte incompatibili tra loro. Questo fatto incontestabile
conferma che quelle indicazioni sono ambivalenti e permettono un varietà di letture,
molte delle quali sono in contrasto con la dottrina cattolica. Perciò le
questioni sollevate da noi cardinali riguardano che cosa abbia insegnato
esattamente il Santo Padre e come il suo insegnamento si armonizzi con il
deposito della fede, dato che il magistero “non è superiore alla parola di Dio
ma la serve, insegnando soltanto ciò che è stato trasmesso, in quanto, per
divino mandato e con l’assistenza dello Spirito Santo, piamente ascolta,
santamente custodisce e fedelmente espone quella parola, e da questo unico
deposito della fede attinge tutto ciò che propone a credere come rivelato da
Dio” (Concilio Vaticano II, Costituzione dogmatica “Dei Verbum”, n. 10).
Non ha chiarito il
papa su quale posizione egli si pone, tramite la sua lettera ai vescovi argentini,
nella quale egli ha affermato che “non vi è altra interpretazione” se non le
linee guida che questi vescovi hanno indicato, linee guida che hanno lasciata
aperta per delle coppie non sposate ma in intimità sessuale la possibilità di
ricevere la santa eucaristia?
Al contrario di
quanto alcuni hanno detto, non possiamo considerare una risposta adeguata alle
domande da noi poste la lettera del papa ai vescovi della regione di Buenos Aires
[qui], scritta poco prima che egli ricevesse i “dubia” e
contenente commenti alle linee guida pastorali dei vescovi. Da una parte,
queste linee guida possono essere interpretate in modi differenti; dall’altra,
non è chiaro che questa lettera sia un testo magisteriale, nel quale il papa
abbia voluto parlare alla Chiesa universale come successore di Pietro. Già il
fatto che si sia conosciuta quella lettera perché fatta filtrare alla stampa –
e solo dopo sia stata resa nota dalla Santa Sede – solleva un ragionevole
dubbio sull’intenzione del Santo Padre di rivolgerla alla Chiesa universale.
Inoltre, risulterebbe un po’ strano – e contrario al desiderio esplicitamente
formulato da papa Francesco di lasciare la concreta applicazione di “Amoris
laetitia” ai vescovi di ogni paese (cfr. AL 3) – che ora egli imponga alla
Chiesa universale quelle che sono soltanto le concrete direttive di una
particolare regione. E non dovrebbero allora essere considerate tutte invalide
le differenti disposizioni promulgate da vari vescovi nelle rispettive diocesi,
da Philadelphia a Malta? Un insegnamento che non è sufficientemente
determinato, tanto nella sua autorità quanto nel suo contenuto effettivo, non
può mettere in dubbio la chiarezza del costante insegnamento della Chiesa, che,
in ogni caso, rimane sempre normativo.
La preoccupa anche il
permesso dato da alcune conferenze episcopali a dei divorziati risposati che vivono
“more uxorio” (cioè avendo relazioni sessuali) di ricevere la santa comunione
senza un fermo proposito di cambiar vita, contraddicendo così l’insegnamento
pontificio precedente, in particolare l’esortazione apostolica di san Giovanni
Paolo II “Familiaris consortio”?
Sì, i “dubia”
e le domande restano aperti. Quelli che sostengono che la disciplina insegnata
da “Familiaris consortio” 84 è cambiata si contraddicono l’un l’altro
quando arrivano a spiegarne le ragioni e le conseguenze. Alcuni arrivano fino
al punto di sostenere che i divorziati in nuova unione che continuano a vivere “more
uxorio”, non si troverebbero in uno stato oggettivo di peccato mortale
(citando in appoggio AL 303); mentre altri negano questa interpretazione (citando
in appoggio AL 305), ma lasciano completamente al giudizio della coscienza di
determinare i criteri di accesso ai sacramenti. Sembra che l’obiettivo di tanti
interpreti sia di arrivare, in un modo o nell’altro, a un cambiamento di disciplina,
mentre le ragioni che essi adducono a questo fine non hanno importanza. Né essi
mostrano alcuna preoccupazione su quanto mettono in pericolo materie essenziali
del deposito della fede.
Qual è l’effetto
tangibile che questa miscela di interpretazioni ha avuto?
Questa confusione
ermeneutica ha già prodotto un triste risultato. Infatti, l’ambiguità riguardo
a un punto concreto della cura pastorale della famiglia ha portato alcuni a proporre
un cambiamento di paradigma dell’intera pratica morale della Chiesa, le cui
fondamenta sono state autoritativamente insegnate da san Giovanni Paolo II
nella sua enciclica “Veritatis splendor ”.
In effetti è stato
messo in moto un processo che è eversivo di parti essenziali della tradizione.
Per quanto riguarda la morale cristiana, alcuni sostengono che le norme morali
assolute devono essere relativizzate e che una coscienza soggettiva e autoreferenziale
debba avere un primato – in definitiva equivoco – in materie che toccano la
morale. Quello che è in gioco, dunque, non è in alcun modo secondario rispetto
al “kerygma”, cioè al messaggio fondamentale del Vangelo. Stiamo parlando della
possibilità o no che l’incontro con Cristo, per grazia di Dio, dia forma al
cammino della vita cristiana, in modo che possa essere in armonia con il
disegno sapiente del Creatore. Per comprendere la portata di tali cambiamenti,
basta pensare a cosa succederebbe se questo ragionamento fosse applicato ad
altri casi, come quello di un medico che effettua aborti, di un politico che fa
parte di un reticolo di corruzione, di una persona sofferente che decide di
fare una richiesta di suicidio assistito...
Alcuni hanno detto
che l’effetto più rovinoso di tutto ciò è che configura un attacco ai sacramenti,
oltre che all’insegnamento morale della Chiesa. È così?
Al di là del
dibattito morale, il senso della pratica sacramentale va degradandosi sempre di
più nella Chiesa, specialmente quando si tratta dei sacramenti della penitenza
e dell’eucaristia. Il criterio decisivo per l’ammissione ai sacramenti è sempre
stato la coerenza del modo di vivere di una persona con gli insegnamenti di Gesù.
Se invece il criterio decisivo diventasse l’assenza della colpevolezza soggettiva
della persona – come hanno suggerito alcuni interpreti di “Amoris laetitia”
– ciò non cambierebbe la natura stessa dei sacramenti? Infatti, i sacramenti
non sono incontri privati con Dio, né sono mezzi di
integrazione sociale in una comunità. Piuttosto, sono segni visibili ed
efficaci della nostra incorporazione in Cristo e nella sua Chiesa, in cui e per
mezzo di cui la Chiesa pubblicamente professa e mette in pratica la sua fede.
Quindi trasformare la diminuita colpevolezza soggettiva o la mancanza di
colpevolezza di una persona nel criterio decisivo per l’ammissione ai
sacramenti metterebbe a rischio la stessa “regula fidei”, la regola
della fede, che i sacramenti proclamano e attuano non solo con parole ma anche
con gesti visibili. Come potrebbe la Chiesa continuare ad essere sacramento
universale di salvezza se il significato dei sacramenti fosse svuotato del suo
contenuto?
Nonostante il fatto
che lei e tanti altri, tra cui oltre 250 accademici e preti che hanno pubblicato
una “correzione filiale” [qui], abbiate già espresso seri dubbi circa gli effetti di
questi passaggi di “Amoris laetitia”, e poiché finora non avete ricevuto
nessuna risposta da parte del Santo Padre, lei intende qui rivolgergli un
ultimo appello?
Sì, per queste gravi
ragioni, un anno dopo aver resi pubblici i “dubia”, mi rivolgo di nuovo
al Santo Padre e a tutta la Chiesa, sottolineando quanto sia urgente che, nell’esercitare
il ministero che ha ricevuto dal Signore, il papa confermi i suoi fratelli
nella fede con una chiara manifestazione dell’insegnamento riguardante sia la
morale cristiana che il significato della pratica sacramentale della Chiesa.
Fonte: Chiesa e postconcilio, 14.11.2017
Fonte: Chiesa e postconcilio, 14.11.2017
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