Sante Messe in rito antico in Puglia

domenica 31 dicembre 2017

L'inno solenne del Te Deum a fine dell'anno civile

Corrado Giaquinto, La Vergine Maria presenta S. Nicola alla SS. Trinità, 1731 circa, collezione privata






Cfr. Plenary Indulgence reminders: Te Deum on Dec. 31 Veni Creator on Jan. 1, in Rorate caeli, Dec. 30, 2017

sabato 30 dicembre 2017

“Io al Credo non ci credo”. E pure io!

Rilanciamo un contributo del nostro affezionato amico Francesco Parresio.
E poniamo una domanda: ma il sig. Fredo Olivero, che avrebbe dichiarato, in qualità di prete, durante la messa di Natale, di non credere alle verità del Credo e, perciò, di aver fatto pubblica professione di apostasia (e di rinnegamento, dunque, della declaratio da lui rilasciata allorché ricevette i Sacri Ordini), non sarebbe coerente che si dimettesse dallo stato clericale???? Che senso avrebbe vestire un abito se non si crede??? Non foss’altro perché – visto che con simili soggetti non sarebbe possibile richiamare argomenti di fede – egli percepirebbe (essendo parroco) un emolumento (con l’8x1000) anche per questo. Se fosse coerente – e lo sfidiamo in questo – dovrebbe dimettersi. Che senso ha fregiarsi dell’appellativo di ministro di Dio, se non crede a quel Dio? Se immaginasse che il ministero sacerdotale fosse una sorta un lavoro a metà strada tra l’operatore del sacro e l’operatore sociale, bene, possiamo tranquillizzarlo: potrebbe svolgere la sua attività “sociale” in qualche onlus, ma non certo continuando a vestire l’abito sacerdotale; abito nel quale non crederebbe più, poiché non crederebbe – l’ha detto lui stesso – alle principali verità della fede contenute nel Credo.
Il suddetto, del resto, non è nuovo a simili uscite: ricordiamo che tempo fa aveva dichiarato, in sostanza, di non credere al dogma della transustanziazione, tanto da spingersi a domandare che questa verità di fede fosse “riletta” in chiave spirituale (cfr. Don Fredo vuole rileggere il dogma della Transustanziazione, in Il bene vincerà, 20.6.2017).
Un atto di coerenza ed onestà intellettuale chiediamo.
Né più né meno.
Se poi egli non avesse questo coraggio – perché, sì, ci vuole coraggio ed onestà ad essere coerenti con le proprie convinzioni – per compiere questo passo, trovando accomodante, e forse conveniente, continuare a beneficiare di un abito nel quale non crede, beh … chiediamo al suo vescovo di intervenire.
Il suo vescovo – il quale, vogliamo sperare, abbia conservato almeno la fede nel Credo – non potrebbe far finta di nulla dinanzi ad una pubblica, quanto scandalosa, professione di apostasia, ma dovrebbe doverosamente prenderne atto ed assumere i provvedimenti del caso, avviando le debite procedure previste dalla legge canonica. Se non altro perché non si dica che, non intervenendo, anche lui, de facto, “non creda al Credo”.
Vedremo se l’onestà intellettuale e la coerenza sono ancora virtù (laiche) o se non lo sono più.

“Io al Credo non ci credo”. E pure io!

di Franco Parresio

“Io al Credo non ci credo” è la nuova professione di fede resa pubblicamente la notte di Natale da un prete torinese ai suoi fedeli, ai quali ha fatto cantare Dolce sentire al posto del Credo (cfr. Andrea Zambrano, Al Credo non ci credo: il prete ora è libero di non avere fede, in LNBQ, 30.12.2017).
Come dargli torto? Anch’io, come quel prete, “dopo tanti anni ho capito che [il Credo] era una cosa che non capivo e che non potevo accettare”… ma con argomentazioni ben diverse e diametralmente opposte alle sue. E non solo il Credo, ma anche tutti gli altri testi liturgici consegnatici in traduzione volgare (sotto tutti i punti di vista) dagli artefici della tanto decantata quanto deprecata “riforma liturgica”; artefici che hanno avuto finalmente ragione alle loro discutibilissime ragioni, grazie all’avallo ricevuto dall’attuale Vescovo di Roma, il quale, con definizione quasi ex cathedra, ha solennemente dichiarato: «Possiamo affermare con sicurezza e con autorità magisteriale che la riforma liturgica è irreversibile» (Discorso ai partecipanti alla LXVIII Settimana Liturgica Nazionale, 24.8.2017. Su questo discorso, v. il mio Magnum principium vs Summorum Pontificum?, qui). Sì… come il coma.
I testi liturgici a cui mi riferisco sono svariati; in modo particolare sono quelli che nella traduzione ufficiale in lingua italiana hanno subìto una sorta di rivoluzione copernicana al contrario: da essere teocentrici o cristocentrici (come nell’originale latino) sono divenuti antropocentrici; dove l’io e il noi acquistano un’importanza rilevante al punto da sminuire se non addirittura condizionare quella di Dio. E così si spiega anche il perché non ci si inginocchi più e non ci si batta più il petto durante la Messa (tanto non ce n’è più bisogno!), ma ci si affanni durante lo scambio della pace a salutare gli amici vicini e lontani sparsi nella chiesa.
A questo punto faccio io una proposta, valida non solo per la Messa del 31 dicembre ma anche per tutte le celebrazioni che lo richiedono: aboliamo il Te Deum, così insulso nella sua traduzione in italiano. Non si può affatto sentire quel “Noi ti lodiamo Dio, ti proclamiamo Signore”… come se la signoria di Dio dipendesse da noi. Poveri illusi!
E se quel prete ha fatto intonare il melenso e antidiluviano Dolce sentire al posto del Credo, io al posto del Te Deum farei eseguire, con chitarra e battito di mani, l’altrettanto melenso e antidiluviano Cristo non ha mani (qui): canzonette così care alla sua decadente generazione postsessantottina.
Buon anno.

lunedì 25 dicembre 2017

Benedizione natalizia Urbi et orbi dei Papi degni di questo nome!


Il nostro augurio di Santo Natale non allineato .....

Un nostro amico ci ricorda che la Regalità sociale del Cristo si manifesta visibilmente il giorno di Natale, quando si adora il mistero dell'Essere sussistente in se stesso, Atto purissimo e Pensiero di pensiero, che si fa Carne, che si fa Bimbo, ricevendo dal Padre ogni potestà in cielo e in terra. La Provvidenza stabilì dunque che il 25 dicembre 390 Teodosio Magno facesse pubblica ammenda davanti a sant'Ambrogio; che il 25 dicembre 496 Clodoveo col battesimo cattolico immettesse il suo regno nel Regno del Cristo (e ricevesse l'unzione regale, secondo la testimonianza di Incmaro di Reims, con il crisma portato a S. Remigio da una angelica colomba, custodito nella c.d. Santa Ampolla, e che da allora servì a consacrare i Re di Francia); che infine il 25 dicembre 800 san Leone III incoronasse Sacro Romano Imperatore Carlo Magno. Il Verbo che ha preso una carne materiale e visibile vuole che per mezzo della sua Chiesa Romana si incarni nella società civile la sua Rivelazione: ecco la Christianitas.
Facciamo nostre le ispirate parole di san Leone Magno sulla dignità del cristiano, oggi dimenticata ed oscurata, diluita com'è nell'umanismo e nell'indifferentismo: "Riconosci, o Cristiano, la tua dignità: e, divenuto partecipe della divina natura, non volere con un'indegna condotta ritornare all'antica abiezione. Ricorda di qual capo e di qual corpo sei membro. Rifletti, che strappato alla potestà delle tenebre, sei stato trasferito nella luce e nel regno di Dio" (Disc. 1 per il Natale, 1-3, in PL 54, 190-193).
La dignità del cristiano, ricevuta col Battesimo, rende quella persona superiore a qualsiasi altro essere umano, pagano, non credente, musulmano, giudeo, ecc. La sua dignità è incommensurabile, perché è di origine soprannaturale, a differenza di quella "naturale", macchiata dalla colpa originale e ferita dal peccato degli altri esseri umani. Continuava sempre S. Leone Magno: "Con il sacramento del battesimo sei diventato tempio dello Spirito Santo! Non mettere in fuga un ospite così illustre con un comportamento riprovevole e non sottometterti di nuovo alla schiavitù del demonio. Ricorda che il prezzo pagato per il tuo riscatto è il sangue di Cristo".
Auguri di Santo Natale a tutti i nostri lettori, con l'auspicio che tutti i cristiani, dinanzi al mondo, riconoscano la loro dignità!







  
José Campeche y Jordan, La Natività, 1799 circa, Smithsonian American Art Museum, Washington, D.C.,

Giovanni Gasparro, Sacra Famiglia, 2016, collezione privata, Valenzano

Natività, 2017, Casa Parroquial, Campillos (Málaga)

Testone in argento detto "del presepe" di Papa Gregorio XIII (1572-1585), coniato in Roma, ultimo quarto del XVI secolo

"Puer natus est nobis" - Antifona di introito del Giorno di Natale










domenica 24 dicembre 2017

“L’arte all’arte e il lupo alle pecore”. La storicità del 25 dicembre

Ricevuto, rilanciamo questo contributo di un nostro amico.
Per approfondimenti sul tema della data del 25 dicembre, rinviamo di recente anche a Clemente Sparaco, Dies Natalis Domini (Il Natale del Signore), in Riscossa cristiana, 18.12.2017.

“L’arte all’arte e il lupo alle pecore”. La storicità del 25 dicembre

di Vito Abbruzzi

«L’artә a lartә e u loupә e pekәrә», l’arte all’arte e il lupo alle pecore. È un detto tipicamente conversanese, per mettere a tacere chi pecca di saccenteria, ricordandogli che la ragione può vantarla solo il competente in materia. Un principio questo recepito in tempi recenti anche dalla scuola italiana, la cui didattica, oltre alle normali conoscenze e abilità, è volta all’acquisizione delle competenze. Infatti, oggi si parla di “didattica per competenze”. Ma questo principio, ahimè!, è ancora lontano dall’essere recepito proprio da molti docenti che o non si aggiornano o semplicemente non si confrontano con chi ne sa di più di loro. Ne deriva che la loro è una didattica per stereotipi.
«Attenti agli stereotipi»! L’ammonisce – guarda caso – proprio Antonio Brusa, docente di Didattica della Storia all’Università di Bari, in un suo libro ad uso scolastico (L’atlante delle storie, vol. 1, ed. Palumbo, Palermo 2010, p. 51), ricordando, non tanto ai discenti quanto ai docenti, che «uno stereotipo è una convinzione falsa alla quale molti credono. Se ne trovano per ogni argomento. […] Ce ne sono, sorprendentemente, anche nelle conoscenze scientifiche. […] Dobbiamo liberarcene, se vogliamo capire […] e se vogliamo discutere con serietà» (ivi).
Gli stereotipi a cui il prof. Brusa fa riferimento sono quelli riguardanti «la storia della formazione dell’uomo», dicendo, a chiare lettere, a chi continua a sostenere il contrario anche e soprattutto nel mondo della scuola, che «siamo i fratelli, o i cugini delle scimmie, non i loro discendenti» (ivi).
Ma gli stereotipi riguardano anche il Cristianesimo, la cui storia è ancora insegnata sulla improbabilità dell’accadimento di certi eventi, che hanno di fatto cambiato la Storia. Mi riferisco al Natale e alla Pasqua, la cui narrazione apparterrebbe più al genere mitologico che a quello storico. E così si finisce col sostenere che Gesù non solo non è nato il 25 dicembre, ma forse non è mai esistito. Così anche la sua resurrezione: più presunta che reale. Ma su questo argomento ho già in mente un articolo di prossima pubblicazione: «La resurrezione di Cristo non è un pesce d’aprile», visto che quest’anno Pasqua sarà il 1 aprile.
Ho già ampiamente trattato su questo blog la questione del 25 dicembre e la sua fondatezza storica (v. quiqui e qui). Non voglio annoiare ulteriormente, ma mettere in guardia proprio dagli stereotipi che, mitilogizzando la nascita del Cristo, danneggiano l’Insegnamento e conseguentemente l’educazione dei giovani, in nome di una emancipazione fasulla, che nega i principi cristiani su cui l’Occidente stesso è fondato.
Buon Natale.


Un sito per questa Vigilia di Natale: la chiesa del Kathisma, luogo in cui la Madonna si riposò andando verso Betlemme

(Cliccare sull'immagine per il video)

Roccia del Kathisma su cui la Vergine si è riposata andando verso Betlemme

"Hodie sciétis" - Antifona di introito della Vigilia di Natale






"Rorate caeli" - Antifona di introito della IV Domenica di Avvento

Sebbene quest'anno, per la concomitanza della Vigilia di Natale, non si faccia nulla della IV Domenica d'Avvento, nondimeno ne proponiamo l'antifona d'introito con il celebre inno Rorate caeli.





Inno completo: