Qualche
mese fa, in occasione della pubblicazione sul sito del Vaticano della lettera di
compiacimento del Vescovo di Roma ai vescovi della regione ecclesiastica di
Buenos Aires per i Criterios básicos para la aplicación del capitulo VIII de
Amoris laetitia – lettera del Vescovo di Roma, a quanto ci risulta,
probabilmente richiesta da persone vicine all’attuale establishment vaticano,
prima che giungesse un parere avanzato dai vescovi predetti ad un gruppo di
teologi moralisti, e che “blindava” i criteri elaborati in quel momento - un
insigne canonista, il prof. Edward Peters, docente di diritto canonico a
Detroit, affermava che quella lettera e quei Criteri non potessero assumere
valore legislativo in ambito canonico né vincolante, in quanto la pubblicazione
online non costituiva una modalità prevista dal can. 8 § 1 C.I.C. (cfr. E. Peters, On the appearance of the
pope’s ‘Buenos Aires’ letter on the Vatican website, in In the Light of
the Law – A Canon Lawyer’s Blog, Aug. 24, 2017) Concludeva, quindi,
mostrando una certa rassicurante tranquillità:
«There are, to be
sure, many important publications coming out of the Holy See and/or the Vatican
City State (L’Osservatore Romano, Communicationes, Enchiridion
Vaticanum, the Insegnamenti of recent popes, and so on) some of which
carry canonically and magisterially significant documents in a complex (and
sometimes confusing) variety of formats. Sorting out these fontes essendi
and fontes cognoscendi is stuff for professionals; our focus today is on
key points of codified canon law, on some very important disciplinary
provisions presented in that law, and specifically on where such laws and norms
for pastoral activity are set out authoritatively.
And that, folks, is not
the Vatican website».
Aveva
ragione. Per quell’insigne canonista serviva la pubblicazione sugli Acta
Apostolicae Sedis.
La qual
cosa è avvenuta puntualmente. In effetti, pochi giorni fa, il testo della
Lettera del Vescovo di Roma, unitamente ai Criterios básicos elaborati
dai vescovi argentini sono apparsi sul fasc. 10 dell’anno 2016 degli Acta
Apostolicae Sedis, pp. 1071-1074. Ora, va detto che gli Acta sono
pubblicati con circa un anno di ritardo rispetto a quello di riferimento. Per
cui, la pubblicazione risale davvero a pochi giorni fa. Senonché questi due
documenti – ed è qui la novità di rilievo – sono stati pubblicati con un
rescritto ex audientia SS.mi, a firma del card. Segretario di Stato,
Pietro Parolin, datato 5 giugno 2017.
Quest’atto,
dal nome altisonante (ex audientia SS.mi), che non compare nel sito del
Vaticano, in verità, oltre a disporre la pubblicazione dei due predetti atti
negli Acta, qualificava gli stessi come espressione del Magistero
Autentico:
Summus Pontifex decernit ut duo Documenta quae praecedunt edantur per
publicationem in situ electronico Vaticano et in Actis
Apostolicae Sedis, velut Magisterium authenticum.
Ex Aedibus Vaticanis, die V mensis Iunii anno MMXVII
Petrus Card. Parolin
Secretarius Status
Non
solo. Ma negli Acta, la Lettera del Vescovo di Roma appare così
titolata: EPISTULA APOSTOLICA Ad Excellentissimum Dominum Sergium Alfredum Fenoy,
delegatum Regionis Pastoralis Bonaërensis, necnon adiunctum documentum (de
praecipuis rationibus usui capitis VIII Adhortationis post-synodalis “Amoris
Laetitia”).
Tutta questa terminologia – unitamente all’elevazione dei due documenti a “Magistero
autentico”, che evoca direttamente, quanto a sua vincolatività, il can. 752
c.i.c. – spazza via ogni perplessità circa la natura della missiva del Vescovo
di Roma.
In effetti, nel settembre 2016, non pochi autori non vi avevano ravvisato
alcun allarmismo, stante – affermavano – la natura assuntamente “privata” e non
vincolante dell’atto in questione. Tra questi segnaliamo il domenicano P.
Giovanni Cavalcoli (Circa la infelice lettera del santo padre ai vescovi
argentini: una nota sulla questione della comunione ai divorziati risposati,
in Isola di Patmos, 14.9.2016) ed il
giornalista Riccardo Cascioli (cfr. Amoris Laetitia, il dibattito non è
finito, in LNBQ, 13.9.2016). Cosa
diranno oggi questi nostri autori??? Ribadiranno quanto da loro detto più di un
anno fa e cioè che trattasi non di documento magisteriale, bensì di missiva
avente carattere privato??? Vorranno affermare ciò nonostante il rescritto,
minimizzandolo???
Per la verità, già l’anno scorso quest’affermazione lasciava molto a
desiderare dal punto di vista canonistico e logico. In effetti, un documento
che era pubblicato – come nel caso della Lettera in questione e dei Criterios básicos sul quotidiano de L’Osservatore
romano e diffuso dalla Radio Vaticana, ben difficilmente poteva
ritenersi meramente privato, se non compiendo una notevole forzatura del dato
oggettivo della pubblicazione ufficiale nel quotidiano della Santa Sede.
D’altro
canto, l’affermazione circa l’irrilevanza magisteriale di missive pontificie
pretesamente private era facilmente smentita da una semplice lettura dell’Enchiridion
Symbolorum del Denzinger. Basta sfogliarlo per rendersi conto che la
maggior parte dei documenti ivi registrati e che costituirebbero il magistero
papale sono costituiti da missive “private” papali a vescovi, singoli o gruppi
di una regione ecclesiastica, a imperatori , re e capi di governo. Documenti,
dunque, per loro natura, nati come “privati” sono entrati a pieno titolo nel
Magistero. Da sempre, per di più, come notato da un
nostro Amico, anche gli atti privati di un Pontefice fanno testo, quando
esplicitano la mens di un
provvedimento. Per esempio, il “De
Synodo Dioecesana libri tredecim” fu senz’altro un’opera scritta da
Benedetto XIV – Prospero Lambertini come dottore privato; ma la Curia Romana, interrogata
sul senso della “Vix pervenit”,
non esitava a rimandare i richiedenti al passo del De Synodo in cui papa Lambertini scriveva di aver
voluto condannare la tesi secondo cui l’usura moderata doveva considerarsi
illecita solo se esercitata nei confronti dei poveri. Altro esempio che ci viene
in mente è la nota lettera al vescovo di Gubbio, Decenzio, del papa Innocenzo I
del 416 d.C.: una lettera indiscutibilmente privata, ma che ha assunto il
carattere di magistero in ambito liturgico, tanto da essere stata ripresa più
volte e pubblicata nel Corpus
iuris canonici.
Dunque,
l’affermazione secondo cui la lettera del Vescovo di Roma rivestisse carattere
privato era un’indubbia forzatura ed una minimizzazione del suo significato.
Oggi, a
seguito della pubblicazione negli Acta e del rescritto del 5 giugno scorso,
che, allontanando ogni dubbio, eleva i due documenti al rango di “Magistero
autentico”, ogni questione sembra essere superata.
Così
come difficilmente sostenibile è la convinzione secondo la quale i due atti
costituirebbero nel loro insieme documenti aventi portata limitata,
geograficamente circoscritta e limitata alla regione ecclesiastica di Buenos
Aires. Pure tale opinione non ci sembra convincente. Invero, sebbene sia indiscusso
che negli Acta sovente siano state pubblicate missive dirette a singoli
vescovi o che interessassero i vescovi di una nazione o di una regione
ecclesiastica, nondimeno, nel presente caso, la qualificazione di “magistero
autentico” data dal rescritto, sembra escludere una portata limitata solo a
quella regione. In effetti, il magistero autentico, per sua natura, non può
certo essere circoscritto ad un ambito territoriale, ma riguarda
necessariamente l’intero Orbe cattolico, sebbene lo stesso sia stato
occasionato da vicende regionali. Un esempio ci è offerto dall’Epistola
apostolica di Leone XIII Testem benevolentiae nostrae al card. Gibbons
di Baltimora del 22.1.1899, con la quale quel pontefice condannava l’eresia –
antesignana del modernismo – nota come americanismo.
Nel
nostro caso, il Vescovo di Roma qualificava la lettura fornita dai vescovi
argentini nei loro Criterios básicos, prevedenti una gradualità di
passaggi per l’accesso dei c.d. divorziati risposati alla Comunione (ovvero
alla c.d. piena comunione, come si legge nel punto n. 6 dei Criterios),
come l’unica possibile della sua esortazione Amoris laetitia e segnatamente
del famigerato cap. VIII di questa su cui, come noto, i famosi quattro
porporati avevano avanzato i loro Dubia.
Per cui,
non vi sono ragioni ostative a considerare questo documento come magistero
autentico del Vescovo di Roma. Altro è dire se questo magistero sia davvero
autentico, e quindi conforme alla Tradizione ed al Magistero bimillenario della
Chiesa. Ma di questo, supponiamo, i fedeli e chi di dovere dovrà prendere atto,
traendone le debite conseguenze.
Nonostante
ciò, ci sono autori, pur molto illustri, che hanno cercato di minimizzare la
portata della pubblicazione sugli Acta dei due documenti e della loro
qualificazione di “magistero autentico”, forse ben consci delle conseguenze che
una siffatta denominazione – più della pubblicazione in se stessa – possa
rappresentare.
A parte
quanto riferito dall’ottimo Marco Tosatti su Stilum Curiae (ripreso da Chiesa e postconcilio) circa il rescritto – il
quale autorizzerebbe soltanto la pubblicazione, ma di cui si omette di
riferire la qualificazione data ai due documenti da quest’atto a firma del
card. Parolin – v’è da notare come un insigne canonista giunga a tal punto a
minimizzare la portata dei due documenti da renderli praticamente irrilevanti
sul piano teologico e canonico (cfr. E. Peters, On the appearance of the
pope’s letter to the Argentine bishops in the Acta Apostolicae Sedis, in in
In the Light of the Law – A Canon Lawyer’s Blog, Dec. 4, 2017).
Per l’Autore,
se bene abbiamo inteso il suo contributo:
1) il
can. 915 c.i.c. sarebbe tuttora vigente, in quanto il Vescovo di Roma, nella
sua lettera, così come i vescovi argentini nei loro Criterios básicos
non avrebbero in alcun modo messo in discussione né abrogato né emendato quel
canone, su cui continuerebbe a poggiarsi il divieto per i divorziati risposati
di potersi accostare all’Eucaristia. Su questo punto insiste
anche in altri contributi (cfr. Id., Three ways to not deal with Canon 915,
in The
Catholic World Report, Jan. 24, 2017);
2) il
legislatore canonico, allorché voglia introdurre una nuova legge, è solito
adoperare forme particolarmente solenni ed in special modo una lettera
apostolica in forma di motu proprio (cioè “di propria iniziativa” e non
in risposta ad altri); non si adopererebbero, quindi, semplici lettere
apostoliche – come nel presente caso – che, al contrario, «are written to
smaller groups within the Church and deal with more limited questions—not world-wide
questions such as admitting divorced-and-remarried Catholics to holy Communion»
(ivi). Per questo, si afferma: «
The pope’s letter to the Argentines appears simply as
an “apostolic letter”, not as an “apostolic letter motu proprio”, and it references
no canons» (ivi);
3)
questo punto prende di mira direttamente il rescritto, di talché i due
documenti non possano qualificarsi come “magistero autentico” della Chiesa. A
dire dell’Autore, «the content of any Church document, in order to bear most
properly the label “magisterial”, must deal with assertions about faith and
morals, not provisions for disciplinary issues related to faith and morals.
Church documents can have both “magisterial” and “disciplinary” passages, of
course, but generally only those teaching parts of such a document are
canonically considered “magisterial” while normative parts of such a document
are canonically considered “disciplinary”» (ivi). I due documenti, in
sostanza, non conterrebbero asserzioni circa la fede e la morale, ma solo
disposizioni di carattere disciplinare, comunque ambigue ed incapaci «of
leaving the door open to unacceptable practices, suffices to revoke, modify, or
otherwise obviate Canon 915 which, as noted above, prevents the administration
of holy Communion to divorced-and-remarried Catholics» (ivi).
A nostro
sommesso avviso le obiezioni, pur proposte da un insigne Autore, non ci
sembrano insuperabili.
1a) Sebbene la Santa Sede abbia
individuato il fondamento giuridico del divieto per i divorziati risposati di
accostarsi alla Comunione nel can. 915 c.i.c. (cfr. Pont. Cons. per i Testi
legislativi, Dichiarazione, 24.6.2000), nondimeno va notato che la
lettera di questa disposizione normativa risulta avere una portata più ampia e
generale. Ci spieghiamo: il canone, per come è costruito, concerne una pletora
di soggetti, che sarebbe riduttivo limitare e riferire solo ed esclusivamente
ai divorziati risposati l’inciso finale «coloro che ostinatamente perseverano
in peccato grave manifesto». Certo, questi vi rientrano. Ma non sono i soli. Lo
notava lo stesso futuro card. Burke, all’epoca arcivescovo di Saint Louis, in
un suo scritto pubblicato ad hoc e concernente giusto il canone in
questione (Canon 915: The Discipline Regarding the Denial of Holy Communion
to Those Obstinately Persevering in Manifest Grave Sin, in Periodica de re canonica, 2007, pp. 3-58). Ricorda il
futuro porporato, vi rientrerebbero, ad es., anche i politici che sostengono
pubblicamente una legislazione contraria alla legge naturale o sostengono
normative sull’aborto o l’eutanasia.
A voler
essere rigorosi, il rapporto tra il canone in oggetto ed il divieto di cui si
discute è di genus a species. Per cui, sarebbe stato eccessivo,
incongruo ed illogico immaginare che il legislatore canonico, per espungere una
categoria specifica di persone dal novero di coloro ai quali è fatto divieto
accostarsi alla Comunione in quanto ostinatamente perseveranti in peccato grave
manifesto, agisse sulla norma generale e non piuttosto, invece, come sarebbe
stato ragionevole, su quella specifica e singola. Ed è proprio quello che ci
sembra abbia fatto il legislatore canonico, il quale non ha voluto agire,
mediante abrogazione o emendamento, sulla disposizione generale, bensì sul
divieto particolare e specifico, lasciando intatta la disposizione generale,
che, abbiamo detto, non si riferiva solo e soltanto ai divorziati risposati, ma
ad una pletora di peccatori ostinati e manifesti. Pertanto, la mancata
abrogazione o modifica della norma generale non può dirsi di per sé indice che
la disciplina, per la categoria dei divorziati risposati e solo per questa, non
sia stata mutata dal legislatore.
A ciò si
aggiunga un’ulteriore considerazione. Pur volendosi aderire alla prospettazione
dell’Autore qui in discussione, di per sé il legislatore canonico – va
ricordato – non è tenuto ad abrogare una norma in maniera espressa. Il can. 20
c.i.c., in effetti, consente al legislatore canonico di abrogare una disciplina
previgente pure in maniera tacita o implicita, allorché la legge posteriore sia
incompatibile con la precedente (come parrebbe verosimile nel presente caso)
oppure quando sia riordinata ex novo la materia, oggetto della legge
precedente. Nel nostro caso, almeno per quanto concerne la vexata quaestio
dei divorziati risposati, sembra indubbio che il divieto ad hoc –
assoluto e senza deroghe – sancito nella Familiaris Consortio e dal
diritto divino sia stato fatto cadere già a seguito dell’esortazione Amoris
laetitia. Oggi, sicuramente lo è atteso che il Vescovo di Roma, facendo
propri i Criterios básicos ed elogiandoli come unica ermeneutica
possibile della sua esortazione, abbia inteso ammettere la categoria dei
divorziati risposati – o come si dice degli adulteri – alla Comunione,
prevedendo per essi una gradualità nell’ammissione al Sacramento. Pertanto il
divieto – un tempo assoluto – non sarebbe più da considerarsi così stringente.
Certo, come afferma il Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi nella Dichiarazione
del 2000, che abbiamo richiamato, si tratta di un divieto di diritto divino.
Non si discute. E tuttavia allora si pone un indubbio contrasto tra il diritto
umano e quello divino di cui deve prendersi atto, senza cercare di eluderlo
affermando l’irrilevanza dei due documenti e senza volerne trarre le logiche
conseguenze teologiche e canoniche. Per concludere, la mancata menzione del
can. 915 non è ex se dirimente ed un ostacolo a considerare come “magistero
autentico” del vescovo di Roma quegli atti. Con tutte le implicazioni,
teologiche e canoniche, che ciò comporta.
2a) Anche la seconda obiezione
sollevata dall’insigne autore non può essere da noi condivisa. Invero, nessuna
disposizione canonica prescrive che una legge ecclesiastica assuma la forma del
motu proprio ovvero debba contenere forme espressive sacramentali proprie e
solenni. L’unica prescrizione che è dato riscontrare nella codificazione
canonica concerne la promulgazione e pubblicazione negli Acta Apostolicae
Sedis. La circostanza che il legislatore canonico abbia voluto disattendere
la prassi – non codificata – sino ad oggi seguita, non implica che questa
vincoli in qualche maniera l’attuale legislatore a far assumere ad una legge
canonica una certa forma anziché un’altra. D’altronde, nella storia della
Chiesa abbiamo avuto indiscutibilmente forme assai diverse e variegate di
leggi: addirittura orali. Un esempio è dato dall’approvazione in forma orale, vivae
vocis oraculo, da parte di papa Innocenzo III, dell’Ordine e della Regola
di S. Francesco d’Assisi (il c.d. Propositum o Prima Regola). Nessuno
dubita che papa Lotario dei conti di Segni avesse approvato l’Ordine, sebbene
in forma orale. Secondo quanto riporta la Legenda Maior, «quando il Papa
approvò la Regola e diede mandato di predicare la penitenza, e ai frati, che
avevano accompagnato il Santo, fece fare corone, perché predicassero il verbo
di Dio. Analogamente vale per la Seconda Regola,
detta anche non bollata, anch’essa approvata oralmente dal papa Onorio
III nel 1221. L’approvazione per iscritto avvenne solo con la Terza Regola,
detta bollata, con la bolla del 29.11.1223, Solet annuere. In
essa indiscutibilmente si legge che la Regola fu approvata da Innocenzo III
(con una legge data … oralmente): «Eapropter, dilecti in Domino filii,
vestris piis precibus inclinati, ordinis vestri regulam, a bonae memoriae
Innocentio papa, praedecessore nostro, approbatam, annotatam praesentibus,
auctoritate vobis apostolica confirmamus et praesentis scripti patrocinio
communimus».
Dunque,
nessuno dubitava che la legge di approvazione dell’Ordine e della Regola fosse valida
sebbene data in una forma inusitata, cioè oralmente.
Un altro
esempio, vicino ai nostri giorni, è il discorso del Vescovo di Roma ai
Partecipanti al Corso promosso dal Tribunale della Rota lo scorso 25.11.2017. In esso il predetto Episcopo
dettava delle precise disposizioni canoniche – in forma orale – riguardo alla
legge matrimoniale concernenti il Processo breviore. Le espressioni
verbali adoperate erano inequivocabili: «… stabilisco di seguito
quanto ritengo determinante ed esclusivo nell’esercizio personale del Vescovo
diocesano giudice …». Dunque, il legislatore canonico, anche qui, ha
adoperato una forma inusuale: nessun atto scritto, nessun motu proprio,
nessuna costituzione apostolica, ecc., ma addirittura orale!
Un’ultima
puntualizzazione riguardo all’obiezione sollevata. In realtà, la missiva del
Vescovo di Roma ai vescovi della regione ecclesiastica di Buenos Aires è, a
rigore, motu proprio, in quanto nessuno (formalmente) gliel’aveva
richiesta né i vescovi argentini avevano preteso l’approvazione dei loro Criterios.
Anzi, erano in attesa – da quel che è dato sapere – che un gruppo di teologi
moralisti si esprimesse sugli stessi. Per cui, la lettera del Vescovo di Roma
era giunta a sorpresa, senza essere avanzata (formalmente) da alcuno. In questo
senso era indiscutibilmente motu proprio. I Criterios sono stati
solo l’occasio legis per l’emanazione dell’approvazione formale di
questi.
3a) Pure la terza obiezione dell’autore
non ci sembra consistente. Un atto normativo, avente carattere disciplinare, è
senz’altro un atto di magistero. Anche attraverso la legge canonica si esprime
il magistero. Ad es., i canoni contenenti una censura ecclesiastica, senza
dubbio, pur avendo carattere disciplinare, assumono valore magisteriale. Per
cui, non si ravvisa alcuno serio ostacolo, dal punto di vista formale, a che i
due documenti, aventi carattere applicativo dell’esortazione Amoris laetitia,
possano essere considerati magistero autentico del Vescovo di Roma Bergoglio,
non potendosi sostenere che siano suoi … pensieri in libertà o mere riflessioni
private … .
Un’ultima
obiezione, collegata a questa, è se i due documenti – perché la qualità di “magistero
autentico” è stata attribuita dal rescritto ai due documenti nel loro insieme e
non solo alla lettera di approvazione del Vescovo di Roma! - contengano un
insegnamento in materia di fede o di morale, dettando solo delle regole di
carattere disciplinare. Indubbiamente, a nostro avviso, contengono, nel loro
insieme, un insegnamento in materia di morale, poiché mirano a derogare ad un
precetto morale assoluto, di diritto divino, ammettendo – con gradualità – i
divorziati risposati alla Comunione. Sarebbe un’evidente forzatura negare tale
realtà, di cui va preso atto. Non si tratta di disposizioni … neutrali …, ma
che esprimono chiaramente un “magistero” del Vescovo di Roma, che, peraltro,
plaudendo ai Criteri elaborati dagli argentini, interpreta anche l’esortazione
Amoris laetitia, indicando quella come unica interpretazione possibile
del documento («No hay otras interpretaciones», scrive il Vescovo di
Roma), facendo scorgere, come afferma anche LNBQ, «una volontà chiara di far
evolvere la dottrina, più che sostenerne un suo sviluppo omogeneo». Automaticamente,
dunque, ciò esclude altre possibili ermeneutiche, pur proposte in varie sedi:
di ciò è consapevole il teologo John Joy, che, intervistato da One
Peter Five, afferma: «adding the letter to the AAS
could, in fact, damage the credibility of Amoris Laetitia by potentially
removing the possibility that it could be interpreted in an orthodox way
through establishing, via its publication in the official acts of the Apostolic
See, that the unorthodox interpretation is the official one».
Non è,
in verità, l’Amoris Laetitia ad uscire danneggiata – da tale
pubblicazione – nella sua credibilità, ma è, a rigore, l’ortodossia cattolica.
Di là di
tali obiezioni, in effetti, la questione non è formale, bensì sostanziale: se
cioè il Vescovo di Roma sia incorso in una violazione del diritto divino
positivo, consentendo – sia pur con una gradualità – ad una categoria di
persone ben determinata (i c.d. adulteri o divorziati risposati) la possibilità
di accostarsi alla Comunione, sebbene la Chiesa da tempo immemore ne avesse
vietato l’accesso (cfr. D. Hitchens, Analysis: The Pope’s dramatic – and
confusing – move on Communion, in Catholic Herald, Dec. 4, 2017, il quale ricorda «That brings us to the
third reason why the latest move will not simply make Catholics accept a new
doctrine. The Church down the ages has taught that the divorced
and remarried, if in a sexual relationship, cannot receive Communion. You’ll
find it in the Church
Fathers; in the teaching of Popes St Innocent I
(405) and St Zachary (747); in the recent documents of Popes St John Paul
II, Benedict XVI and the Congregation for the Doctrine of the Faith. All
the teaching of the Church about sin,
marriage and the Eucharist would have been understood by those promulgating it
to have excluded the sexually-active divorced and remarried from Communion.
This has also become part of the Catholic mind: the prohibition is casually
referred to by the likes of GK Chesterton and Ronald Knox as Catholic doctrine, and there can’t be much doubt
that if you picked a random saint from the history of the Church and asked them
what the Church taught, they would tell you the same thing»). Come
osserva Lifesitenews, «The problem with Amoris Laetitia, it is
clear, is not merely with “liberal bishops” who interpret it, but with the pope
whose manifest interpretation of his own document is impossible to square with
the perennial doctrine and discipline of the Catholic faith» (A. Guernsey, Pope
Francis Promulgates Buenos Aires Guidelines Allowing Communion for Some
Adulterers in AAS as his “Authentic Magisterium”, in Rorate
caeli, Dec. 2, 2017; Id., Here’s how
Pope Francis elevated communion for adulterers to ‘authentic magisterium’,
in Lifesitenews,
Dec. 4, 2017. Cfr. D. Cummings McLean, Confusion explodes
as Pope Francis throws magisterial weight behind communion for adulterers, ivi; C.
Wooden, Pope’s letter to Argentine bishops on ‘Amoris Laetitia’ part of
official record, in NCR,
Dec. 5, 2017; . Persino il solitamente prudente Andrea
Tornielli, si spinge a registrare apertis verbis il cambiamento
dottrinale (ammesso che sia possibile …, ovviamente): «Trentacinque anni dopo Familiaris
consortio la situazione è notevolmente cambiata. La secolarizzazione è
avanzata, i matrimoni sfasciati si sono moltiplicati, e si sono moltiplicati i
casi di persone sposate in chiesa senza aver fede e piena coscienza dell’atto
sacramentale. Amoris laetitia fa un passo ulteriore, chiedendo maggiore
accompagnamento per queste persone e spiegando che in alcuni casi, dopo un
percorso di discernimento, e dunque senza automatismi né regole prefissate nei
manuali, si può arrivare anche ad assolvere in confessionale e a permettere la
comunione eucaristica» (così A. Tornielli, Amoris laetitia, il Papa rende
ufficiale la lettera ai vescovi argentini, in Vatican Insider, 6.12.2017. Cfr. anche L. Moia, Il via libera del Papa. «Amoris laetitia» si applica così, in Avvenire, 10.12.2017).
Ma
questo è un altro e diverso discorso, che non potrà non avere delle conseguenze
sul piano teologico e su quello canonico. Sul piano teologico, in quanto tale
violazione ed antinomia nei confronti del diritto divino si tradurrebbe in una sorta
di ridefinizione del depositum fidei e, quindi, in una vera e propria
eresia, con la conseguenza che non può considerarsi, in alcun modo, magistero
della Chiesa, tantomeno autentico e, dunque, vincolante in coscienza, detto
insegnamento contrastante col diritto divino, neppure per ragioni pratiche di
approccio pastorale (cfr. Francis leverages AAS for heresy!, in AKA Catholic, Dec. 4, 2017; Pope Declares Troubling Interpretation of AL 'Authentic Magisterium', in Church Militant, Dec. 2, 2017).
Si osserva, in effetti,
che «Doctrinal development, to the extent that it is possible, cannot
coherently be understood to permit a pope to use his teaching authority to
contradict his predecessors, and impose that contradiction on Catholics as
something they are obliged to believe» e che l’autorità papale «“exists only to
preserve and safeguard” the revelation given to the Apostles», cosicché i due
documenti qualificati come “magistero autentico” «scarcely “oblige Catholics to
believe anything inconsistent with what the Church has so far taught and which
they were already under an obligation to believe”» (D. Hitchens, op.
ult. cit.).
Sul
piano canonico in quanto tale eresia si tradurrebbe nell’incapacità dell’attuale
Vescovo di Roma di (continuare a) rivestire tale sua carica. Non a
caso, quasi un anno fa, il card. Burke dichiarava, in un’intervista a Catholic
World Report (CWR), che se un papa dovesse «formally profess heresy he
would cease, by that act, to be the Pope» (cfr. D. Martin, Communion to
Adulterers Promulgated as “Authentic Magisterium”, in Canada
Free Press, Dec. 5, 2017).
Conseguenze
queste davvero inedite e dirompenti sul piano ecclesiale (cfr. Alcune
notazioni sulla pubblicazione negli AAS dei criteri interpretativi dell’AL dei
vescovi argentini e della lettera papale, in Chiesa
e postconcilio, 6.12.2017). Ed, in effetti, ci pare non senza ragione, il
blog Veri Catholici – famoso per aver lanciato una Lettera Aperta
su Il Giornale lo scorso 9 novembre (ne parlava
anche Marco Tosatti, qui) – affermava che, a seguito
di tale pubblicazione sugli Acta, sia giunto il tempo di convocare un
Sinodo imperfetto «to issue a formal canonical correction of the Pope» (The
Time has come to convene an “imperfect” Synod!, in Veri Catholici, Dec. 3, 2017). Si giungerà a ciò? Nessuno
può, al momento, dirlo né prevederlo. Quel che è certo è che, come afferma The Remnant, è che ci troviamo di fronte
ad un atto «counter-magisterial» e che l’interpretazione della famosa
nota 351 dell’Amoris laetitia è stata confermata come titola il sito Katholisch (Auslegung von Fußnote
351 lehramtlich bestätigt).
Due note
finali. La prima: non c’è dubbio che, come ricordato da alcuni, il Vescovo di
Roma, con tale suo atto, tutt’altro che privato, abbia de facto dato una
risposta chiara ed eloquente ai famosi Dubia dei Quattro (ora Due)
cardinali, indicando, senza giri di parole, come la sua esortazione debba
essere interpretata, rigettando altre chiavi di lettura e codificando l’errore
(cfr. L’interprétation ultra-libérale d’Amoris laetitia par les
évêques d’Argentine : magistère authentique selon le pape François, in Medias-Presse.info, 4 déc. 2017; J. Erbacher, Papst hat keine Dubia, in Papstgeflüster – Das Vatikan-Blog, 6. Dez. 2017; J. M. Vidal, Ésta es la respuesta del Papa a los cardenales de las 'dubia', in Periodista digital, 6 Dicie. 2017).
La
seconda è che per coloro che sostengono una lettura “nella continuità del
Magistero”, certamente ora diventa più arduo dare all’esortazione del Vescovo
di Roma (ed ai due documenti in questione) un’ermeneutica che non contravvenga
alla verità (cfr. C. Bunderson, Analysis: Argentine letter on Amoris
is in the Acta. Does that change things?, in CNA, Dec. 5, 2017); una lettura che – ad onor
del vero – ci pare poco onesta, fittizia e falsa, in quanto distorcente il
pensiero altrui – del Vescovo di Roma nella specie – e poco rispettoso nei
riguardi del ruolo e della dignità che, a parole, gli si riconosce.
La
verità non ha bisogno di voli pindarici, fingendo che il re non sia nudo!
Tanto
più che è proprio questa chiave di lettura, pur mossa da buone intenzioni, che
alimenta la confusione in atto nella Chiesa. Tale confusione e l’asserita
ambiguità derivano proprio dal fatto che si pretende di manipolare e distorcere
il pensiero altrui, cercando di attribuirgli un significato che esso non ha.
Per cui, come spesso capita in tali casi, la toppa non è adeguata, per eccesso
o per difetto, allo strappo che si è prodotto, con la conseguenza di far
apparire confuso ciò che sarebbe evidente.
Un
pregio i due documenti pubblicati sugli Acta l’avranno: almeno il merito
di chiarire definitivamente la mens del loro autore. Prendiamone atto.
Piaccia o no. La questione è ora sul tavolo e la mossa è passata al campo
cattolico.
Augustinus Hipponensis
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