Dopo il contributo di
Augustinus sul tema del “non indurci in tentazione” pubblicato nei giorni
scorsi su questo blog (v. qui),
ecco un godibile breve saggio, oggi, festa di S. Giovanni Bosco, del nostro
amico Franco Parresio.
«Non abbandonarci alla
tentazione»: indicazioni e controindicazioni, posologia e modalità d’uso della
nuova supposta
teologia liturgica
di Franco Parresio
È ormai ufficiale: a fine anno cambierà nelle chiese italiane la recita del Padre nostro: da dire «E non ci indurre in tentazione», si dovrà dire: «E non abbandonarci alla tentazione» (v. qui).
Si tratta di una
reinvenzione – frutto della traduzione pedestre approvata nel 2008 dalla CEI – del
tutto erronea e fuorviante, nonché blasfema della preghiera per antonomasia del
cristiano.
Se per Jean Carmignac (ormai
da tempo defunto) «“Non ci indurre in tentazione” è un’affermazione blasfema» (v.
qui),
ancor più blasfema suona l’affermazione «Non abbandonarci alla
tentazione»! Blasfema perché imputa a Dio la colpa dei nostri fallimenti.
Esattamente come Adamo, che si schernisce rinfacciando a Dio: «La donna che tu
mi hai posta accanto mi ha dato dell’albero e io ne ho mangiato» (Gn 3,12).
Se Gesù, nostro Signore
e Maestro, ci fa dire: «E non ci indurre in tentazione (et ne nos
inducas in tentationem)» (Mt 6,13) è perché sa benissimo – Egli che pure «fu
condotto dallo Spirito nel deserto per esser tentato dal diavolo (ductus est
in desertum a Spiritu, ut tentaretur a diabolo)» (Mt 4,1) – il peso
schiacciante della tentazione, onde, per non entrare in essa e cadervi,
raccomanda di vegliare e pregare (Cfr. Mt 26,41; Mc 14,38; Lc 22,40; Lc 22,46);
confortati dall’apostolo Paolo che rassicura: «Nessuna tentazione vi ha finora
sorpresi se non umana; infatti Dio è fedele e non permetterà che siate tentati
oltre le vostre forze, ma con la tentazione vi darà anche la via d’uscita e la
forza per sopportarla» (1Cor 10,13).
Si capisce, allora, bene
– e senza strumentalizzazioni semantiche di carattere biblico-teologico, che
farebbero rivoltare nella tomba lo stesso card. Martini – l’esortazione dall’apostolo
Giacomo quando scrive: «Beato l’uomo che sopporta la tentazione, perché una
volta superata la prova riceverà la corona della vita che il Signore ha
promesso a quelli che lo amano. Nessuno, quando è tentato, dica: “Sono tentato
da Dio”; perché Dio non può essere tentato dal male e non tenta nessuno al
male. Ciascuno piuttosto è tentato dalla propria concupiscenza che lo attrae e
lo seduce; poi la concupiscenza concepisce e genera il peccato, e il peccato,
quand’è consumato, produce la morte» (Gc 1,12-15).
Da notare, poi, che la
stessa Bibbia CEI 2008 si è guardata bene dal modificare il passo di Matteo
4,1 traducendo: «Allora Gesù fu abbandonato dallo Spirito nel deserto, per
essere tentato dal diavolo», giacché vi fu condotto, per essere «provato
in ogni cosa, a somiglianza di noi, escluso il peccato» (Eb 4,15). E questo in
linea col principio evangelico secondo il quale «il discepolo non è da più del
maestro; ma ognuno ben preparato sarà come il suo maestro» (Gv 6,40). E quale
preparazione meglio della tentazione? «Figlio, se ti presenti per servire il
Signore, prepàrati alla tentazione» (Sir 2,1).
Ma tutto questo
evidentemente non interessa ai lodatori della Chiesa in uscita, pronti a
somministrarci questa nuova supposta teologia liturgica postconciliare (supposta
in tutti i sensi), che finalmente può cantare vittoria facendo propria La
rivoluzione di Mogol (1967): «E son bastati pochi anni, soltanto poche ore
per fare un mondo migliore; un mondo dove tutti saranno perdonati; chi ha vinto
e chi ha perduto vedrai si abbraccerà» (ascolta qui).
Infatti, visto e
considerato «con sicurezza e con autorità magisteriale che la riforma liturgica
è irreversibile», secondo il diktat bergogliano (si noti che in latino
“irreversibile” si traduce “letalis”), si potranno ad arte eludere nelle
celebrazioni eucaristiche, e ove previsti, i riti penitenziali. Tanto a che
servono?! E così anche si potrà eludere il can. 989 che prescrive: «Ogni
fedele, raggiunta l’età della discrezione, è tenuto all’obbligo di confessare fedelmente
i propri peccati gravi, almeno una volta nell’anno». Che peccati gravi da
confessare se Dio abbandona alla tentazione?
Ma come difendersi da
questi inevitabili effetti collaterali e/o indesiderati della nuova supposta e
supponente teologia liturgica?
Qualcuno già pensa di
disertare la nuova Messa. Sbagliato! Basta leggere attentamente il foglietto
illustrativo, cioè i documenti magisteriali ad hoc, per agire di
conseguenza. Nella fattispecie consigliamo la Mediator Dei, l’Enciclica
di Pio XII sulla Sacra Liturgia, che da poco ha compiuto settant’anni (portati
benissimo), la quale, parlando della “partecipazione dei fedeli”, se da una
parte vuole «che tutti i fedeli considerino loro principale dovere e somma
dignità partecipare al Sacrificio Eucaristico non con un’assistenza passiva,
negligente e distratta, ma con tale impegno e fervore da porsi in intimo
contatto col Sommo Sacerdote […]: quando, cioè, tutto il popolo, secondo le
norme rituali, o risponde disciplinatamente alle parole del sacerdote, o esegue
canti corrispondenti alle varie parti del Sacrificio, o fa l’una e l’altra cosa»,
dall’altra riconosce che «l’ingegno, il carattere e
l’indole degli uomini sono così vari e dissimili che non tutti possono
ugualmente essere impressionati e guidati da preghiere, da canti o da azioni
sacre compiute in comune. I bisogni, inoltre, e le disposizioni delle anime non
sono uguali in tutti, né restano sempre gli stessi nei singoli. Chi, dunque,
potrà dire, spinto da un tale preconcetto, che tanti cristiani non possono
partecipare al Sacrificio Eucaristico e goderne i benefici? Questi possono
certamente farlo in altra maniera che ad alcuni riesce più facile; come, per
esempio, meditando piamente i misteri di Gesù Cristo, o compiendo esercizi di
pietà e facendo altre preghiere che, pur differenti nella forma dai sacri riti,
ad essi tuttavia corrispondono per la loro natura».
Faccio notare che per la Mediator
Dei questo principio vale non solo per il “Messale Romano” scritto in
lingua latina: vale per «il “Messale Romano” anche se è scritto in lingua
volgare»!
E questo dovendo
stringere gli occhi e bere aceto dinanzi alla distruzione di Messa in
forma ordinaria e… volgare, non potendo accedere alla boicottata Messa celebrata
in forma straordinaria e davvero “Santa”.
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