Sante Messe in rito antico in Puglia

sabato 24 febbraio 2018

Quando lo stesso Talmud conferma che solo con Cristo ed il suo Sacrificio venne la Redenzione … ovvero le prove talmudiche relative al Messia

Esistono prove extrabibliche ed irrefutabili circa il valore redentivo del sacrificio di Cristo?
O sono solo le fonti bibliche a riconoscere che Cristo ha espiato con la sua Passione e Morte in Croce i peccati degli uomini???
Sì esistono. E, paradossalmente, ci derivano proprio dal popolo che fu artefice di quel delitto, cioè dal popolo giudaico.
In effetti, il loro libro principale, che certamente non è la Torah, bensì il Talmud (nel trattatello Sopherim, XV, 7, fol. 13b si legge: «La Torah è come l’acqua, la Mischnah il vino, e la Gemarah vino aromatico». La seguente è un’opinione nota e se ne trovano alte lodi negli scritti dei rabbini: «Figlio mio, ascolta le parole degli scribi piuttosto che le parole della Legge». Il motivo di ciò si trova nel trattatello Sanhedrin, X, 3, fol. 88b: «Colui che trasgredisce le parole degli scribi pecca più gravemente che chi trasgredisce le parole della legge». Nel libro Mizbeach, cap. V, infine, troviamo la seguente opinione: «Non c’è niente che sia superiore al Santo Talmud»), contiene prove esplicite che rimandano inequivocabilmente al sacrificio di Cristo.
Con la sua Morte in Croce, il Divino Redentore ha pagato una volta per tutte per il debito di Adamo e per tutti i peccati: ragion per cui tutti i sacrifici compiuti presso l’Antico Israele non hanno più ragion d’essere.
Essi, infatti, trovavano la loro motivazione in vista di ciò che avrebbe compiuto il Redentore. Essi stessi erano prefigurazione, immagine profetica e tipo di quell’unico e definitivo Sacrificio d’espiazione per i peccati.
Per cui, una volta giunta quella realtà, tutte le prefigurazioni non avevano più ragion d’essere. Dovevano cessare.
Ed il Talmud, tanto quello nella sua versione babilonese quanto in quella gerosolomitana, hanno registrato puntualmente che quei riti e sacrifici, da quarant’anni prima della distruzione del Tempio di Gerusalemme, non si sono più realizzati. Cos’era successo quarant’anni prima?
Era il 30 d.C.: anno che gli studiosi accreditano come anno della Morte di Cristo.
Da queste testimonianze super partes si può desumere:
- sino al 30 d.C. la vera religione era quella giudaico-mosaica. Essa aveva i sacrifici e questi erano pienamente efficaci, conseguendo l’effetto (il perdono dei peccati e la giustificazione dinanzi a Dio);
- dalla morte di Gesù, essa non era più la vera religione;
- l’unico sacrificio attraverso cui essere giustificati era quello compiuto da Gesù sul Golgota;
- i sacrifici ed i riti dell’Antica Alleanza erano prefigurazione e tipo di quell’unico sacrificio ed ottenevano l’effetto (la giustificazione) non in quanto tali, ma, appunto, in vista e come immagine, prefigurazione di quell’unico e vero sacrificio;
- solo quel sacrificio ci rende graditi a Dio;
- dal 30 d.C. i giudei non sono stati più perdonati da Dio, cessando di essere suo popolo.
Queste sono le inevitabili conclusioni che possono trarsi dalle stesse testimonianze contenute nel Talmud.
Un altro dettaglio ci è fornito da Papa Ratzinger in un suo testo: «Vespasiano affidò l’incarico della conquista di Gerusalemme al figlio Tito. Questi, secondo Giuseppe Flavio, deve essere arrivato davanti alla città santa presumibilmente proprio nel periodo delle festività della Pasqua, il 14 del mese di Nisan, quindi nel 40° anniversario della crocifissione di Gesù» (JOSEPH RATZINGER – PAPA BENEDETTO XVI, Gesù di Nazareth, Seconda Parte: dall’ingresso in Gerusalemme fino alla resurrezione, Città del Vaticano, LEV, 2011, p. 39). 
Questa circostanza rilevata da Benedetto XVI, cioè che la distruzione di Gerusalemme ad opera dei romani ebbe probabilmente inizio in concomitanza con la Pasqua del 70 d.C. … ”nel 40° anniversario” della Pasqua del 30 d.C. in cui Gesù morì e risorse, suona come un'ulteriore conferma come quell'evento si ponga come discrimen nella storia, come sigillo di tutte le profezie dell'Antica Alleanza.
Ci sia permesso concludere richiamando un passo di S. Atanasio: «Segno e grande prova della venuta del Verbo è che Gerusalemme non esiste più, che non è più sorto un profeta e non si rivela più loro una visione. Ed è molto giusto che sia così. Infatti, quando venne colui che era stato annunciato, che bisogno c’era ancora di annunciatori? Essendo ormai presente la verità, che bisogno c’era ancora dell’ombra? Per questo profetarono finché giunse a Giustizia-in-sé e colui che riscattava i peccati di tutti. Per questo Gerusalemme esisteva così a lungo , affinché lì meditassero in anticipo le figure della verità. Quindi, una volta venuto il santo dei santi, giustamente fu messo il sigillo alla visione e alla profezia ed è cessato il regno di Gerusalemme. Presso di loro furono unti i re fino al momento in cui fu unto il Santo dei Santi. E Mosè profetizzava che il regno dei giudei esisterà fino a lui, dicendo: “Il capo non sarà allontanato da Giuda né il principe dai suoi lombi, finché giunga ciò che è riservato per lui; egli è l’attesa delle genti. Per questo il Salvatore stesso proclamava: “La legge e i profeti hanno profetato fino a Giovanni”. Dunque, se ora c’è tra i profeti un re o un profeta o una visione, essi hanno ragione a negare che Cristo è venuto; se invece non c’è più né re né visione, ma è stato messo il sigillo ad ogni profezia e la città e il tempio sono stati distrutti, perché sono così empi e trasgressori da non vedere ciò che è accaduto e negare che Cristo abbia fatto tutto questo?» (S. ATANASIO, L’Incarnazione del Verbo).

Prove talmudiche relative al Messia nel 30 d.C.

Il lettore che si firma “Viandante” - che ringrazio di cuore - mi ha inviato questo contributo, di notevole interesse in quanto non facilmente accessibile dalle comuni fonti cui attingiamo e, soprattutto, perché ci mostra che esistono nel Talmud e, conseguentemente, risultano esser stati fatti propri dalla comunità ebraica attuale, eventi che hanno connessioni evidenti col cristianesimo e direttamente con la Persona e l’Opera del Signore

Nei secoli successivi alla distruzione del Tempio di Gerusalemme (70 d.C.), il popolo ebraico ha iniziato a scrivere due versioni del suo pensiero, della sua storia religiosa e dei suoi commentari. Una versione è stata scritta in Palestina e divenne nota come il Talmud di Gerusalemme. L’altra è stato scritta a Babilonia ed era conosciuta come il Talmud babilonese.
Leggiamo nel Talmud di Gerusalemme:
“Quaranta anni prima della distruzione del Tempio, la luce occidentale si spense, il filo cremisi rimase cremisi, e il lotto per il Signore avvenne sempre con la mano sinistra. Avrebbero chiuso le porte del tempio di notte e si sarebbero alzati la mattina trovandole aperte” (Jacob Neusner, il Yerushalmi, p. 156-157). [la distruzione del Tempio nel 70 d.C.]
Un passaggio simile nel Talmud babilonese afferma:
“I nostri rabbini insegnarono: Nel corso degli ultimi quaranta anni prima della distruzione del Tempio il sorteggio (lotto) [‘per il Signore’] non venne su con la mano destra, né il cinturino color cremisi divenne bianco, e la lampada occidentale non ha più brillato di lucentezza, e le porte del Hekel [Tempio] si sarebbero aperte da sole” (Soncino versione, Yoma 39b).
Quali sono questi passi di cui si parla? Poiché entrambi i Talmud riportano le stesse informazioni, ciò indica che la conoscenza di questi eventi era stata accettata dalla diffusa comunità ebraica.

Il miracolo del “Lotto”

Il primo di questi miracoli riguarda la scelta casuale del “lotto” (sorteggio), che veniva effettuato nel Giorno dell’Espiazione (Yom Kippur). Il sorteggio determinava quale di due caproni sarebbe stato “per il Signore”, e quello che sarebbe stato il capro “Azazel” o “capro espiatorio”. Durante i due secoli prima del 30 d.C., quando il Sommo Sacerdote sorteggiava una pietra fra due, anche questa selezione era governata dal caso, e ogni anno il sacerdote avrebbe sorteggiato una pietra nera o una pietra bianca, indistintamente e con la stessa frequenza. Ma per 40 anni di fila, a partire dal 30 d.C., il Sommo Sacerdote sortì sempre la pietra nera! Le probabilità di un simile evento sono astronomiche (2 alla potenza di 40). In altre parole, le probabilità che questo si verifichi sono 1 su circa 5.479.548.800 o circa 5,5 miliardi a uno! In confronto, le vostre probabilità di vincita ad una lotteria di Stato o regionale sarebbero molto maggiori!
Il sorteggio di Azazel, la pietra nera, contrariamente a tutte le leggi del caso, è avvenuta per 40 volte di fila dal 30 d.C. al 70 d.C.! Questo fatto è stato considerato un evento terribile e significava che qualcosa era cambiato radicalmente in questo rituale dello Yom Kippur. Questa assegnazione per sorte è accompagnata anche da un altro miracolo che viene descritto di seguito.

Il miracolo della Striscia Rossa

Il secondo miracolo riguarda la striscia cremisi (rosso) o un panno legato al capro Azazel (il capro espiatorio). Una porzione di questo panno rosso veniva rimosso dal capro e legato alla porta del Tempio. E ogni anno il panno rosso sulla porta del Tempio diventava bianco come a significare che l’espiazione del Yom Kippur era accettabile al Signore. Questo evento annuale accadde fino al 30 d.C. A partire da quella data ogni anno e fino al tempo della distruzione del Tempio, il panno rimase color cremisi. Questo senza dubbio causò molta agitazione e costernazione tra gli ebrei. Questa pratica tradizionale è legata alla confessione, da parte di Israele, dei suoi peccati e al trasferimento cerimoniale dei peccati di questa nazione sul capro Azazel. Il peccato veniva poi rimosso dalla morte di questo capro. Il peccato era rappresentato dal colore rosso del panno (il colore del sangue). Ma il panno rimasto cremisi significava che i peccati d’Israele non erano stati perdonati e che non erano stati resi “bianchi”.
Come Dio disse a Israele per mezzo del profeta Isaia:
“Venite, discutiamo, dice il Signore: se i vostri peccati fossero come lo scarlatto [cremisi], diventeranno bianchi come la neve, anche se fossero rossi come porpora, diventeranno [bianco] come lana” (Isaia 1:18).
L’indicazione chiara è che tutta la comunità aveva perso l’attenzione del Signore in relazione a qualcosa che si era verificato nel 30 d.C. L’espiazione annuale, raggiunta attraverso la tipica osservanza dello Yom Kippur, non era si realizzava più come previsto. Apparentemente l’espiazione era da ottenere in qualche altro modo. Chi o che cosa avrebbe fornito l’espiazione per un altro anno?
Per quanto riguarda la striscia cremisi, anche se non menzionato nelle Scritture e molto prima del 30 d.C., durante i 40 anni in cui Simone il Giusto era sommo sacerdote, un filo cremisi che era stato associato con la sua persona diventava sempre bianco quando lui entrava nella parte più interna del Tempio, il Santo dei Santi. Le persone notarono questo. Inoltre osservarono che “la sorte del Signore” (il lotto bianco) si produsse per 40 anni consecutivi nel corso del sacerdozio di Simone. Notarono pure che il “lotto” scelto dai sacerdoti dopo Simone a volte era nero, a volte bianco, e che il filo cremisi a volte diventava bianco, altre volte no. Gli ebrei giunsero a credere che se il filo cremisi diventava bianco, Dio aveva approvato i rituali della Giornata di Espiazione e che Israele poteva essere certo che Dio avesse perdonato i loro peccati. Ma dopo il 30 d.C., il filo cremisi non è più diventato bianco per 40 anni, fino alla distruzione del Tempio e la cessazione di tutti i rituali del Tempio!
Che cosa ha fatto la nazione ebraica nel 30 d.C. per meritare un tale cambiamento al Yom Kippur? Secondo alcuni, il 5 aprile del 30 d.C. (vale a dire, il 14 di Nisan, il giorno del sacrificio pasquale) il Messia, Gesù, è stato tagliato fuori da Israele, lui stesso messo a morte come un sacrificio per il peccato. A causa di questo evento vi è un trasferimento dell’espiazione ora non più ottenuta attraverso i due capri come offerti a Yom Kippur. Come un innocente agnello pasquale, il Messia è stato messo a morte senza che fosse trovata colpa in Lui! Ma a differenza dei sacrifici del Tempio o gli eventi dello Yom Kippur (come spiegati sopra) dove il peccato è espiato solo per un dato lasso di tempo, il sacrificio messianico è dato con la promessa del perdono dei peccati attraverso la grazia data da Dio a coloro che accettano un rapporto personale con il Messia. Si tratta essenzialmente di un evento irripetibile per tutta la vita di ogni persona e non di una serie continua di osservanze annuali e di sacrifici animali. Il meccanismo che procura il perdono dei peccati cambiò nel 30 d.C.

Il miracolo delle porte del tempio

Il miracolo successivo, che le autorità ebraiche riconobbero, è quello delle porte del Tempio, che tutte le sere si spalancavano spontaneamente. Anche questo si verificò per quarant’anni, a partire dal 30 d.C. La principale autorità ebraica di quel tempo, Yohanan ben Zakkai, dichiarò che questo era un segno di morte imminente, che lo stesso tempio sarebbe stato distrutto.
Il Talmud di Gerusalemme afferma:
“Disse Rabban Yohanan Ben Zakkai al Tempio, ‘O Tempio, perché ci spaventi? Sappiamo che tu finirai distrutto. Per questo è stato detto, ‘Apri le tue porte, o Libano, che l’incendio possa divorare i tuoi cedri’ (Zaccaria 11:1)” (Sota 6:3).
Yohanan Ben Zakkai era il capo della comunità ebraica durante il periodo successivo alla distruzione del Tempio nel 70 d.C., quando il governo ebraico venne trasferito a Jamnia, una trentina di km a ovest di Gerusalemme.
Forse le porte si aprirono anche a significare che ora tutti possono entrare nel Tempio, anche nelle sue parti sante più interne. Le evidenze sostenute dai miracoli di cui sopra suggeriscono che la presenza del Signore si era allontanata dal Tempio. Questo non era più un luogo solo per sommi sacerdoti, ma le porte si erano aperte a tutti per entrare nella casa di culto del Signore.

Il miracolo della Menorah del Tempio

Il quarto miracolo era che la lampada più importante delle sette candele della Menorah nel Tempio si spense, e non brillò più. Ogni notte per 40 anni (oltre 12.500 notti di fila), la lampada principale del candelabro del Tempio (menorah) si spegneva spontaneamente nonostante i tentativi e le precauzioni prese dai sacerdoti per tutelarsi contro questo evento!
Ernest Martin afferma:
“In effetti, ci viene detto nel Talmud che al tramonto le lampade, che erano spente di giorno (le quattro lampade centrali rimanevano spente, mentre le due lampade orientali in genere rimanevano accese per tutto il giorno), dovevano essere reilluminate dalle fiamme della lampada occidentale (che era una lampada che si supponeva dovesse restare accesa per tutto il tempo, era come la fiamma ‘eterna’ che vediamo oggi in alcuni monumenti nazionali) ... Questa ‘lampada occidentale’ doveva essere tenuta accesa per tutto il tempo. Per questo motivo, i sacerdoti tenevano apposta dei serbatoi di olio d’oliva e altri strumenti pronti per fare in modo che la ‘lampada occidentale’ (in qualsiasi circostanza) fosse lasciata accesa. Ma cosa successe nei quaranta anni e l’anno stesso che il Messia disse che il Tempio fisico sarebbe stato distrutto? Ogni notte per quarant’anni la lampada occidentale si spegneva e questo nonostante i sacerdoti ogni sera la preparassero in modo speciale affinché rimanesse costantemente accesa per tutta la notte!” (Il significato dell’anno 30 d.C., Ernest Martin, Ricerca Aggiornamento, aprile 1994, p. 4).
Anche in questo caso, le probabilità che la lampada si spegnesse continuamente sono astronomiche.
Qualcosa di straordinario stava succedendo. La “luce” della Menorah rappresenta il contatto con Dio. Il suo Spirito e la sua presenza erano ora rimosse. Questa speciale dimostrazione si verificò a partire dalla crocifissione del Messia!
Dovrebbe essere chiaro a qualsiasi mente ragionevole che non esiste un modo naturale per spiegare tutti questi quattro segni connessi con l’anno 30 d.C. L’unica spiegazione possibile, deve essere soprannaturale.
Dopo il 30 d.C., e la morte del Messia, cominciarono a intervenire grandi difficoltà e prove impressionanti sulla nazione ebraica. Gesù stesso predisse ciò. Come Egli fu condotto via per essere crocifisso, Gesù mise in guardia le donne di Gerusalemme:
“Ma Gesù, voltandosi verso le donne, disse: 'Figlie di Gerusalemme, non piangete su di Me, ma piangete su voi stesse e sui vostri figli. Già, perché verranno giorni nei quali si dirà, ‘Beate le sterili, i grembi che non hanno portato e i seni che non hanno allattato!’. Allora cominceranno a dire ai monti: ‘Cadete su di noi!’. E ai colli: ‘Copriteci!’. Perché se fanno queste cose al legno verde, che cosa sarà fatto a quello secco?'.” (Luca 23:28-31).
Quando diamo uno sguardo obiettivo agli eventi del 30 d.C., chi può mettere in dubbio che quello fosse davvero l’anno della crocifissione e della risurrezione del vero Messia, mandato da Dio a Israele? Chi può negare che Egli è l’unico e solo vero Messia? Chi altro ha adempiuto a tutte le profezie del Vecchio Testamento - tra cui la straordinaria profezia di Daniele al capitolo 9 e le ‘‘70 settimane’’- giungendo nello stesso anno previsto per la venuta del Messia?
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by Nicholas Federoff (Dr. T. Peterson, Editor) - Traduzione a cura di Viandante

Fonte: Chiesa e postconcilio, 15.5.2013. Il testo è anche ripreso da Maurizio Blondet qui. Quello originale in inglese è qui.
Il testo originale aggiunge una postilla, della quale riportiamo una nostra traduzione:

Commento aggiuntivo dei visitatori
di T. Peterson, Ph.D.
Direttore, WindowView.org

Abbiamo ricevuto risposte a questo articolo da tutto il mondo. Un commento in particolare aggiunge al contenuto sopra in modo significativo. Mentre presentiamo questo senza ulteriori conferme, riteniamo che la fonte sia credibile e l’informazione semplicemente aumenti le prove. Quanto segue viene dai Paesi Bassi:

È bello fare commenti dal Talmud e dal Midrash ed uscire per vedere fatti storici interessanti, in questo caso con il filo cremisi di Yom HaKipurim.
Un testo potrebbe essere aggiunto:
«ed è stato inoltre insegnato: ‘Per quaranta anni prima della distruzione del Tempio, il filo scarlatto non divenne mai bianco, ma rimase rosso’» (Bavli Rosh Hashanah 31b).
E secondo la mia ricerca del testo: “Ha detto Rabban Yohanan Ben Zakkai al Tempio, ‘O Tempio, perché ci spaventi? Sappiamo che finirai per essere distrutto, perché è stato detto: Apri le tue porte, o Libano, che il fuoco possa divorare i tuoi cedri’ (Zaccaria 11:1)” non proviene dal trattato del Talmud Yerushalmi Sota, ma da Yoma 6:3 [33b], direttamente dopo
“Quarant’anni prima della distruzione del Tempio, la luce occidentale uscì, il filo cremisi rimase rosso, e la sorte per il Signore venne sempre nella mano sinistra. Chiudevano le porte del Tempio di notte e si svegliavano al mattino e le trovavano spalancate” (anche da Yoma 6: 3 [33b]).
Calorosi saluti,
Sam

venerdì 23 febbraio 2018

I venerdì di Quaresima ....... Immagine per meditare


Pier Damiani aveva ragione sull'omosessualità

Nell’odierna festa di S. Pier Damiani e vigilia di quella di S. Mattia apostolo, rilanciamo quest’editoriale di Riccardo Cascioli.

Francesco Allegrini, S. Pier Damiani, 1652-54, Gubbio

Ambito veneto, S. Pier Damiani, XVIII sec., Verona

Benedetto Gennari il Giovane, La Vergine col bambino appare a S. Pier Damiani, 1704, Faenza

Giuseppe Milani, SS. Romualdo, Pietro Crisologo e Pier Damiani, 1767, Ravenna




Alfonso Ambrosi, Maschera funebre e mano destra di S. Pier Damiani, 1958, Cattedrale, Faenza.
L'altare è progettato dall'architetto Vincenzo Pritelli nel 1898; l'urna è dei Fratelli Cotradini e Luigi Maioli.

Pier Damiani aveva ragione sull'omosessualità

«La sozzura sodomitica si insinua come un cancro nell’ordine ecclesiastico, anzi, come una bestia assetata di sangue infuria nell’ovile di Cristo con libera audacia». Così mille anni fa scriveva san Pier Damiani in un testo che è di straordinaria attualità. 

di Riccardo Cascioli

«Nelle nostre regioni, cresce un vizio assai scellerato e obbrobrioso. Se la mano della severa punizione non lo affronterà al più presto, certamente la spada del furore divino infierirà terribilmente, minacciando la sventura di molti. Ah, mi vergogno a dirlo! (…) La sozzura sodomitica si insinua come un cancro nell’ordine ecclesiastico, anzi, come una bestia assetata di sangue infuria nell’ovile di Cristo con libera audacia». Così san Pier Damiani, di cui oggi la Chiesa celebra la memoria, a metà dell’XI secolo scriveva il Liber Gomorrhianus (Libro di Gomorra). Il libro, sottotitolato “Omosessualità ecclesiastica e riforma della Chiesa”, era indirizzato al papa Leone IX, in cui il monaco Pier Damiani riponeva molta fiducia per un intervento drastico al fine di stroncare l’omosessualità praticata da sacerdoti e prelati.

Come si capisce già da questi brevi accenni, le parole di Pier Damiani, che è anche dottore della Chiesa, sono di estrema attualità. Evidentemente anche intorno all’anno Mille la corruzione morale oltre che diffusa nel clero era arrivata molto in alto nella gerarchia ecclesiastica («O riprovevoli sodomiti, perché desiderate, vi chiedo, con tanto ambizioso ardore, l’alta carica ecclesiastica?»). Anche se allora non si era arrivati – come invece vediamo accadere oggi – a vescovi e cardinali che benedicono le coppie dello stesso sesso e pretendono di cambiare la dottrina in materia. Pier Damiani lega anche – altro esempio di estrema attualità – l’omosessualità agli abusi sui minori e senza neanche bisogno di indagini sociologiche.

Pier Damiani si richiama giustamente alle Scritture per giustificare le sue parole di fuoco sull’omosessualità: «Questa turpitudine viene giustamente considerata il peggiore fra i crimini – dice -, poiché sta scritto che l’onnipotente Iddio l’ebbe in odio sempre ed allo stesso modo, tanto che mentre per gli altri vizi stabilì dei freni mediante il precetto legale, questo vizio volle condannarlo, con la punizione della più rigorosa vendetta. Non si può nascondere infatti che Egli distrusse le due famigerate città di Sodoma e Gomorra, e tutte le zone confinanti, inviando dal cielo la pioggia di fuoco e zolfo».

Pier Damiani ci vede un grande pericolo soprattutto per il clero, e il perché è facilmente spiegato: «Questo vizio non va affatto considerato come un vizio ordinario, perché supera per gravità tutti gli altri vizi. Esso infatti uccide il corpo, rovina l’anima, contamina la carne, estingue la luce dell’intelletto, scaccia lo Spirito Santo dal tempio dell’anima, vi introduce il demonio istigatore della lussuria, induce nell’errore, svelle in radice la verità dalla mente ingannata, prepara insidie al viatore, lo getta in un abisso, ve lo chiude per non farlo più uscire, gli apre l’Inferno, gli serra la porta del Paradiso, lo trasforma da cittadino della celeste Gerusalemme in erede dell’infernale Babilonia, da stella del cielo in paglia destinata al fuoco eterno, lo separa dalla comunione della Chiesa e lo getta nel vorace e ribollente fuoco infernale».

Sull’omosessualità peccato contro natura, ha le idee molto chiare e le sue parole non lasciano certo spazio a interpretazioni ambigue: «Questa pestilenziale tirannia di Sodoma rende gli uomini turpi e spinge all’odio verso Dio; trama turpi guerre contro Dio; schiaccia i suoi schiavi sotto il peso dello spirito d’iniquità, recide il loro legame con gli angeli, sottrae l’infelice anima alla sua nobiltà sottomettendola al giogo del proprio dominio. Essa priva i suoi schiavi delle armi della virtù e li espone ad essere trapassati dalle saette di tutti i vizi». E ancora: «Questa peste scuote il fondamento della fede, snerva la forza della speranza, dissipa il vincolo della carità, elimina la giustizia, scalza la fortezza, sottrae la temperanza, smorza l’acume della prudenza; e una volta che ha espulso ogni cuneo delle virtù dalla curia del cuore umano, vi intromette ogni barbarie di vizi».

Seppure san Pier Damiani chieda sanzioni molto severe nei confronti degli ecclesiastici che si macchiano di tale peccato, egli è mosso dal desiderio di riportare le anime a Dio, desidera il pentimento e la conversione: «Se infatti il diavolo è tanto potente da farti sprofondare in questo vizio, Cristo è molto più potente e ti può riportare alla cima da cui sei caduto».

Qualcuno sicuramente si scandalizzerà per queste parole durissime di san Pier Damiani, altri sicuramente sorrideranno sentendosi moderni e superiori a queste cose da Medioevo; ma seppure il linguaggio del nostro dottore della Chiesa oggi garantirebbe la galera immediata, la sua nettezza di giudizio non può non interrogarci: affonda le radici nella Scrittura e proclama una verità immutabile. In fondo, con altre parole più adatte ai tempi moderni, anche Benedetto XVI ha espresso analoghi concetti nell’ultimo discorso alla Curia Romana (21 dicembre 2012) quando ha parlato della sfida costituita dall’ideologia gender, che viene presentata come nuova filosofia della sessualità.  «Il sesso, secondo tale filosofia – diceva Benedetto XVI - non è più un dato originario della natura che l’uomo deve accettare e riempire personalmente di senso, bensì un ruolo sociale del quale si decide autonomamente, mentre finora era la società a decidervi. La profonda erroneità di questa teoria e della rivoluzione antropologica in essa soggiacente è evidente. L’uomo contesta di avere una natura precostituita dalla sua corporeità, che caratterizza l’essere umano. Nega la propria natura e decide che essa non gli è data come fatto precostituito, ma che è lui stesso a crearsela. Secondo il racconto biblico della creazione, appartiene all’essenza della creatura umana di essere stata creata da Dio come maschio e come femmina. Questa dualità è essenziale per l’essere umano, così come Dio l’ha dato. Proprio questa dualità come dato di partenza viene contestata.  Non è più valido ciò che si legge nel racconto della creazione: “Maschio e femmina Egli li creò” (Gen 1,27) (…)  Maschio e femmina come realtà della creazione, come natura della persona umana non esistono più. L’uomo contesta la propria natura. (…) Maschio e femmina vengono contestati nella loro esigenza creazionale di forme della persona umana che si integrano a vicenda. (…)  Dove la libertà del fare diventa libertà di farsi da sé, si giunge necessariamente a negare il Creatore stesso e con ciò, infine, anche l’uomo quale creatura di Dio, quale immagine di Dio viene avvilito nell’essenza del suo essere».

Quello che mille anni fa era solo un vizio, per quanto diffuso nel clero, oggi appare come un attacco sistematico e consapevole contro il progetto creatore di Dio, di fronte al quale ci sono troppi silenzi complici nella gerarchia ecclesiastica. Anche di questi silenzi parla il Liber Gomorrhianus attaccando duramente quanti tacciono per evitare scandali o per quieto vivere. Bisogna svegliarsi, ci dice oggi più che mai san Pier Damiani, acquistare consapevolezza della posta in gioco (niente meno che la vita eterna, per noi e per quanti incontriamo) e liberare di conseguenza la Chiesa da quella lobby gay che la sta soffocando.

domenica 18 febbraio 2018

In morte (eterna) dell'eresiarca Martin Lutero

Il 18 febbraio 1546 moriva a Eisleben, sua città natale, l'eresiarca Martin Lutero. Ricordiamo questo nemico di Dio con un divertente aneddoto riportato dal Bellarmino (anche Dio ed i Santi hanno il senso dell'humor!):

"Super áspidem et basilíscum ambulábis, et conculcábis leónem et dracónem" (Tract., Ps. 90)

Su indicazione di un nostro amico sul Tratto di questa domenica:




Basamento della Cattedra Romana, Basilica di S. Giovanni in Laterano, Roma: il Papa, nella sua funzione catecontica, siede trionfatore sull'aspide, sul leone, sul dragone e sul basilisco del salmo 90 (91), 13

Giuliano Zoroddu, Enigma Katèchon: l’Anticristo, l’Impero Romano, il Papato, in Radiospada, 12.1.2018. Cfr. Il salmo XC nella liturgia della I domenica di Quaresima, in Traditio Marciana, 17.2.2018.

venerdì 16 febbraio 2018

Un antico strumento penitenziale: la "virgula poenitentiaria"

Uno strumento penitenziale molto in auge in passato, specie durante la Quaresima, è la c.d. virgula pœnitentiaria. Con essa il penitenziere (nella Basilica di S. Pietro il Cardinale Penitenziere Maggiore) o i confessori toccavano il capo dei fedeli penitenti, cui conseguiva la concessione di particolari indulgenze. Le sue origini, verosimilmente, sono da ricercarsi nell’antica pratica romana di affrancazione dello schiavo nota come manumissio vindicta, mediante la quale il magistrato, dinanzi alla volontà del padrone di liberare lo schiavo, toccava il capo di quest’ultimo con una verga, rendendolo libero. In seguito, la verga, nell’ambito ecclesiastico, era adoperata, oltre come strumento penitenziale come detto innanzi, anche per tenere ordine e mantenere l’attenzione durante le prediche. Tale mezzo, nell’uno e nell’altro uso, era specialmente in auge nel Meridione e nelle Spagne. L’uso di questa verga durante le prediche è ancora oggi ricordato in Sardegna.
Per ogni colpo di questa canna sul capo dei penitenti, i papi Benedetto XIV (bolla Pastor bonus, 13.4.1744, § 50) e Clemente XIV concessero cento giorni di indulgenze, tanto per il penitenziere quanto per il penitente. Fu abolita il 29 aprile 1967.


Virgula pœnitentiaria della Basilica di S. Maria Maggiore, Roma

Il Cardinale Nicola Canali, Penitenziere Maggiore, adopera la virgula pœnitentiaria durante una cerimonia penitenziale della Quaresima dell'Anno Santo 1950




Sede del Cardinale Penitenziere Maggiore nella Basilica di S. Pietro in Vaticano, Roma. Su questo tronetto sedeva il Cardinale Penitenziere Maggiore e da esso adoperava la virgula.

giovedì 15 febbraio 2018

Il Grande Canone di S. Andrea di Creta

Tradizionalmente, durante la Grande Quaresima, i cristiani dell’Oriente cristiano viene cantato il Grande Canone di S. Andrea di Creta, all’inizio ed alla fine del periodo quaresimale.

Rilanciamo anche noi questo contributo al riguardo.


Il Grande Canone di S. Andrea di Creta


Il Grande Canone di S. Andrea di Creta (in greco μγας Κνων γου Ανδρου Κρτης; in slavo Великий Канон святого Aндрея Критского) è un lungo poema quaresimale (250 tropari contro i 30 di un canone normale), un inno al pentimento e alla contrizione di cuore, composto tra VII e VIII secolo dal santo vescovo cretese, un insieme di riflessioni, ricordi, citazioni di tutto l’Antico Testamento, mozioni di cuore, suppliche a Dio affinché abbia misericordia di noi peccatori, come ben s’intuisce dallo stico con cui il coro intercala ogni tropario: λησν με Θες, λησν με! (slavo: Помилуй мя Боже, помилуй мя), ossia “Abbiate misericordia di me, o Dio, abbiate misericordia di Dio”.
Questo canone, entrato nel cuore di tutti i cristiani bizantini, si canta durante la Grande Quaresima in due momenti: all’inizio, dal lunedì al giovedì della ‘settimana pura’ (ossia, guardando alle rispettive date del rito romano, dal lunedì di Quinquagesima al giovedì dopo le Ceneri), diviso in quattro parti, durante il lungo e suggestivo officio della Grande Compieta (Μέγα πόδειπνο); alla fine, il giovedì della quinta settimana, durante la veglia notturna (nelle parrocchie si anticipa al mercoledì sera), quando lo si canta integralmente, le cui odi sono intercalate per altro da altri tropari di composizione ecclesiastica successiva, e arricchite da tropari in memoria di S. Andrea di Creta e di S. Maria Egiziaca, santa asceta egiziana del IV-V secolo, esempio fulgido di pentimento e conversione, cui è dedicata la quinta settimana di Quaresima nella tradizione orientale. In questo modo, dunque, questo lungo e probante ufficio segna l’inizio e il termine della Quaresima per un cristiano bizantino. Un vescovo di Smirne lo definì come “uno squillo di tromba che cerca di portare l’uomo alla consapevolezza del suo peccato e condurlo al pentimento e alla conversione a Dio”. Prosegue poi: “Il Grande Canone è un inno di profondo scontro e di scioccante pentimento. L’uomo sente il peso del peccato, comprende che la sua amara vita è lontana dal Dio vivente; si comprende la dimensione tragica di alienazione della natura umana nella caduta e la distanza da Dio. Cade a pezzi. Sprofonda, si riduce in cenere. Ma si sta preparando la salvezza, perché apre a sé la via del pentimento. La via che porta all’esistenza umana di Dio, la fonte della vita vera e la pienezza dell’ineffabile carità e della gioia indicibile”.
L’intensità drammatica del poeta è veramente notevole: vengono presentate decine di esempi dalla Scrittura, alcuni dei quali magari citati in un solo versetto del Pentateuco, per cui a noi moderni potrebbero ad un primo sguardo risultare ignoti, esempi positivi e negativi, di virtù e di peccato, nell’arcaica storia della Salvezza. Il Canone presenta le classiche caratteristiche, dunque, della liturgia quaresimale e orientale e occidentale, ossia un continuo riferimento alle vicende d’Israele, alle quali dobbiamo guardare come un antico modello del popolo eletto, il quale ora non sono più i Giudei, ma siamo noi battezzati in Cristo, i quali, nondimeno, come il ‘popolo di dura cervice’, non manchiamo di offendere e allontanarci dal nostro Creatore, al quale dobbiamo ritornare con cuore umiliato e pentito, se vorremo salvarci. Il poema, nel complesso, è caratterizzato da un ricco lirismo e da elementi poetici notevoli: le descrizioni scattanti, con immagini che colpiscono, gli esempi, il simbolismo efficace e vivo, la lingua combinata con il canto triste e solenne, conferisce un fascino unico a questo componimento, veramente una fonte di grazia che colpisce nel cuore chi lo legge o lo ascolta. L’uso di domande retoriche e l’introduzione di dialoghi, spesso usati dal poeta, conferiscono al Canone un grande dramma. I ritratti biblici sono abbozzati con grazia, presentando al contempo la vicenda e le considerazioni morali, in una sintesi chiara ed immediata. Ma dobbiamo ricordarci che l’autore parla anzitutto a se stesso, descrivendo con tinte fosche il suo pensiero, ammettendo i suoi gravi peccati e mancanze, presentando la sua situazione personale come la condizione generale dell’essere umano. Ed effettivamente, il Canone calza all’anima di chiunque, essendo impossibile all’uomo non peccare, dopo la macchia originale. S. Andrea fu in vita sua un eretico: egli cionondimeno si pentì, e dedicò la sua vita al ministero ecclesiastico. Egli sa dunque quale fosse il suo sentimento Ma qualunque uomo ha le sue mancanze, le sue colpe davanti all’Altissimo, e qualunque uomo non può fare a meno che riconoscersi nelle scure parole di questo Canone.
Di seguito riporto una sintesi commentata del contenuto delle singole odi del Canone, scritta da Sua Beatitudine Manuel Nin, attuale Eparca della Chiesa Greco-Cattolica Bizantina, quando ancora era assistente spirituale dei greci cattolici a Roma:
Nella prima ode la vicenda di Adamo ed Eva e di Caino e Abele è intrecciata alle parabole del Figliol prodigo e del Buon Samaritano: “Avendo emulato nella trasgressione Adamo, il primo uomo creato, mi sono riconosciuto spogliato di Dio, del regno e del gaudio eterno, a causa del mio peccato. Ahimé, anima infelice! Perché ti sei fatta simile alla prima Eva? Hai toccato l’albero e hai gustato sconsideratamente il cibo dell’inganno. Cadendo con l’intenzione nella stessa sete di sangue di Caino, sono divenuto l’assassino della mia povera anima. Consumata la ricchezza dell’anima con le dissolutezze, sono privo di pie virtù, e affamato grido: O padre di pietà, vienimi incontro tu con la tua compassione. Sono io colui che era incappato nei ladroni, che sono i miei pensieri, mi hanno riempito di piaghe: vieni dunque tu stesso a curarmi, o Cristo”.
Ancora le figure di Adamo ed Eva sono accostate nella seconda ode a quelle del pubblicano e della prostituta: “Ho oscurato la bellezza dell’anima con le voluttà passionali, e ho ridotto totalmente in polvere il mio intelletto. Ho lacerato la mia prima veste, quella che ha tessuta per me il creatore. Ho indossato una tunica lacerata, quella che mi ha tessuto il serpente col suo consiglio, e sono pieno di vergogna. Anch’io ti presento, o pietoso, le lacrime della meretrice: siimi propizio, o salvatore, nella tua amorosa compassione. Anche le mie lacrime accogli, o salvatore, come unguento. Come il pubblicano a te grido: Siimi propizio!”.
Vengono poi presentate nelle odi successive la fede di Abramo, la scala di Giacobbe, la figura di Giobbe, la croce come luogo dove Cristo rinnova la natura decaduta dell’uomo, l’esperienza del deserto e delle infedeltà del popolo e dei re d’Israele, e Cristo che guarisce e salva: “Crocifisso per tutti, hai offerto il tuo corpo e il tuo sangue, o Verbo: il corpo per riplasmarmi, il sangue per lavarmi; e hai emesso lo spirito, per portarmi, o Cristo, al tuo genitore. Hai operato la salvezza in mezzo alla terra. Per tuo volere sei stato inchiodato sull’albero della croce e l’Eden che era stato chiuso, si è aperto”.
L’ottava ode canta i grandi penitenti dell’Antico e del Nuovo Testamento: “Hai sentito parlare, o anima, dei niniviti, della loro penitenza in sacco e cenere davanti a Dio: tu non li hai imitati, ma sei stata più stolta di tutti coloro che hanno peccato prima e dopo la Legge. Come il ladrone, grido a te: Ricordati! Come Pietro, piango amaramente; perdonami, salvatore, a te io grido come il pubblicano; piango come la meretrice: accogli il mio gemito”.
Infine, nell’ode nona è presentato tutto il mistero salvifico di Cristo che guarisce, chiama l’umanità per seguirlo e salva: “Ti porto gli esempi del Nuovo Testamento, o anima, per indurti a compunzione: Cristo si è fatto uomo per chiamare a penitenza ladroni e prostitute. Cristo si è fatto bambino secondo la carne per conversare con me, e ha compiuto volontariamente tutto ciò che è della natura, eccetto il peccato”.
Il grande canone di Andrea di Creta racconta la storia della salvezza operata da Dio verso ognuno di noi. In un testo che ci mette davanti i diversi aspetti con cui la Chiesa lungo la quaresima ci confronta, cioè la misericordia di Dio e per mezzo di essa il nostro cammino di ritorno a Dio, avendo Cristo stesso come pastore e come guida, che finalmente il giorno di Pasqua prende di nuovo per mano Adamo ed Eva per farli uscire dagli inferi e riportarli nel paradiso.

Per chi fosse interessato, fornisco il pdf del testo greco (forma integrale). Chi volesse cercare le suddivisioni per singoli giorni del canone, le trova in slavo ecclesiastico QUI. Per la traduzione, invece, invito a fare riferimento a questo sito. Faccio presente che tra le tre versioni potrebbero esserci delle minime variazioni testuali (per esempio, nel testo slavo vi sono alcuni tropari che non compaiono nel testo greco perché considerati spurii).
Allego anche due video di celebrazioni del Grande Canone, una in slavo (officiata dal Patriarca di tutte le Russie Kirill) e una in greco (ma senza immagini). Si tenga conto che nelle ferie del tempo quaresimale gli slavi utilizzano i paramenti neri in segno di macerazione della carne, mentre i greci usano il viola per indicare la penitenza come i latini. 



mercoledì 14 febbraio 2018

"Attende Domine, et miserere", un inno che già dice "Quaresima"





Un pensiero ed un proposito quaresimale in un aforisma di S. Agostino


Fonte: Oggi inizia il tempo di Quaresima: una palestra per l'anima e per il corpo, in Chiesa e postconcilio, 14.2.2018

Storia, pratica e decadenza del digiuno quaresimale

Rilanciamo quest’interessante breve saggio.
Ricordiamo e raccomandiamo i precetti di digiuno ed astinenza cui sono tenuti i fedeli (v. qui e qui).



Storia, pratica e decadenza del digiuno quaresimale

Non è qui necessario rimembrare la grandissima utilità spirituale del digiuno come pratica di penitenza e mortificazione, i frutti che esso porta, e la necessità di praticarlo da parte dei Cristiani. Sin dai primi tempi, distaccandosi dagli usi giudaici, fu stabilito che i Cristiani non avessero cibi proibiti di per sé, ma dovessero osservare un rigoroso digiuno due volte alla settimana, il mercoledì (giorno del tradimento) e il venerdì (giorno della Crocifissione); a questi si aggiunse anche il sabato nella tradizione latina. Contemporaneamente, è invalso anche l’uso di osservare dei periodi di digiuno, periodi che servono a preparare spiritualmente e fisicamente il fedele alla celebrazione dei grandi misteri della Religione. Già dal IV secolo, come attesta S. Atanasio, era uso di osservare 40 giorni di digiuno per prepararsi alla Santa Pasqua, donde il nome di Quadragesima o Τεσσερακοστὴ.
I primi cristiani praticavano il digiuno quaresimale per 40 giorni di seguito (anche se sabati e domeniche non erano considerati giorni di digiuno, e per questi i giorni reali erano almeno 46, da cui si dovevano poi sottrarre i sopraddetti giorni liberi), seguendo una dura regola che ci viene descritta per filo e per segno in alcuni documenti del X secolo (riferentesi di per sé al digiuno per chi si preparava a ricevere gli Ordini Sacri), riassumibile in tre punti principali:
- Un pasto solo al giorno, consumato rigorosamente dopo il tramonto;
- Divieto di consumo di qualsiasi prodotto di derivazione animale (carne, uova, latticini, grassi animali etc.);
- Divieto di consumo di alcolici.
Ciò che stupisce, leggendo le cronache antiche, è che chiunque, persino il contadino che lavorava nei campi per ore e ore anche durante la Quaresima, osservava rigorosamente il digiuno. La struttura fisica degli uomini di un tempo era sicuramente molto più robusta di quella dei nostri contemporanei, per permettere loro di compiere duri lavori a stomaco vuoto e senza proteine animali, potremmo dire; resta nondimeno il fatto che in Occidente si è visto un progressivo ammorbidimento delle normative circa il digiuno, alla qual cosa può essere (a mio modesto parere) imputabile anche l’indebolimento generale della nostra struttura fisica, che oggi fatica alquanto a restare senza determinati cibi per giorni e giorni, o senza cibo anche solo per poche ore. La debolezza di fisico è infatti la conseguenza della riduzione del digiuno, non già la causa, che va ricercata nello zelo scemante della società. Il punto di arrivo è l’assurdo digiuno prescritto dalla costituzione apostolica Paenitemini emanata da Papa Montini nel 1966, peraltro ad oggi messa in pratica da ben pochi tra i cattolici moderni, a dispetto dell’estrema rilassatezza del digiuno da essa previsto. Limitandosi ad osservare le norme per la Quaresima, ignorando il resto dell’anno, possiamo notare che per i cattolici conciliari i giorni di digiuno durante la Quaresima si riducono da 40 a 2, più 6 astinenze senza digiuno. Questa aberrazione, per cui possiamo realmente dire che i cattolici moderni non hanno né un vero digiuno né una vera Quaresima, dimostreremo qui come essa da una parte discenda effettivamente da una progressiva rilassatezza nella pratica diffusasi nel mondo occidentale, ma dall’altra rompa completamente con la tradizione, abolendo quasi del tutto le già permissive regole promulgate appena mezzo secolo prima da Papa S. Pio X. Le norme paoline, infatti, altro non sono che l’ufficializzazione delle disposizioni date in tempo di guerra da Pio XII (1941), le quali dovevano però inizialmente avere il carattere della temporaneità, e soprattutto erano riferite a una società attanagliata da un conflitto mondiale, non certo alla società dei consumi di oggi.

Il digiuno nella tradizione bizantina

Per un debito confronto, reputo anzitutto utile presentare le regole tuttora seguite dai cristiani d’Oriente, e cattolici e ortodossi, le quali ricalcano in modo pressoché identico le consuetudini originarie del Cristianesimo primitivo.
Dopo un periodo preparatorio (una settimana senza carne, ma con licenza di uova e latticini anche di mercoledì e venerdì), che termina con la Domenica dei Latticini, s’inizia dal primo giorno della Grande Quaresima a seguire quotidianamente la regola del digiuno stretto, che comporta l’astinenza da carne e derivati, uova, latticini, pesce, vino e olio d’oliva. Il sabato e la domenica non sono giorni di digiuno secondo la tradizione orientale, ma le sue regole sono talmente strette che prevedono in questi giorni solo la licenza di olio e vino (nonché di pesce nella tradizione slava), e continuano a prescrivere l’astinenza dai cibi di derivazione animale. La stessa regola ‘moderata’ si segue anche in alcuni giorni festivi che cadono durante la Quaresima, come l’Annunciazione ο il miracolo di S. Teodoro di Amasea.
Ai fedeli non è richiesto di fare un solo pasto al giorno, cosa che invece è praticata dai religiosi; i più zelanti, e specialmente i monaci, solo durante la I settimana, non toccano cibo dal lunedì mattina fino al mercoledì sera (quando fanno un pasto dopo la Liturgia dei Presantificati), e poi di nuovo fino a venerdì sera (sempre dopo la Liturgia).
Durante la Settimana Santa, invece, alla sera del giovedì, prima dell’Ufficio dei XII Vangeli, si fa idealmente l’ultimo pasto, poiché durante il Venerdì non è concesso nemmeno ai fedeli di prendere alcunché; tutt’al più, per sostenersi, può esser concesso di prendere della frutta e un po’ di vino al sabato mattina, dopo la Divina Liturgia della Prima Risurrezione. Il digiuno cessa dopo gli uffici della notte di Pasqua.

Evoluzione del digiuno nella tradizione occidentale

Per analizzare invece la complessa evoluzione del digiuno in Occidente, che non ha mantenuto la fissità di quello orientale, ci baseremo sui seguenti testi: le Regole dei primi Padri (e.g., S. Cesario, S. Benedetto), la Summa Theologiae di S. Tommaso d’Aquino, i manuali di teologia e penitenza di diverse epoche (P. Scarsella per il ‘500-’600, P. Corella per il ‘600-’700, P. Righetti per l’800), e infine il Codex Juris Canonici del 1917.
Come norma generale, sancita già da S. Tommaso, giova ricordare che l’astinenza in Occidente obbligava dai sette anni in poi, il digiuno dai ventuno ai sessantacinque. Inoltre, differenza fondamentale rispetto alle usanze orientale, in Occidente fu sempre consentito il consumo di pesce e simili animali a sangue freddo (come rane, molluschi, tartarughe, ecc.), poiché le loro non erano usualmente considerate carni. Gli anfibi vengono trattati secondo la categoria alla quale assomigliano di più, in accordo alla classificazione aristotelico-tomistica. Infine, in Occidente solo le domeniche sono giorni liberi dal digiuno, ma in essi non si osserva il ‘digiuno moderato’ di stampo orientale, ma è lecito di mangiare qualsivoglia quantità e qualità di cibo.
I Padri d’Occidente attestano che le regole da osservarsi all’interno dei monasteri (che prevedevano anche diversi giorni della Quaresima durante i quali non si mangiava alcunché), assomigliavano parecchio a quelle dei monaci bizantini; in Settimana Santa, poi, era uso di cibarsi solo di pane ed erbe salate. Simile era anche il digiuno praticato dai fedeli, con l’aggiunta della pratica di consumare quotidianamente un solo pasto, dopo il Vespero. Ancora fino alle riforme del 1955, del resto, forse più per relitto che per pratica vera e propria, le rubriche del Breviario Romano, al Vespero del sabato avanti la I domenica di Quaresima, riportano che hodie et deinceps usque ad Sabbatum sanctum, exceptis diebus dominicis, Vesperae dicuntur ante comestionem, etiam in Festis (oggi e d’ora in avanti fino al Sabato santo, tranne le domeniche, i Vespri si dicono prima di prender pasto, anche nelle Feste)
Proprio su questo aspetto s’iniziò, sin dall’alto Medioevo, a ricamare ‘sofismi’ che avrebbero poi portato all’alleggerimento del digiuno. Per esempio, dal X secolo, nei monasteri iniziarono a cantare Vespro in Quaresima all’ora nona, per poter prendere subito dopo la refezione; nel giro di pochi secoli, l’ufficio vespertino fu anticipato addirittura al mezzogiorno, tanto che S. Tommaso avverte che non è lecito, né ai religiosi né ai fedeli, di consumare il pasto prima di mezzodì. Con l’anticipazione del pasto, non dovette passare molto tempo perché (nel XIV secolo) venisse introdotta la possibilità di compiere una ‘refezioncella’ alla sera, la quale sarà, nei secoli successivi, quantificata dai moralisti in circa 250 grammi (i più severi, come l’Arregui, concedevano solo di mangiar pane in questa refezione; la maggioranza, cionondimeno, ammetteva qualsiasi cibo non proibito dalla legge dell’astinenza). Nel frattempo, s’inizia anche a normare cosa si possa prendere fuori pasto. Già la tradizione antica e bizantina ammetteva che l’assunzione di liquidi durante i giorni di digiuno fosse lecita (escluso ovviamente il latte); i moralisti stabilirono che era lecita qualsiasi bevanda presa per dissetarsi o riscaldarsi, giammai per nutrirsi. Alcuni ammettevano di poter sciogliere dello zucchero o un po’ di confettura all’interno della bevanda (sempre a patto che lo scopo fosse di addolcirla per renderla bevibile, e non di darsi nutrimento); particolarmente noto è l’aneddoto che vuole che Papa S. Pio V abbia fatto rientrare la cioccolata calda tra le bevande lecite, in quanto, essendone restato disgustato, l’aveva sentenziata come una ‘penitenza aggiuntiva’ (si deve tener conto, anche nell’osservanza di questo indulto, che la cioccolata dell’epoca era rigorosamente amara). Iniziano a studiarsi debitamente anche tutti i casi in cui si commetta peccato nel rompere il digiuno (p.e., quanta carne o quanto cibo fuori pasto lo rompa; chi possa esser scusato dal non aver osservato il digiuno, etc.). Compaiono tra il XVI e il XVII secolo le istruzioni circa la concessione delle dispense, concesse ordinariamente dai Parroci o dai Confessori, di poter consumare uova e latticini; rare sono invece quelle che svincolano dall’obbligo di digiunare, o di non consumare carne. Compaiono anche alcune dispense ‘nazionali’: in Spagna fu per esempio fu permesso su tutto il territorio nazionale di consumare uova e latticini in alcuni giorni della Quaresima; ai conquistadores in Messico fu concesso di consumare carne di topo, non essendovi altro mezzo di sostentamento per essi.
Ai primi dell’Ottocento il Righetti attesta due cose: la progressiva diminuzione dello zelo nell’osservare il digiuno (più volte nel suo manuale paragona i rilassati costumi dei suoi contemporanei a quelli molto più osservanti degli Orientali); l’introduzione di una nuova refezione lecita, ossia una piccola colazione al mattino (quantificata in 60 grammi) per darsi le energie necessarie a svolgere il proprio lavoro durante la mattinata. Con quest’ultima concessione, di fatto il ‘digiuno’ non ha più (se non nella sua formulazione teorica sine licentiis) il suo significato originale e antico di un solo pasto durante il giorno, ma indica piuttosto una certa riduzione della quantità di cibo consumate in due dei tre pasti quotidiani, e l’astenersi da prender cibo fuor da tali tre refezioni.
Verso la fine del XIX secolo la pratica appare assai abbandonata: a titolo d’esempio, quasi tutti i paesi godono di una licenza, parziale o totale, dall’astinenza da uova e latticini; gli Stati Uniti ottengono nel 1887 addirittura il permesso di consumare carne nel pasto principale di lunedì, martedì e giovedì, e di usare grassi animali tutti i giorni.
Queste son dunque le premesse che portarono alla nuova normativa del digiuno, stabilita da S. Pio X agl’inizj del XX secolo, e riportata dapprima nel suo Catechismo, e indi nel Codice di Diritto Canonico di cui egli iniziò la redazione, portata a compimento tre anni dopo la sua morte dal successore Benedetto XV. Si trattò infatti, più che di una ‘rivoluzione normativa’, di riscrivere in una forma più semplice la norma già allora osservata, recependo l’effetto di tutti quegl’indulti oramai globalmente diffusi.
Viene dunque sostanzialmente mantenuto l’obbligo del digiuno quotidiano, con annessa possibilità di refezioncella e colazione supplementari, mentre l’astinenza delle carni viene ridotta ai soli mercoledì, venerdì e sabati della Quaresima (mentre negli altri giorno sono lecite solo al pasto principale). Le uova e i latticini, precisa letteralmente, non sono mai proibite dalla nuova legge dell’astinenza. Scompaiono anche le prescrizioni particolari per la Settimana Santa, che a dire il vero erano state ignorate, e probabilmente dunque sostituite dall’estensione delle norme del resto della Quaresima, già da qualche secolo.

In conclusione, ritengo che al momento, viste le mutate condizioni fisiche e le abitudini contratte, sarebbe per gli Occidentali molto difficile ritornare alla purezza e al rigore del digiuno quaresimale della tradizione antica e bizantina; essi però, guardando con sana invidia all’esempio dell’Oriente che continua tutt’oggi ad osservare questa dura regola, dovrebbero applicarsi massimamente nell’osservazione del digiuno almeno secondo le norme promulgate da Papa San Pio X. Escludo a priori che seguire la regole del ‘66, improntate alla nuova mentalità ‘facile’ dei modernisti, possa portare mai un qualche frutto spirituale.
Digiunare non è infatti, come qualcuno vuol far credere, una pratica desueta, consuetudinaria ma sterile, solo esteriore e simbolica, ma è al contrario una delle pratiche ascetiche più efficaci, più probanti, più fruttuose, più vere. E solo un digiuno duro, sincero, magari praticato nel segreto, non senza fatica, unitamente alla preghiera ardente, umile e incessante, e alla carità in nome di Dio, è la chiave infallibile che un Cristiano possiede per poter vincere il demonio e le passioni e giungere purificato all’unione con il Signore nei Suoi misteri di Passione, Morte e Risurrezione.
Buona Santa Quaresima!