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domenica 11 febbraio 2018

89 anni fa, 11 febbraio 1929, la ‘Conciliazione’ tra lo Stato italiano e la Chiesa cattolica

Nella festa dell’Apparizione della Santa Vergine Immacolata a Lourdes, rilancio questo contributo del prof. Pasqualucci, in ricordo della Conciliazione tra Stato italiano e Chiesa nel 1929.










Alle spalle del card. Gasparri e di Benito Mussolini si vede l'Avv. Francesco Pacelli, fratello di Eugenio, futuro Pio XII

Storia: 89 anni fa, 11 febbraio 1929, la ‘Conciliazione’ tra lo Stato italiano e la Chiesa cattolica

Oggi, 11 febbraio, pubblichiamo un breve testo di Paolo Pasqualucci, a ricordo della Conciliazione, nota anche come Patti Lateranensi, che dal 1929 sancisce i termini del mutuo riconoscimento tra Regno d'Italia e la Santa Sede e delle regolari relazioni bilaterali tuttora vigenti. Ci sembra doveroso, visto che non ne parla più nessuno.

Fino agli anni Settanta circa del secolo scorso l’11 febbraio era festa nazionale.  Oggi, l’evento non solo non si celebra ma sembra esser caduto del tutto in oblìo.  Si è trattato di un fatto storico assai importante per il nostro Paese e, indirettamente, anche per il resto della cattolicità.  Finiva la grave tensione, che durava dal 1870, tra la Chiesa e lo Stato unitario italiano, dopo che quest’ultimo aveva tolto con la forza alla Chiesa il potere temporale e, pur nel mantenimento della religione cattolica quale unica religione ufficiale dello Stato, aveva introdotto leggi eversive dei beni ecclesiastici e il matrimonio civile (fallì, invece, anche per l’opposizione del Re, il tentativo di introdurre il divorzio).  La Chiesa cessava di rivendicare la restituzione del dominio temporale di un tempo, mettendo una pietra sopra il passato e riconoscendo lo Stato italiano.

I. Per la composizione della “questione romana” e il raggiungimento della desiderata “conciliazione” con la Chiesa, come tutti sanno furono determinanti la volontà e l’impegno personale di Benito Mussolini, l’ex-socialista rivoluzionario in gioventù romagnolo mangiapreti, da quasi sette anni capo del governo, non ancora “duce” stivalato e osannato da oceaniche e imperiali quanto effimere adunate.
[Vedi sul punto l’opera di colui che giustamente è considerato il massimo storico del fascismo: Renzo De Felice, Mussolini il fascista. II. L’organizzazione dello Stato fascista. 1925-1929, Einaudi, Torino, 1968, Cap. Quinto: La Conciliazione, pp. 382-436.  “Con i patti del Laterano Mussolini conseguì un successo – forse il più vero e importante di tutta la sua carriera politica – che da un giorno all’altro ne aumentò il prestigio in tutto il mondo…”, op. cit., p. 382. Corsivo mio].

II. Ma in cosa consistono quelli che vengono chiamati i Patti Lateranensi, dal momento che furono firmati, appunto l’11 febbraio del ’29, nel Palazzo del Laterano tra Mussolini e il cardinale Gasparri?  Forse è utile rinfrescare la memoria.
Si tratta di due documenti, espressione di due atti diversi, tra loro collegati e interdipendenti, stipulati tra la S. Sede e lo Stato italiano:  il Trattato e il Concordato.
Col primo si è determinata e stabilita di comune accordo la posizione e il regime giuridico speciale della S. Sede stessa quale ente sovrano della Chiesa cattolica in Italia e nei confronti dell’ordinamento statale e si è composta la cruciale Questione romana vertente fra le due autorità.  Con il secondo si è fissata e disciplinata la posizione e il regime giuridico della religione e della Chiesa cattolica in Italia.
Nel Trattato viene ricostituito il potere temporale del Papa nella forma di un microstato (la Città del Vaticano), con aggiunti vari immobili di proprietà della S. Sede dotati di extra-territorialità e/o di esenzione dall’espropriazione forzata e dai contributi.  Si tratta di uno Stato a tutti gli effetti, in modo da garantire al Pontefice la piena libertà di soggetto giuridico indipendente e sovrano dal punto di vista del diritto internazionale.
Con la  Convenzione finanziaria allegata, lo Stato italiano versava alla S. Sede, allo scambio delle ratifiche del Trattato, la somma di 750 milioni di lire in contanti (al potere d’acquisto del 1929) e di 1 miliardo in consolidato al 5%.  Tale somma la S. Sede, che aveva inizialmente richiesto circa 3 miliardi di lire, ha dichiarato di accettare “a definitiva sistemazione dei suoi rapporti finanziari con l’Italia in dipendenza degli avvenimenti del 1870”.  Essa accettava il risarcimento con la seguente motivazione: a) per la perdita del Patrimonio di S. Pietro costituito dagli antichi Stati pontifici; b) per la perdita dei beni degli enti ecclesiastici incamerati dallo Stato con le leggi eversive.  Il Papa, Pio XI, si accontentava di una somma forfettaria, tenendo conto della difficile situazione economica mondiale e italiana di quel periodo e mosso da benevolenza nei confronti del popolo italiano.
[I dati esposti nel § 2 li ho ripresi da:  Pietro Agostino D’Avack, Lezioni di diritto ecclesiastico italiano.  Le fonti, Giuffrè editore, Milano, 1962, cap. 6, Le fonti di origine pattizia II. I patti lateranensi, p. 147 ss.]

III.  Giova ricordare, a questo punto, la Premessa ed alcuni articoli del Trattato.

“In nome della Santissima Trinità.
Premesso:
Che la Santa Sede e l’Italia hanno riconosciuto la convenienza di eliminare ogni ragione di dissidio fra loro esistente con l’addivenire ad una sistemazione definitiva dei reciproci rapporti, che sia conforme a giustizia ed alla dignità delle due Alte Parti e che, assicurando alla Santa Sede in modo stabile una condizione di fatto e di diritto la quale Le garantisca l’assoluta indipendenza per l’adempimento della Sua alta missione nel mondo, consenta alla Santa Sede stessa di riconoscere composta in modo definitivo ed irrevocabile la “questione romana”, sorta nel 1870 con l’annessione di Roma al Regno d’Italia sotto la dinastia di Casa Savoia;
Che dovendosi, per assicurare alla Santa Sede l’assoluta e visibile indipendenza, garantirLe una sovranità indiscutibile pur nel campo internazionale, si è ravvisata la necessità di costituire, con particolari modalità, la Città del Vaticano, riconoscendo sulla medesima alla Santa Sede la piena proprietà e l’esclusiva ed assoluta potestà e giurisdizione sovrana;
Sua Santità il Sommo Pontefice Pio XI e Sua Maestà Vittorio Emanuele III, Re d’Italia, hanno risoluto di stipulare un Trattato […] Hanno convenuto negli articoli seguenti:
1. L’Italia riconosce e riafferma il principio consacrato nell’art. 1 dello Statuto del Regno 4 marzo 1848, pel quale la religione cattolica, apostolica e romana è la sola religione dello Stato.
2. L’Italia riconosce la sovranità della Santa Sede nel campo internazionale come attributo inerente alla sua natura, in conformità alla sua tradizione ed alle esigenze della sua missione nel mondo.
3. L’Italia riconosce alla Santa Sede la piena proprietà e la esclusiva ed assoluta potestà e giurisdizione sovrana sul Vaticano, com’è attualmente costituito, con tutte le sue pertinenze e dotazioni, creandosi per tal modo la Città del Vaticano per gli speciali fini e con le modalità di cui al presente Trattato […].
4. La sovranità e la giurisdizione esclusiva, che l’Italia riconosce alla Santa Sede sulla Città del Vaticano, importa che nella medesima non possa esplicarsi alcuna ingerenza da parte del Governo italiano e che non vi sia altra autorità che quella della Santa Sede.
[omissis]
8. L’Italia, considerando sacra ed inviolabile la persona del Sommo Pontefice, dichiara punibile l’attentato contro di Essa e la provocazione a commetterlo con le stesse pene stabilite per l’attentato e la provocazione a commetterlo contro la persona del Re del Presidente della Repubblica.
Le offese e le ingiurie pubbliche commesse nel territorio italiano contro la persona del Sommo Pontefice con discorsi, con fatti e con scritti, sono punite come le offese e le ingiurie alla persona del Re  del Presidente della Repubblica”.
[omissis]

Il Trattato constava di 27 articoli e Quattro Allegati.

IV. Del Concordato voglio solo ricordare una novità importantissima, che metteva fine al regime di solo matrimonio civile riconosciuto dallo Stato, introdotto con il nuovo Codice Civile, a partire dal 1° gennaio 1886, quando governava la c.d. Sinistra storica. Ora lo Stato riconosceva il matrimonio religioso (secondo il diritto canonico), concedendo al sacerdote celebrante anche la mansione di ufficiale dello stato civile, dal momento che poteva egli stesso provvedere al deposito dell’atto di matrimonio (regime di matrimonio concordatario, ritoccato per alcuni aspetti dall’Accordo del 1984, art. 8).

V. L’art. 7.2  della Costituzione della Repubblica Italiana ha confermato i Patti Lateranensi nella loro qualità di strumento che regola i rapporti tra lo Stato e la Chiesa.  Essi possono esser modificati con l’accordo delle due parti senza che si debba ricorrere a revisione della Costituzione. Il 18 febbrario 1984 fu sottoscritto un Accordo in 14 articoli, con Protocollo addizionale di 7 articoli, firmato in Roma (se non erro, dall’on. Bettino Craxi e dal cardinale Casaroli, segretario di Stato) apportante modificazioni al Concordato lateranense del ’29.  Con tale accordo la Chiesa ottenne determinati vantaggi, su questioni che le interessavano.   Però fece alcune importanti e gravi concessioni.
L’art. 1 di detto Accordo recita:
“La Repubblica italiana e la Santa Sede riaffermano che lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani, impegnandosi al pieno rispetto di tale principio nei loro rapporti ed alla reciproca collaborazione per la promozione dell’uomo e il bene del Paese”.
Tale articolo è preceduto da un breve preambolo intessuto di citazioni del Concilio Vaticano II (art. 6 della Dichiarazione Dignitatis humanae sulla libertà religiosa, che parla della tutela inviolabile dei diritti dell’uomo; art. 76 della costituzione Gaudium et Spes, nel quale la Chiesa rivendica il suo diritto ad esercitare la sua missione “a servizio delle persone umane” in una “società pluralistica”; e del nuovo Codice di Diritto Canonico del 1983, c. 3).  Nel Protocollo Addizionale si dà una sorta di intepretazione autentica di alcuni articoli dell’Accordo.  In relazione all’art. 1 appena citato si afferma:
“si considera non più in vigore il principio, originariamente richiamato dai Patti Lateranensi, della religione cattolica come sola religione dello Stato italiano”.
Nello spirito apertamente richiamato del Vaticano II, la Chiesa affermava ora esser la sua missione quella di collaborare con lo Stato “per il bene del paese e per la promozione dell’uomo”:  con uno Stato laico che promuoveva “il bene dell’uomo” in prospettiva apertamente antropocentrica e totalmente indifferente, quando non ostile, alle finalità proprie della Chiesa cattolica. Coerentemente a questa impostazione suicida, la Chiesa accettava, con piena sua soddisfazione, che nel Protocollo Addizionale si cancellasse ogni riferimento alla religione cattolica quale unica religione dello Stato italiano (come stabilito dallo Statuto Albertino, mantenuto dallo Stato fascista, per il quale le altre religioni erano culti tollerati o ammessi, a seconda della dizione preferita).
Coerentemente con questa impostazione, l’art. 4 dell’Accordo annacqua il carattere sacro della città di Roma, sede del Papato, ampiamente riconosciuto e tutelato dallo Stato fascista.
Recita infatti l’art. 4 dell’Accordo :
“La Repubblica italiana riconosce il particolare significato che Roma, sede vescovile del Sommo Pontefice, ha per la cattolicità”.
L’art. 1.2 del Concordato lateranense del ’29, diceva invece, in modo molto più forte ed incisivo:
“In considerazione del carattere sacro della Città Eterna, sede vescovile del Sommo Pontefice, centro del mondo cattolico e meta di pellegrinaggi, il Governo italiano avrà cura di impedire in Roma tutto ciò che possa essere in contrasto col detto carattere”.
E questa “cura”, come sappiamo, fu messa scrupolosamente in atto.  Del resto, sino alla prima metà degli anni sessanta del secolo scorso, nel centro di Roma i night-clubs erano pochissimi e, credo, alquanto castigati, concentrati tutti nella zona di Via Veneto.
[I testi dei Patti Lateranensi e del successivo Accordo con Protocollo Aggiuntivo, li ho citati da:  Giovanni Barberini (a cura di), Raccolta di fonti normative di diritto ecclesiastico, 4a ediz. riveduta e ampliata, G. Giappichelli Editore, Torino, 1997, pp. 31-59].

VI.  Voglio concludere questa breve rievocazione  con alcune citazioni dal menzionato capitolo di Renzo De Felice sulla Conciliazione.
Pio XI si era giustamente opposto alla ventilata revisione della legislazione ecclesiastica esistente da parte del governo italiano, mai accettata dai Papi: si trattava della legislazione detta delle Guarentigie, stabilita dopo l’annessione di Roma al Regno d’Italia, a garanzia della libertà e indipendenza economica del Pontefice; però stabilita unilateralmente dallo Stato italiano e senza riconoscere alcun potere temporale al Papa, come se potesse esser concepito quale sovrano senza Stato.
Mussolini prese posizione contro le polemiche che l’atteggiamento del Papa aveva provocato, con una celebre lettera al Guardasigilli Alfredo Rocco, il 4 maggio 1926.  Egli mostrava di  comprendere e giustificare appieno il punto di vista del Pontefice. 
“La Santa Sede, scriveva egli, pur apprezzando il profondo mutamento di indirizzo, che il trionfo del Fascismo ha segnato nella politica religiosa dello Stato italiano, reputa che una sistemazione soddisfacente dei rapporti tra la Chiesa Cattolica e lo Stato in Italia non possa conseguirsi, se non per via di accordo bilaterale, e che un accordo di tal fatta presuppone risoluto, d’intesa tra le due Potestà, il problema della sistemazione giuridica della Santa Sede, come organo centrale, e pertanto, di sua natura supernazionale, della Chiesa, il quale, per decreto della Provvidenza divina ha sede in Italia.
Il regime fascista, superando in questo, come in ogni altro campo, le pregiudiziali del liberalismo, ha ripudiato così il principio dell’agnosticismo religioso dello Stato, come quello di una separazione tra Chiesa e Stato, altrettanto assurda quanto la separazione tra spirito e materia…È logico pertanto che il Governo Fascista giudichi con piena serenità le attuali manifestazioni della Santa Sede, e le reputi degne della più attenta considerazione… Giunte le cose al punto, in cui il tempo e il procedere della storia, e l’evoluzione spirituale e politica del popolo italiano le hanno condotte, reputo non inutile che tu, coi mezzi di informazione di cui disponi, prenda riservatamente notizia del punto di vista odierno della Santa Sede, intorno alle forme che potrebbe assumere una soddisfacente sistemazione giuridica dei suoi rapporti con lo Stato italiano” [De Felice, op. cit., pp. 389-390].
Con questa lettera, che mise immediatamente in moto Alfredo Rocco, si iniziò il processo che quasi tre anni dopo si sarebbe concluso con i Patti Lateranensi.  Nella fase finale, le trattative, sempre riservate, furono condotte personalmente da Mussolini.  
Com’è noto, i Patti furono occasione immediata di accese polemiche, anche nell’ambito della schieramento fascista, nel quale era presente da sempre una robusta componente anticlericale. Ci furono successivamente incomprensioni e conflitti, anche seri, con la Santa Sede a proposito delle organizzazioni giovanili cattoliche. Tra i cattolici, se la maggioranza gioì, ci fu tuttavia chi pensò che la Chiesa avesse concesso troppo al regime o, addirittura, avesse “capitolato” nei suoi confronti. Quest’opinione fu espressa da ambienti del cattolicesimo francese, per i quali la Chiesa, appunto “capitolando” nei confronti del regime, si era messa sotto “la protezione italiana”, come scrisse Maurras su ‘L’Action Française’ del 14 febbraio 1929 [De Felice, op. cit., p. 423, nota n. 1].
Ma si poteva davvero ritenere, aggiungo io, che il mettersi sotto “la protezione” temporale dell’Italia (se si vuole usare quest’immagine) comportasse una diminuzione dell’universalità della Chiesa cattolica e di Roma, in quanto capitale del cattolicesimo? Poteva sembrare, superficialmente, che la Chiesa si fosse messa ora sotto la “protezione” dello Stato italiano.  In realtà, da un punto di vista superiore, era vero il contrario: era lo Stato italiano che ora, riconoscendo e riparando certi suoi errori e venendo perdonato dalla Chiesa per le offese e malefatte risorgimentali e postrisorgimentali, ritornava ad esser spiritualmente “protetto” (se così vogliamo dire) dal caritatevole e materno benvolere della Chiesa.
A proposito di queste polemiche, si veda quest’ultima citazione, sempre dall’opera di De Felice.
“Non meno soddisfatto e conciliante si era mostrato Mussolini quando – il 10 marzo [1929], in occasione della prima ‘assemblea quinquennale del regime’- aveva per la prima volta pubblicamente parlato dei patti.  Questi, aveva detto , erano “equi e precisi” e avevano creato tra l’Italia e la Santa Sede una situazione “di differenziazione e di lealtà”: 
“Io penso, disse, e non sembri assurdo, che solo in regime di concordato si realizza la logica, normale, benefica separazione tra Chiesa e Stato, la distinzione, cioè, tra i compiti, le attribuzioni dell’una e dell’altro.  Ognuno coi suoi diritti, coi suoi doveri, con la sua potestà, coi suoi confini.  Solo con questa premessa si può, in taluni campi, praticare una collaborazione da sovranità a sovranità.
Parlare di vincitori o di vinti è puerile: si parli di assoluta equità dell’accordo che sana reciprocamente de jure un’ormai definitiva, ma sempre pericolosa e comunque penosa situazione di fatto. L’accordo è sempre meglio del dissidio; il buon vicinato è sempre da preferirsi alla guerra”.
E, pur mettendo in chiaro che il riconoscimento alla Chiesa cattolica di “un posto preminente nella vita religiosa del popolo italiano “non significava persecuzione, soppressione o anche solo vessazione degli altri culti, aveva annunciato che lo Stato fascista non era tenuto – “come si pretenderebbe dalle vaghe superstiti cellule demomassoniche”- a conservare tutte le misure di una legislazione “che fu il prodotto di un determinato periodo storico” e che spesso erano col tempo diventate delle semplici finzioni” [De Felice, op. cit., pp. 427-428].  
Il giorno dopo, 11 marzo, ‘L’Osservatore Romano’ definì le parole del “duce” “obbiettive ed esaurienti” [De Felice, op. cit., p. 427, nota n. 2].

La valutazione mussoliniana del significato autentico dei Patti, condivisa dal Vaticano, mostrava che il loro spirito non era affatto quello di fornire alla Chiesa una semplice “protezione” nel temporale, quasi la Chiesa fosse un soggetto inferiore a quello statale e bisognoso pertanto della sua protezione. Anche se, dal punto di vista materiale e organizzativo, lo Stato italiano veniva a “proteggere” la Chiesa in quanto piccolissimo Stato enclave al suo interno (la polizia italiana poteva entrare nella Città del Vaticano ma solo su richiesta della stessa autorità vaticana, art. 3.2 del Trattato), lo spirito e la finalità dei Patti era quello di riconoscere  nella Chiesa, in conformità alla sua natura, la più completa autonomia, libertà e sovranità temporale; cioè la realtà insopprimibile di un’istituzione che, nella sua assoluta indipendenza di compiuto ordinamento giuridico, non aveva bisogno di alcuna “protezione” né da parte dello Stato italiano né di altri.

Paolo Pasqualucci, domenica 11 febbraio 2018

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