Finalmente
un motu proprio sull’uso conviviale delle chiese ….!
Un
nostro amico ed affezionato lettore, preso dallo spirito carnacialesco del
martedì grasso, ultimo giorno di Carnevale, ha ludicamente immaginato che
l’odierno vescovo di Roma, .. anche lui in vena di far scherzi ai fedeli (e si
sa che … a Carnevale, ogni scherzo vale), si fosse deciso finalmente (?)
a pubblicare un documento col quale regolamentare l’uso, secolare e mondano,
dei pranzi/cene nelle chiese, cattedrali e basiliche.
Per
il momento, lo ribadiamo, si tratta di uno scherzo, di un gioco, di una burla,
cioè di un componimento in tono scherzoso e faceto, a metà strada tra il latino
ed il maccheronico. Lo stesso titolo «Magna cum laetitia» evoca nel gergo romanesco l'azione del “mangiare”.
Un
componimento, dunque, scherzoso, ma che, nelle intenzioni dell’autore, dovrebbe
far riflettere sulla presunta serietà delle motivazioni addotte dai sostenitori
di quest’uso mondano dei luoghi sacri.
Poi,
magari, chissà, il vescovo di Roma potrebbe trovare lo scritto così ben congegnato
da trasfonderlo in un vero motu proprio. In quel caso, non ci sarà molto
da ridere.
Per
ora: buon divertimento … E, ovviamente, buon pranzo!
FRANCISCUS PP.
LITTERAE APOSTOLICAE
MOTU PROPRIO DATAE
MAGNA CUM LAETITIA
Magna cum laetitia in dominica die prima mensis octobris,
anno Domini MMXVII, Nos concludi in civitate Bononiarum, Dioecesano Eucharistico
Congressu cum prandium in Basilica Sancti Petronii [1]. Quid gaudium videre tot
in hoc domus: in medio, et in contione.
Ecclesia omnium est! Domus Populi est!
In hac domo, ubi plerumque celebratur mysterium
Eucharistiae, in mensa, in qua ponatur panis et vinum fiunt Corpus et Sanguinem
Iesu, contritum et effudit pro multitudine hominum, quod Ipse amat, sit set
semper a mensa amoris qui opus!
Ut dictum – cum particularem – Andreas Tornielli,
dilectus filius noster, Evangelium est plena scaenae, ut describere Iesus ad
mensam [2]: iustus eius sedentes ad mensam cum publicans et peccatores causando
scandalum. Eucharistia se erat instituta circa a mensa posita ad prandium.
Sanctus Ioannes Chrysostomus, Pater Ecclesiae, veneranda per catholicae et orthodoxae
ecclesiae, scripsit: «Vis ad honorem Corporis Christi? Non
ignorare eum, cum ipse nudus. Non despicias eum homagium in templo vestiti
sericis, nisi tunc ad negligere eum extra, ubi ipse patitur frigore et
nuditate. Qui dixit: “Hoc est Corpus meum”, idem est, qui dixit: “vidisti me
esurientem et pavimus me”, et “Quid fecisti minimis fratribus meis, mihi
fecistis”… Quid boni est, si autem extra mensam eucharisticam cumulatur cum
aurea chalices, cum frater tuus est mori fame? Satus per satisfaciunt Eius fame
et tunc, si quid est, reliquit ut ornare altare tam».
Haec verba Ioannes Chrysostomus testificantur
indissolubilem nexum inter ministerium ad altare, eucharistiae et caritas, amor
pro aliis, et pro pauperibus, ut legitur in Communio, theologica acta (certe
non subversiva) anni Domini MMIX: «Relationem illustrat, in Scripturis tam
argumentum messianici convivium, in quo ultimum saturabuntur».
Prandium in oppido erat communis in prima christianae
generationes, et cum communitate conventus cum apostolica temporibus. Narrat
Sanctus Ioannes Chrysostomus: «In ecclesiis erat consuetudo, quae fuit
admirabile: pro fidelibus, congregati sunt simul, semel, ut audivimus, Verbum
Dei, participes in omnibus ritu preces et tunc ad sancta mysteria. In fine
conventus, instead of iens recta domum, dives, qui erant de adducere commeatus
abunde, invitaverunt pauperes et omnes sedit in eadem mensa, et non
praeparavit, in eadem ecclesia, et in omnes, sine distinctione, comedit, et
bibit de eadem. Hoc potest intelligi, quomodo communis mensa, sanctitatem loco,
fraterna caritas, quae manifestavit se ubique factus est pro unoquoque perennis
fons, unde gaudium et virtutem».
Non inopia singula praescripta, dicit Communio, pro his
prandia, quae saepe sunt etiam assistat episcopo, ut suadeant imago quaedam a
«liturgia amoris». Etiam Gregorius Magnus, Episcopus Romanus ad finem quarto
saeculo, aperit fores Ecclesiae, ut pascat pauperem, at difficile tempus in
urbe, quo per vim et per condiciones extrema necessitate. Papa Gregorius est
“triclinium pauperum”, caupona pro pauperibus, in oratorium Sanctae Barbarae,
deinde ad eius commorationis in Celio. In medio parva ecclesia, constructa a
magna marmorea tabula, ubi ipse Pontifex, omni die, servit farinam ad duodecim
pauperes populi.
Etiam in basilica S. Petri – non cursu, sed vetus
constantinianam – vidit prandia, quae sunt similia. S. Paulinus nolanus, qui
vixit inter IV et V saeculo, narrat prandium pauperibus obtulit in basilica
Sancti Petri in Vaticano a romano Pammachius, senator. Senator, qui est
conversus ad christianitatem, obtulit prandium in memoriam eius defuncti uxor.
Episcopus Paulinus, cum his verbis, laudat et confirmat opus eius amicus: «Te
radunasti in basilica Apostoli [Petri] per multitudinem pauperum, qui sunt in
patronos animarum nostrarum, ut tota urbe Roma, mendicans vivere... ut Mihi
videtur, ad omnes illas turbas populi, miserem gregem in magna exercitus, imo
ingentem basilicam gloriosi Petri... quod pulchra visum fuit ».
Prandium in ecclesia – sicut quod consuete praebet
Communitatis de Sancto Aegidio pauperibus in die Natalis domini, in basilica
Santctae Mariae in Trastevere – remansit, eximium eventus, ex quo erat loco pro
liturgia et in oratione; cum Nos nuper diximus, “cum certitudine et cum
magisteriale auctoritate reformatio liturgica letalis esse” [3], Nos
decernimus, ut amodo in locis cultus, quos sanctificationem, sunt in ordinaria
via sit amet, convivium rerum, ubi nemo est aut sentit excluditur, nec cura,
non inmemor, quod sunt tempora, in quibus in ecclesiis, ad esse beatus ante
Palio de Senensis, ingressus etiam equos.
Ut Dominus nos benedicat, et nos omnes, et auxilium
nobis, ut movere deinceps in itinere vitae. Et bonum appetitus!
Datum Romae, apud Sanctum Petrum, die decimatertia mensis
februarii, anno Domini MMXVIII, Pontificatus Nostri quarto.
FRANCISCUS
PP.
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LETTERA
APOSTOLICA
DI SUA
SANTITÀ FRANCESCO
“MOTU PROPRIO DATA”
MAGNA CUM
LAETITIA
SULL’USO
CONVIVIALE DEI LUOGHI DI CULTO
Con
grande gioia domenica 1 ottobre 2017 abbiamo concluso a Bologna il Congresso
Eucaristico Diocesano con un pranzo nella Basilica di San Petronio [1]. Che gioia vederci in
tanti in questa casa: al centro e assieme.
La Chiesa è di tutti! È
la Casa del Popolo!
In questa casa, dove normalmente
si celebra il mistero dell’Eucaristia, la mensa sulla quale è deposto il pane e
il vino che diventano il Corpo e il Sangue di Gesù, spezzato e versato per la
moltitudine di uomini che Egli ama, apparecchiamo sempre una mensa di amore per
chi ne ha bisogno!
Come ha
– con particolare interesse – fatto osservare Andrea Tornelli, nostro diletto
figlio, il Vangelo è pieno di scene che descrivono Gesù a tavola [2]: proprio
il suo sedersi a mensa con pubblicani e peccatori provoca scandalo. La stessa eucaristia
viene istituita attorno a una tavola imbandita per la cena. San Giovanni
Crisostomo, Padre della Chiesa venerato dalle chiese cattolica e ortodossa,
scriveva: «Vuoi onorare il Corpo di Cristo? Non trascurarlo quando si trova
nudo. Non rendergli onore qui nel tempio con stoffe di seta, per poi
trascurarlo fuori, dove patisce freddo e nudità. Colui che ha detto: “Questo è
il mio Corpo”, è il medesimo che ha detto: “Voi mi avete visto affamato e non
mi avete nutrito”, e “Quello che avete fatto al più piccolo dei miei fratelli
lo avete fatto a me”... A che serve che la tavola eucaristica sia sovraccarica
di calici d’oro, quando Lui muore di fame? Comincia a saziare Lui affamato, poi
con quello che resterà potrai ornare anche l’altare».
Queste parole di
Giovanni Crisostomo attestano il legame indissolubile tra il servizio all’altare,
l’eucaristia e la carità, l’amore per gli altri e per i poveri,
come si legge in un numero del 2009 della rivista teologica (non certamente
eversiva) Communio:
«Un legame sottolineato nelle Scritture così come il tema del banchetto
messianico, in cui gli ultimi saranno saziati».
Il pranzo in comune era
frequente nelle prime generazioni cristiane e accompagnava la riunione della
comunità fin dai tempi apostolici. Narra San Giovanni Crisostomo:
«Nelle chiese c’era un’usanza ammirevole: i fedeli, riunitisi, una volta
ascoltata la Parola di Dio, partecipavano tutti alle preghiere di rito e poi ai
santi misteri. Alla fine della riunione, invece di tornare subito a casa, i
ricchi, che si erano preoccupati di portare provviste in abbondanza, invitavano
i poveri e tutti si sedevano a una stessa tavola, apparecchiata nella chiesa
stessa e tutti senza distinzione mangiavano e bevevano le stesse cose. Si
comprende come la tavola comune, la santità del luogo, la carità fraterna che
si manifestava dappertutto diventavano per ognuno fonte inesauribile di gioia e
di virtù».
Non mancano,
ricostruisce Communio,
disposizioni dettagliate per questi pranzi, cui spesso partecipa anche il vescovo,
tanto da suggerire l’immagine di una sorta di una «liturgia della
carità». Anche
Gregorio Magno, Vescovo di Roma alla fine del IV secolo, apre le porte della
Chiesa per far mangiare i più poveri, in un momento difficile per la sua città,
segnata da violenze e da situazioni di bisogno estremo. Papa
Gregorio allestisce il “triclinium pauperum”, una mensa per i
poveri, nell’oratorio di Santa Barbara, accanto alla sua residenza al Celio. Al
centro della piccola chiesa venne costruito un grande tavolo di marmo dove lui
stesso, il
Papa, ogni giorno, serve il pasto a dodici poveri.
Anche la basilica di San Pietro - non quella attuale, ma quella
precedente costantiniana - ha visto pranzi simili. San Paolino da Nola,
vissuto tra il IV e il V secolo, racconta un pranzo per i poveri offerto nella
basilica di San Pietro in Vaticano dal senatore romano Pammachio. Il senatore,
convertitosi al cristianesimo, offrì un pranzo in memoria della moglie
scomparsa. Il vescovo Paolino con queste parole loda e sostiene l’opera dell’amico:
«Tu radunasti nella basilica dell’Apostolo [Pietro] una moltitudine di poveri,
patroni delle anime nostre, che per tutta la città di Roma chiedono l’elemosina
per vivere... Mi sembra di vedere tutte quelle moltitudini di gente misera
affluire a sciami in grandi schiere, fino in fondo all’immensa basilica del
glorioso Pietro... che lieto spettacolo era quello».
Il pranzo in chiesa – come quello che tradizionalmente offre
la Comunità di Sant’Egidio ai poveri il giorno di Natale nella basilica di
Santa Maria in Trastevere – è rimasto un evento eccezionale, dato che si
trattava di un luogo destinato alla liturgia e alla preghiera; avendo Noi
recentemente affermato “con sicurezza e con autorità magisteriale che la
riforma liturgica è irreversibile” [3], decretiamo che d’ora in avanti i luoghi
di culto, compresi i santuari, possano in via ordinaria essere usati per eventi
conviviali, dove nessuno è o si senta escluso, compresi gli animali di
compagnia, non dimenticando
che ci sono occasioni particolari in cui nelle chiese, per essere benedetti
prima del Palio di Siena, entrano persino i cavalli.
Ci benedica il Signore,
tutti noi, e ci aiuti ad andare avanti nel cammino della vita. E buon appetito!
Dato a Roma, presso San
Pietro, il 13 febbraio 2018, anno quarto del nostro Pontificato.
FRANCISCUS PP.
[1] Cfr. Parole del Santo Padre, Basilica
di San Petronio (Bologna), Domenica, 1° ottobre 2017.
[2] Cfr. Quei poveri che pranzano in chiesa, e l’accusa
di “profanazioneˮ, Vatican Insider, 1° ottobre 2017; Communio, 2009, fasc. 3.
[3] Discorso ai Partecipanti
alla 68.ma Settimana Liturgica Nazionale, 24 agosto 2017.
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