Nella Domenica delle Palme, che ci
introduce alla Settimana Santa, rilanciamo questo contributo liturgico.
Le immagini sono tratte dal profilo di
un nostro amico.
Domenica delle Palme, nel 1941, al Santo Sepolcro a Gerusalemme |
Il Cardinale Arciprete, Eugenio Pacelli, futuro Pio XII presiede in S. Pietro la liturgia della Domenica delle Palme |
Il
rituale della “Missa sicca” della Domenica delle Palme
A testimonianza della veneranda
antichità dei riti della Settimana Santa, rimontanti ai primi secoli della
storia della Chiesa, la Domenica delle Palme continua a officiarsi una
cerimonia assai diffusa nel Medioevo e scomparsa dopo il Concilio Tridentino, detta Missa
sicca, ossia una celebrazione che ricalca il modello della Messa, ma è
priva della parte sacrificale. Essa veniva officiata in occasione di
benedizioni, o per i matrimoni in alcune particolari circostanze; rimane oggi
unicamente per il rito di benedizione dei rami d’ulivo con cui i Cristiani
inneggeranno a Cristo entrante in Gerusalemme, siccome inneggiarono i fanciulli
giudei a quel suo solenne ingresso duemila anni fa.
Dopo Terza, avuta luogo more
solito l’aspersione domenicale, il Sacerdote rivestito di stola e
piviale violacei accede all’altare, lo venera col bacio, e va al lato dell’epistola,
mentre il coro canta la solenne antifona Hosanna filio David. ‘Hosanna’,
come ben spiega il Card. Schuster, indica un uso rituale tipicamente ebraico,
svolto in occasione delle grandi feste come la dedicazione del tempio,
ovverosia il portare rami d’alberi qua e là in occasione d’onori. Il fatto che
a Nostro Signore sia stato tribuito un siffatto ingresso nella Città Santa,
infatti, prefigura direttamente la sua divina regalità, poiché tale onore
spettava generalmente alle feste in onore di Dio, e non a uomini, per quanto
importanti.
Il Sacerdote intanto prosegue le
cerimonie come alla Messa: canta l’orazione, con cui apre il cammino della Settimana
Santa, richiedendo a Dio di moltiplicare le grazie pel suo popolo e di farlo
giungere al fine alla gloriosa Risurrezione.
Dipoi, il suddiacono canta la Lezione, che è tratta dai capitoli XV e XVI dell’Esodo: in tale brano, infatti, oltre a mentovarsi settanta palme all’inizio del brano, viene preannunciata la missione salvifica del Cristo, poiché Iddio, sotto figura di manna, promise di dare il suo Divin Figliuolo. Soggiungesi poi un responsorio, a mo’ di graduale, che può scegliersi tra un brano di San Giovanni e uno di San Matteo, ambedue riferentesi alla condanna a morte del Redentore, dacché è attraverso di essa che a noi è elargito dal cielo ogni beneficio.
Intanto, viene benedetto l’incenso e il diacono domanda al Sacerdote la benedizione, apprestandosi a cantare il Vangelo, con le consuete cerimonie della Messa solenne. La pericope evangelica è proprio l’Ingresso in Gerusalemme, secondo San Matteo (capitolo XXI).
Dipoi, il suddiacono canta la Lezione, che è tratta dai capitoli XV e XVI dell’Esodo: in tale brano, infatti, oltre a mentovarsi settanta palme all’inizio del brano, viene preannunciata la missione salvifica del Cristo, poiché Iddio, sotto figura di manna, promise di dare il suo Divin Figliuolo. Soggiungesi poi un responsorio, a mo’ di graduale, che può scegliersi tra un brano di San Giovanni e uno di San Matteo, ambedue riferentesi alla condanna a morte del Redentore, dacché è attraverso di essa che a noi è elargito dal cielo ogni beneficio.
Intanto, viene benedetto l’incenso e il diacono domanda al Sacerdote la benedizione, apprestandosi a cantare il Vangelo, con le consuete cerimonie della Messa solenne. La pericope evangelica è proprio l’Ingresso in Gerusalemme, secondo San Matteo (capitolo XXI).
Tra i rituali della Messa secca s’inseriscono
ora le preci di benedizione dei rami. La Chiesa benedice e distribuisce i rami perché già vede perfetto il trionfo di Cristo. Inoltre,
essendo Egli il trionfatore e dovendo per Lui trionfare gli eletti in Cielo,
convenientemente la benedizione e distribuzione vien fatta dal Sacerdote, che
rappresenta Cristo.
Dopo aver cantato una orazione, il Sacerdote intona un prefazio in cui si esalta la regalità suprema di Nostro Signore, al termine del quale viene cantato il Sanctus, dimodoché insieme procedano la lode delle schiere celesti e quella delle turbe terrene. Si noti ancora una volta la perfetta identità di questo rituale con le cerimonie della Messa; soltanto, ora, anziché procedere alla Consacrazione, seguirà piuttosto la già preannunziata benedizione dei rami.
Dopo aver cantato una orazione, il Sacerdote intona un prefazio in cui si esalta la regalità suprema di Nostro Signore, al termine del quale viene cantato il Sanctus, dimodoché insieme procedano la lode delle schiere celesti e quella delle turbe terrene. Si noti ancora una volta la perfetta identità di questo rituale con le cerimonie della Messa; soltanto, ora, anziché procedere alla Consacrazione, seguirà piuttosto la già preannunziata benedizione dei rami.
E dunque ciò avviene con cinque solenni
orazioni, le quali mostrano quale sia il mistero ed il significato dei rami di
olivo e di palma, e come gli uomini, in virtù della ricezione di tali
sacramentali, vengano da essi aiutati per mezzo della divina grazia. La
benedizione viene conclusa dall’aspersione e dall’incensazione dei rami.
Cantata un’ulteriore orazione in
cui si chiede a Iddio di accoglierci, mondati dal peccato, nel numero di quanti
lo esaltano festanti coi rami di palma, il Sacerdote distribuisce gli stessi al
clero e poi al popolo, mentre il coro canta il responsorio Púeri
Hebræórum. Lavatosi le mani ai piedi dell’altare e cantata un’altra
orazione dal lato dell’epistola, ha inizio la solenne processione, coll’invito
del diacono: Procedamus in pace, cui il coro risponde: In
nomine Christi. Amen.
Avanti a tutti va il turibolo fumigante, segue la croce processionale, velata e con un ramo di palma legato ad essa da un nastro violaceo, portata dal suddiacono e accompagnata dagli accoliti coi ceri accesi, indi il clero, e per ultimo il Sacerdote accompagnato dal diacono e dal cerimoniere, tutti reggenti in mano i rami d’ulivo. Durante il tragitto, il coro canta numerose antifone, ora tratte da brani evangelici, ora di composizione ecclesiastica, che richiamano l’esultanza dei fanciulli ebrei in onore di Gesù Cristo.
Avanti a tutti va il turibolo fumigante, segue la croce processionale, velata e con un ramo di palma legato ad essa da un nastro violaceo, portata dal suddiacono e accompagnata dagli accoliti coi ceri accesi, indi il clero, e per ultimo il Sacerdote accompagnato dal diacono e dal cerimoniere, tutti reggenti in mano i rami d’ulivo. Durante il tragitto, il coro canta numerose antifone, ora tratte da brani evangelici, ora di composizione ecclesiastica, che richiamano l’esultanza dei fanciulli ebrei in onore di Gesù Cristo.
Quando la processione ha termine,
tutti si fermano anzi alla porta della chiesa: quattro cantori entrano nel
tempio e chiudono le porte, indi iniziano il canto del poema di Teodolfo d’Orleans,
rimontante al IX secolo, che inizia Gloria, laus et honor tibi sit.
Esso viene cantato da quelli dentro la chiesa, ai quali rispondono tutti coloro
che stanno fuori con il ritornello. Il fatto che alcuni stiano dentro la chiesa
cantando ed altri fuori rispondendo, significa che gli Angeli, prima della
Risurrezione e il trionfo di Cristo, stavano nel Cielo chiuso agli uomini e,
lodando Dio, lo pregavano di restaurare il genere umano. A questi, i buoni
mortali affidati alla speranza divina, rispondevano cantando e pregando per
esser a quelli congiunti.
Quindi, il suddiacono percuote
tre volte la porta con la Croce astile, sinché questa non viene aperta, e la
processione rientra solennemente in chiesa cantandosi il responsorio Ingrediente
Domino. Ora quelli di fuori si uniscono con quelli di dentro fino a formare
un corpo solo, per significare che l’ingresso fatto oggi da Cristo in
Gerusalemme prefigurava la sua entrata nella città del Paradiso dove i giusti dovevano
unirsi con gli Angeli ed avere, trionfanti, i segni e le palme della vittoria
gloriosa. E, siccome tale ingresso avvenne mediante la morte espiatoria di
Cristo, e la sua Croce aprì dunque ai giusti le porte del Paradiso, così è la
Croce che simbolicamente apre le porte della chiesa per farvi entrare i fedeli.
Con questa commovente cerimonia ricca di significato, si chiude l’ufficiatura della “Missa sicca” e della relativa processione, e il Sacerdote, svestito il piviale e indossati pianeta e manipolo di colore violaceo, inizia la vera e propria Messa con le preghiere ai piedi dell’altare.
Con questa commovente cerimonia ricca di significato, si chiude l’ufficiatura della “Missa sicca” e della relativa processione, e il Sacerdote, svestito il piviale e indossati pianeta e manipolo di colore violaceo, inizia la vera e propria Messa con le preghiere ai piedi dell’altare.
Omnípotens sempitérne Deus, qui
Dóminum nostrum Iesum Christum super pullum ásinæ sedére fecísti, et
turbas populórum vestiménta vel ramos arbórum in via stérnere et
Hosánna decantáre in laudem ipsíus docuísti: da, quæsumus; ut illórum
innocéntiam imitári possímus, et eórum méritum cónsequi mereámur. Per
eúndem Christum, Dóminum nostrum.
Onnipotente sempiterno Iddio, che
faceste sedere nostro Signore Gesù Cristo su di un asinello, e ordinaste alle
turbe dei popoli di stendere per la via le vesti e i rami degli alberi, e a
cantare “Osanna” in di Lui onore: concedete, ve ne preghiamo, che noi possiamo
imitare l’innocenza di quei fanciulli, e meritiamo di conseguire al fine il
loro merito. Per lo stesso Cristo Signor nostro.
Fonte: Traditio
Marciana, 24.3.2018
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