Noi conosciamo
solo un don Tonino: una serie televisiva degli
anni ’80 ed in onda sulle reti Mediaset. Protagonista era un parroco
(interpretato dall’attore Andrea Roncato), che, aiutato dall'amico commissario,
si trovava spesso a investigare su casi misteriosi.
Questo
prete, sempre in talare, era più vero rispetto ad un altro Tonino, che, si
vorrebbe persino “beatificare”, e che oggi è stato assunto, dall’odierno
vescovo romano, quale emblema, prototipo della sua povera chiesa.
Eppure
proprio quel Tonino, o come si è soliti chiamarlo “don Tonino”, durante tutta
la sua missione, con parole suadenti, talora con venature poetiche, con un linguaggio accattivante e ad
effetto, ha avuto una principale occupazione: de-sacralizzare il sacro e mondanizzarlo,
abbassandolo sino quasi al limite della blasfemia. A tutti sono noti, ad es., i suoi famosi auguri “scomodi”
di Natale, in cui il nostro autore s’immaginava un Gesù deposto dalla Vergine,
non già in una mangiatoia, luogo caldo ed asciutto, come narrano i Vangeli, bensì sul letame (sì avete letto bene!), sugli escrementi cioè degli animali! Ora, quale madre, anche la più
sciagurata tra le donne, avrebbe mai posato suo figlio, appena nato, tra gli escrementi????
Figuriamoci Maria!!! Avrebbe mai potuto posare il Suo e Nostro Signore tra e sugli
escrementi di animali???? Una vera e propria offesa blasfema alla Santa Vergine
ed al Bambino Gesù! Come poteva la "Benedetta tra tutte le donne" trattare quel Figlio, il Figlio di Dio, in modo tanto irriguardoso e sacrilego, che nessun'altra donna avrebbe fatto???? Anche solo immaginarlo o anche solo dirlo è una pura blasfemia. Probabilmente, il nostro autore non conosceva cosa fosse la
mangiatoia, … e forse pensava che, volendo essere benevoli, Maria fosse una madre disattenta e poco
amorevole verso Suo Figlio, che era anche Suo Dio, e non si preoccupasse di
ripulire quel luogo da tutto ciò che potesse recare offesa al Creatore o che fosse poco accorta per ciò che era contrario alla purezza rituale tanto più alla presenza di Dio, che era Suo Figlio (non dimentichiamo che la Vergine Maria, come anche S. Giuseppe del resto, erano di religione giudaica: a quel tempo, l'unica vera religione!).
A tutti
poi sono note le espressioni infelici, vere e proprie offese per noi cattolici, arrecate direttamente alla Vergine. Ci ha sempre fatto sobbalzare
quel testo dedicato a Maria, donna feriale, nel quale si descrive la
Vergine ora come una ragazzotta molfettese, che si “avvampava” alla vista di
qualche giovanotto, ora come una donna, che, ormai in là con gli anni, recandosi
al pozzo a raccogliere acqua, si specchiava nell’acqua del pozzo, vedendo la
sua bellezza sfiorita ed anzi provando quasi invidia per la bellezza e la
freschezza delle ragazze, che andavano pur esse a raccogliere acqua. A parte le
blasfemie dell’autore verso la Santa Vergine per simili paragoni, accostamenti ed immagini - ancorché rese con espressioni poetiche e suggestive - e che un cattolico non può accettare, forse sfuggiva che Maria, essendo
immacolata e, quindi, preservata dalla colpa originale, non era soggetta alle
tentazioni interne come le altre creature umane, ma, come Gesù, solo a quelle esterne, non avendo quella inclinazione
al male, quella inclinazione alla concupiscenza (intesa come desiderio sfrenato dei beni sensibili) ed a ciò che offende Dio. Per cui, la Madonna, in quanto immacolata sin dal suo
concepimento, non poteva subire le conseguenze legate alla colpa dei
progenitori e, dunque, non poteva provare invidia (anche perché era umile) per
la bellezza delle fanciulle – più giovani di lei – o perché la sua, per l’avanzare
dell’età, si stava sfiorendo. O ancora non poteva “eccitarsi” per i giovanotti,
essendo protesa tutta verso Dio, sin dalla più tenera età, allorché, fu portata
al Tempio, volendo consacrare la sua esistenza al Suo Creatore (come ci confermano i Padri della Chiesa! v. qui). Sintomatica
di tale volontà furono le sue parole proferite all’Angelo, e registrate dall’evangelista
Luca: «Come è possibile? Non conosco uomo» (Lc. 1, 34).
Cfr. su questo ed altri errori, G. Martone, La verità su don Tonino Bello, in Caserta24ore, 24.4.2016; C. Siccardi, Don Tonino Bello sarà beato?, in Corrispondenza
romana, 27.2.2013; A. M. Apollonio, “Don Tonino” santo? Mons. Tonino
Bello, la mariologia feriale, e l'ermeneutica della discontinuità, in MiL, 16.1.2010. V. anche il
dossier su Bello, in Cooperatores
veritatis, 20.4.2013; La Madonna secondo Tonino Bello: una “desperate housewife”, ivi, 10.6.2011.
Di che
meravigliarsi dunque???
La Catholica
di oggi lo vede a giusto titolo come suo emblema.
Bux: la
povera Chiesa di don Tonino
di
Vito Palmiotti
Nel
25esimo anniversario della morte, papa Francesco renderà omaggio il 20 aprile a
monsignor Tonino Bello, il controverso ex vescovo di Molfetta, che aveva una
originale visione della Chiesa per i poveri.
«Come
diceva Madre Teresa di Calcutta, “la vera povertà è la non conoscenza di Dio”.
Solo in questo senso la Chiesa evangelizza davvero i poveri. C’è da chiedersi
se sia davvero questa l’eredità che ci ha lasciato monsignor Tonino Bello». Un
giudizio severo quello di don Nicola Bux sull’ex vescovo di Molfetta di cui
ricorre il 25esimo anniversario della morte. Occasione che il prossimo 20
aprile porterà in pellegrinaggio ad Alessano e Molfetta papa Francesco. Dopo
don Lorenzo Milani e don Primo Mazzolari, dunque, il Papa rende onore a
un’altra figura di prete e di vescovo controverso. Don Nicola Bux, teologo e
liturgista, è stato anche consultore della Congregazione per la Dottrina della
Fede durante il pontificato di Benedetto XVI.
Don
Bux, uno slogan che andava molto di moda al tempo di monsignor Bello era “la
Chiesa del grembiule”, intendendo con questo il servizio ai poveri. Ma c’è chi
ha osservato che se non c’è anche la stola, il servizio ai poveri diventa
ambiguo.
Gesù Cristo ha detto che bisogna evangelizzare i poveri, nel discorso programmatico della sinagoga di Nazareth. Ora, l’evangelizzazione cosa significa? Far conoscere la notizia nuova che Dio è venuto nel mondo, prendendo la nostra natura umana. Questo è il Vangelo. Altrimenti, perché la Chiesa dovrebbe occuparsi dei poveri, se non avesse a cuore la loro salvezza eterna? La Chiesa non è un’agenzia di beneficenza, una Organizzazione non Governativa (Ong), ma il Corpo di Cristo, un soggetto che è costituito, nelle sue membra, dai poveri, potremmo dire in gran parte - poveri che non sono da intendere solo in senso materiale, ma anche morale e spirituale - e li aiuta a entrare nel mistero di Cristo.
Gesù Cristo ha detto che bisogna evangelizzare i poveri, nel discorso programmatico della sinagoga di Nazareth. Ora, l’evangelizzazione cosa significa? Far conoscere la notizia nuova che Dio è venuto nel mondo, prendendo la nostra natura umana. Questo è il Vangelo. Altrimenti, perché la Chiesa dovrebbe occuparsi dei poveri, se non avesse a cuore la loro salvezza eterna? La Chiesa non è un’agenzia di beneficenza, una Organizzazione non Governativa (Ong), ma il Corpo di Cristo, un soggetto che è costituito, nelle sue membra, dai poveri, potremmo dire in gran parte - poveri che non sono da intendere solo in senso materiale, ma anche morale e spirituale - e li aiuta a entrare nel mistero di Cristo.
Questa
dimensione sembra però meno percepita e ancor meno praticata.
Ma
questa è l’autentica dimensione che ha visto nascere nella Chiesa una miriade
di santi della carità, che, nel momento stesso in cui si occupavano dei poveri,
li catechizzavano. Molfetta ha già un Servo di Dio, anzi Venerabile, spero, un
prossimo santo, che è Ambrogio Grittani, il quale scrive, tra l’altro, che i
poveri voleva portarli all’altare. Quindi non si preoccupava soltanto di
sfamarli col cibo materiale, ma innanzitutto della loro salvezza eterna, del
loro bisogno spirituale, perché, come diceva Madre Teresa di Calcutta, «la vera
povertà è la non conoscenza di Dio». Quindi, solo in questo senso la Chiesa
evangelizza davvero i poveri. Un vescovo come mons. Bello, o un sacerdote, o un
laico cristiano, non dovrebbe avere un’idea diversa. Quindi, perché accusare la
Chiesa di disinteresse - come si legge in non poche omelie di Bello - quando da
sempre si è occupata dei poveri; e proprio a Molfetta, dove c'era il “Boccone
del povero”, messo su da Don Grittani, l'opera San Giuseppe Labre;
proprio lì, nella sua diocesi, insieme ad altre opere caritative e sociali. Quindi,
perché prendersela con la Chiesa?
Però è
indubbio che don Tonino non faceva solo discorsi. Tra i poveri ci andava veramente, quando non li
portava da lui, verrebbe da dire ci viveva.
Spesso
suscitando polemiche.
Un
vescovo, un prete, un cristiano, oltre che aumentare l'azione caritativa - non
dimentichiamo che la Chiesa, in Italia e nel mondo, ha promosso le Caritas
- oltre che desiderare il moltiplicarsi delle opere di carità,
innanzitutto deve desiderare che l’uomo incontri Gesù Cristo ed entri nella
Chiesa, perché Cristo è venuto nel mondo per far conoscere Dio, per rivelare se
stesso come la via della salvezza e ha istituito la Chiesa come ambito di
salvezza dell’uomo. Il massimo aiuto da dare ai poveri, è portarli a Cristo;
ecco il senso dei sacramenti, che fanno entrare l’uomo nella Chiesa, nel Corpo
di Cristo, che è la Chiesa. Se un vescovo dimenticasse questo, avrebbe una
comprensione carente del suo ministero. Infatti, gli Apostoli istituirono i
diaconi perché si dedicassero alla carità, mentre riservarono per sé la
predicazione e i sacramenti.
Forse
si è ridotta la comprensione del termine “carità”.
Credo che si sia ridotto innanzitutto il senso dell’incarnazione, cioè la ragione per cui Dio si è fatto uomo. Di conseguenza, non conoscendo più questo, siamo caduti in una sorta di deismo, per cui basta credere in un Dio qualsiasi… Di conseguenza, non c’è motivo di ripetere l’invito di Cristo a convertirsi e a credere al Vangelo, per cui la parola “conversione”, è assente, nella predicazione, nelle conferenze teologiche, perché questo termine, come dire, andrebbe a toccare quella che è la condizione reale dell’uomo, chiedendogli davvero un mutamento di mentalità. Cristo ha inaugurato la sua missione pubblica invitando a convertirsi e credere al Vangelo: la Chiesa è stata istituita per questo.
Credo che si sia ridotto innanzitutto il senso dell’incarnazione, cioè la ragione per cui Dio si è fatto uomo. Di conseguenza, non conoscendo più questo, siamo caduti in una sorta di deismo, per cui basta credere in un Dio qualsiasi… Di conseguenza, non c’è motivo di ripetere l’invito di Cristo a convertirsi e a credere al Vangelo, per cui la parola “conversione”, è assente, nella predicazione, nelle conferenze teologiche, perché questo termine, come dire, andrebbe a toccare quella che è la condizione reale dell’uomo, chiedendogli davvero un mutamento di mentalità. Cristo ha inaugurato la sua missione pubblica invitando a convertirsi e credere al Vangelo: la Chiesa è stata istituita per questo.
E
quindi il termine carità come lo dobbiamo intendere?
Il termine “carità” va inteso, come lo ha sempre inteso la tradizione cattolica: l’amore verso Dio e l’amore verso il prossimo, che sono assolutamente inscindibili. Questa è la carità, che deve essere una virtù, cioè un abito permanente del cristiano. Siccome non sussiste l’amore verso il prossimo, se prima non c’è l’amore verso Dio, bisogna, appunto, amare Dio. L’amore di Dio implica dare del tempo a lui - ecco il senso del culto a Dio, nella preghiera a Dio, nella fede in Dio - e di conseguenza scaturisce l’attitudine, la virtù dell’amore verso il prossimo. E quindi, dal tempo che diamo a Dio, consegue anche la dedizione nostra al prossimo. Altrimenti la nostra attenzione al prossimo, si confonde col volontariato; ma il volontariato non è la carità. Il volontariato è l'azione a cui presiede la volontà, ma direbbe San Paolo: se anche dessi le mie sostanze ai poveri, ma non ho la carità...
Il termine “carità” va inteso, come lo ha sempre inteso la tradizione cattolica: l’amore verso Dio e l’amore verso il prossimo, che sono assolutamente inscindibili. Questa è la carità, che deve essere una virtù, cioè un abito permanente del cristiano. Siccome non sussiste l’amore verso il prossimo, se prima non c’è l’amore verso Dio, bisogna, appunto, amare Dio. L’amore di Dio implica dare del tempo a lui - ecco il senso del culto a Dio, nella preghiera a Dio, nella fede in Dio - e di conseguenza scaturisce l’attitudine, la virtù dell’amore verso il prossimo. E quindi, dal tempo che diamo a Dio, consegue anche la dedizione nostra al prossimo. Altrimenti la nostra attenzione al prossimo, si confonde col volontariato; ma il volontariato non è la carità. Il volontariato è l'azione a cui presiede la volontà, ma direbbe San Paolo: se anche dessi le mie sostanze ai poveri, ma non ho la carità...
Don
Tonino Bello parlava molto anche dei lontani da raggiungere…
I
lontani, la Chiesa gli ha sempre desiderato portarli vicini a sé, includerli
nella Chiesa; altrimenti oggi sarebbero quattro gatti. Il punto è che mons.
Bello, come i “cristiani del dissenso” degli anni '70, manifesta spesso una
insofferenza per la Chiesa, al punto – mi pare in qualche omelia – di
descriverla come matrigna e non madre. Eppure, la Chiesa ha sempre avuto
l’anelito missionario di raggiungere tutti i confini della terra, in obbedienza
al comando di Gesù, di andare in tutto il mondo e fare discepole tutte le
creature e battezzarle. Invece, si accusa la Chiesa di aver colonizzato i
popoli, di averli espropriati della loro cultura, e così via. Ma domandiamoci:
i lontani, oggi, si sono avvicinati alla Chiesa, con tutte le attività
pastorali che si promuovono? Un tempo si usava il termine, molto più
appropriato, di apostolato e si operava per riportare l’uomo nella casa, nella
casa sua che è la Chiesa del Dio Vivente. Così, era molto minore la lontananza.
Invece, con tutti i discorsi e le azioni pastorali, la società si è scristianizzata;
all’inizio del secolo scorso il drammaturgo inglese Thomas Eliot diceva:
”E’ l’umanità che ha abbandonato la Chiesa o è la Chiesa che ha abbandonato
l’umanità ?”. Quindi la Chiesa non può chiamarsi fuori: essa abbandona
l’umanità, non quando non compie le opere per i poveri, ma quando non annuncia
Dio ai poveri, intendendo per poveri, l’umanità che ha bisogno di Dio, che
cerca la Verità e ha bisogno di Dio, perché anche chi chiede il pane, a suo
modo cerca Dio; quindi la Chiesa non può dare solo il pane che perisce - ha
detto Gesù - ma deve dare il pane di vita eterna; perciò ho fatto l’esempio di
don Ambrogio Grittani.
Monsignor
Bello diffidava della parola identità e amava invece parlare di convivialità
delle differenze. Lui usa questa espressione anche per sostenere che
tra le Persone della Trinità vi sono differenze.
L'espressione
“convivialità delle differenze” è molto ambigua, facilmente viene scambiata per
l'indifferentismo, come dire “non è importante la differenza”.
Sono
molto scettico su espressioni del genere, non diverse da altre, come “teologia
della liberazione”, “teologia della speranza”, “teologia del
servizio” e così via.Teologia significa: “parlare di Dio” e,
aggiungerei, parlare con Dio; quindi, se si parla di Dio, si deve parlare del
suo servizio primigenio che è di aver creato l’uomo, di averlo salvato, e del
fatto che, nella misura in cui prendiamo coscienza di questo, dobbiamo compiere
il servizio della parola divina, dobbiamo far conoscere la parola che salva
l’uomo: questo è il vero servizio, sia attraverso le parole che attraverso i
gesti, cioè le opere di carità e di misericordia; sempre con l’obiettivo di portare
l’uomo al Signore perché l’uomo ha sete di Dio; finché non arriva a vedere il
suo volto, il suo cuore è inquieto, come scrive sant'Agostino, perché l’anima
sua non ha raggiunto la patria; ecco in che senso noi possiamo parlare di
felicità, altrimenti cadiamo nell’edonismo, nell’epicureismo insomma (godi che
tanto poi la vita finisce, devi morire), invece la felicità che noi annunciamo
è quella che viene dall’incontro con Cristo che dà il centuplo quaggiù e
l’eternità. Comunque l'espressione “convivialità delle differenze”, applicata
alla Trinità, è una vera e propria eresia. Probabilmente mons. Bello non ne era
consapevole. Per lui i misteri della fede erano solo un pretesto per parlare
dell'uomo.
Fonte:
LNBQ, 16.4.2018
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