Due giorni fa abbiamo celebrato la festa
di S. Gemma Galgani, di questa giovane mistica passionista, morta un Sabato
Santo a soli 25 anni, nel 1903, cioè 115 anni fa, e che il papa Pio XII
annoverò tra le Sante nel maggio 1940. Maestra di questa santa fu un’altra
santa, cioè la beata Elena Guerra, apostola dello Spirito Santo, beatificata da
Giovanni XXIII, pur ella morta, come l’allieva, un 11 aprile, ma undici anni
dopo.
In onore di S. Gemma, rilanciamo questo
contributo, pubblicato anche su Chiesa
e postconcilio.
Lapide apposta sulla facciata di casa Giannini, a Lucca |
Santa
Gemma, dalla passione nasce l'amore a Cristo
di Ermes Dovico
Centoquindici anni fa nasceva al cielo santa Gemma
Galgani e allora è quantomai opportuno ricordare in che cosa consistette
la santità di questa giovane straordinaria, così cara alla pietà cristiana e
altrettanto incomprensibile per chi non crede in Cristo crocifisso e risorto.
Centoquindici anni fa nasceva al cielo santa Gemma
Galgani (1878-1903) e allora è quantomai opportuno ricordare in che cosa
consistette la santità di questa giovane straordinaria, così cara alla pietà
cristiana e altrettanto incomprensibile per chi non crede in Cristo crocifisso
e risorto. In occasione della sua canonizzazione, nel 1940, Pio XII la definì
la “stella” del suo pontificato e la chiamò “viva immagine di Gesù Cristo”,
parole che ben riflettono i suoi 25 anni di vita terrena, segnati
dall’esperienza di un dolore e di un amore ineffabili, che sperimentò di pari
passo al crescere dei doni soprannaturali con cui Nostro Signore andava
arricchendola.
Il primo luogo in cui imparò ad amare Dio fu la famiglia, dove pure non le mancarono le sofferenze. Quinta di otto figli, Gemma
nacque a Capannori, nei pressi di Lucca, da un farmacista di nome Enrico e da
Aurelia Landi. Fu in particolare la madre a trasmetterle l’inclinazione ai beni
celesti, come Gemma ricordò nella sua Autobiografia, scritta
nel 1901 in obbedienza a padre Germano, un passionista che era diventato il suo
direttore spirituale e che lei prese a chiamare “babbo mio”. La madre le disse
che Gesù era morto in croce per amore degli uomini, le insegnò le prime devozioni
e preghiere, che la bimba apprese anche all’asilo delle sorelle Vallini, dalle
quali fu mandata a due anni e che al processo per la sua canonizzazione
diranno: “… mostrò sviluppato l’uso della ragione ed un’intelligenza precoce,
perché potemmo insegnarle subito le orazioni che duravano venticinque minuti
senza mai annoiarsi”. A cinque anni la bimba sapeva già leggere perfettamente
il breviario per l’ufficio della Madonna e dei defunti.
Presto arrivò la prima grande prova: la malattia della madre, costretta a letto dalla tisi. La piccola Gemma piangeva e pregava ogni
sera insieme alla mamma e da lei era stata preparata così: “Io sono malata – mi
ripeteva – e dovrò morire, ti dovrò lasciare; o se potessi condurti con me!
Verresti?”. Volendo sapere dove, si sentì dire: “In Paradiso, con Gesù, cogli
Angeli…”. Il 26 maggio 1885, giorno della sua Cresima, ebbe la prima esperienza
mistica: “Tutto ad un tratto una voce al cuore mi disse: Me la vuoi
dare a me la mamma? Sì – risposi – ma se mi prendete anche
me. No – mi ripeté la solita voce – dammela
volentieri la mamma tua. Tu per ora devi rimanere col babbo. Te la condurrò in
Cielo, sai? Me la dai volentieri? Fui costretta a rispondere
di sì”. La madre morì nel settembre dell’anno seguente mentre Gemma si trovava
nella casa degli zii materni, dove il padre l’aveva condotta due mesi dopo la
Cresima perché temeva di perdere per contagio anche la figlia, desiderosa di
stare sempre accanto a lei.
Alcuni mesi più tardi iniziò il periodo di preparazione alla Prima
Comunione, da lei descritto come bellissimo (“ero in
Paradiso”): era il 1887 e Gemma studiava catechismo dalle Oblate dello Spirito
Santo. Sentendo parlare del Crocifisso al modo di come gliene aveva parlato la
madre, espresse a una suora il desiderio di conoscere ogni cosa della Passione
di Gesù. Una sera, il racconto dei dolori provati da Nostro Signore suscitò una
tale compassione in Gemma che le venne all’istante una forte febbre. La domenica
della prima Eucaristia fu per lei il culmine della gioia: “Ciò che passò tra me
e Gesù in quel momento, non so esprimerlo. Gesù si fece sentire forte forte
alla misera anima mia. Capii in quel momento che le delizie del Cielo non sono
come quelle della terra. Mi sentii presa dal desiderio di render continua
quell’unione col mio Dio”.
Cresceva in pietà, noncurante delle derisioni di cui era oggetto anche da parte di alcuni familiari, come la sorella Angelina che
un giorno entrò con le compagne nella camera di Gemma per schernirla mentre era
in preghiera o del fratello Guido che bestemmiava in sua presenza per provocarla.
I dolori per la perdita degli affetti, inoltre, continuarono. Nel 1893 vide
morire di tubercolosi il fratello prediletto, Gino, un seminarista appena
diciottenne. Quattro anni più tardi rimase orfana pure del padre, che a causa
di una serie di disgrazie finanziarie lasciò i figli in povertà, tanto che i
creditori arrivarono a mettere le mani in tasca a Gemma per spogliarla di
quelle poche monete che aveva. Alla bellissima diciannovenne, presa in affido
dagli zii, non mancarono convenienti proposte di matrimonio, ma lei non ne
volle sapere: diceva che era “tutta di Gesù”. In quel periodo cadde gravemente
malata, soffrendo una paralisi alle gambe a cui si aggiunsero un intensissimo
dolore alla testa e la perdita dei capelli. Si sentì consolare dall’angelo
custode (“se Gesù ti affligge nel corpo, fa per sempre più purificarti nello
spirito. Sii buona”, le disse l’angelo, che le appariva da quando aveva 16
anni) e dallo stesso Gesù, ma ebbe comunque momenti di grande difficoltà
spirituale.
Nello scoramento per quella situazione fu tentata da Satana, che le promise di guarirla e di fare qualunque cosa per lei se gli
avesse dato retta. Quando Gemma stava per cedere, si ricordò di quanto aveva
letto nella biografia dell’allora venerabile Gabriele dell’Addolorata (1838-1862), il santo
passionista morto ancor più giovane di lei, e disse forte: “Prima l’anima e poi
il corpo!”. Gli assalti del demonio, che arrivò a lasciarle i segni fisici
delle sue vessazioni, proseguirono, ma la giovane iniziò a ricevere il conforto
diretto di san Gabriele. Questi le apparve più volte e pregava accanto a lei,
al punto che Gemma disse di sentirne il calore delle mani e il respiro sul
viso. “Sorella mia”, la chiamava il santo, che la aiutò ad accettare
definitivamente la via del Calvario. Seguirono il voto di verginità, che
desiderava fare da tempo, e l’inspiegabile guarigione dopo una novena a Margherita Maria Alacoque (1647-1690): con il suo
improvviso rialzarsi dal letto, Gemma meravigliò i medici e tutti i lucchesi,
che iniziarono a chiamarla “la ragazzina del miracolo”.
Ma le più grandi grazie dovevano ancora arrivare e si accompagnarono alla maturazione della sua spiritualità
passionista. Il Giovedì Santo del 1899 fece per la prima volta l’Ora Santa,
un’ora di orazione per tenere compagnia a Gesù agonizzante nel Getsemani: “Mi
trovai dinanzi a Gesù crocifisso. Versava sangue da tutte le parti”. Continuò a
fare l’Ora Santa ogni giovedì, con Gesù che le condivideva la tristezza mortale
provata nell’Orto a causa dei peccati di tutti gli uomini. Un giorno,
mostrandole le cinque piaghe aperte, le disse: “Vedi questa croce, queste
spine, questo Sangue? Sono tutte opere di amore, e di amore infinito. Vedi fino
a qual segno io ti ho amato? Mi vuoi amare davvero? Impara prima a soffrire. Il
soffrire insegna ad amare”.
Sta qui la santità di Gemma: capì la realtà del
peccato, soffrì per Gesù e con Gesù, tramutando il suo dolore in un amore
immenso per le anime che desiderava salvare, volendo strapparle al demonio e
consegnarle a Dio. Ecco perché visse tutte le esperienze della Passione, dal
sudore di sangue alla coronazione di spine, dalla crocifissione alla flagellazione
mistica, fino alle stimmate che le comparvero sulle mani, i piedi e il costato
l’8 giugno 1899, precedute da un’apparizione della Madonna, che chiamava “la
Mamma mia celeste”. Le stimmate, che la Chiesa ha riconosciuto essere
autentiche, si riaprivano ogni settimana alla sera del giovedì per richiudersi
dopo le tre del venerdì pomeriggio.
La sua ultima Passione, assistita amorevolmente dalla famiglia Giannini, la visse nel 1903,
quando si spense di tubercolosi alle 13:45 del Sabato Santo. Si era
addormentata poco prima sentendo suonare le campane di mezzogiorno, già
annuncianti (secondo l’uso del tempo) la Resurrezione. Da allora contempla
nella gloria eterna il Volto del suo Sposo, che le ha dato il centuplo già in
terra: “Soffro, vivo e muoio continuamente, la mia vita con tante altre vite
del mondo non la cambierei a nessun patto. Mai non sto ferma: vorrei volare,
parlare e a tutti vorrei gridare: Amate Gesù solo”.
Fonte: LNBQ, 11.4.2018
Nessun commento:
Posta un commento