Sante Messe in rito antico in Puglia

mercoledì 2 maggio 2018

La guerra religiosa del IV secolo e il nostro tempo

Nella festa di S. Atanasio di Alessandria, vescovo, confessore e dottore della Chiesa, rilanciamo questo contributo del prof. De Mattei, pubblicato pure in inglese dal consueto Rorate caeli.

Palma il Vecchio, Madonna col Bambino in trono e Santi (SS. Paolo, Gregorio Magno, Bernardino da Siena, Elisabetta d'Ungheria, Atanasio e altro santo), 1512, Cappella di S. Atanasio, Chiesa di S. Zaccaria, Venezia

Ambito veneto, SS. Agostino ed Atanasio, XVIII sec., Padova

Ambito oltralpino, S. Atanasio, XVIII sec., Udine


De Paulus, S. Atanasio, 1861, Terni

La guerra religiosa del IV secolo e il nostro tempo

di Roberto de Mattei


La Chiesa avanza nella storia sempre vincitrice, secondo i disegni imprevisti di Dio. I primi tre secoli di persecuzioni toccarono il loro culmine sotto l’Imperatore Diocleziano (284-305).
Tutto sembrava perduto. Lo scoraggiamento era una tentazione per molti cristiani e tra essi non mancò chi perse la fede. Ma chi perseverò ebbe l’immensa gioia, pochi anni dopo, di vedere sfolgorare la Croce di Cristo sui labari di Costantino nella battaglia di Saxa Rubra (312). Questa vittoria mutò il corso della storia. L’Editto di Milano-Nicomedia del 313, accordando libertà ai cristiani, capovolse il senatoconsulto di Nerone, che proclamava il Cristianesimo “super stitioillicita”.
La cristianizzazione pubblica della società ebbe inizio in un clima di entusiasmo e di fervore. Nel 325, il Concilio di Nicea sembrò segnare la rinascita dottrinale della Chiesa, con la condanna di Ario, che negava la divinità del Verbo. A Nicea, grazie all’apporto decisivo del diacono Atanasio (295-373), poi vescovo di Alessandria, fu definita la dottrina della “consustanzialità” di natura tra le tre persone della Santissima Trinità.
Negli anni successivi, tra la posizione ortodossa e quella degli eretici ariani si fece strada un “terzo partito”, quello dei “semi-ariani”, divisi a loro volta in varie correnti, che riconoscevano una certa analogia tra il Padre e il Figlio, ma negavano che egli fosse «generato, non creato, della stessa sostanza del Padre», come affermava il Credo di Nicea. Essi sostituirono alla parola omousios, che vuol dire “della stessa sostanza”, il termine omoiusios, che significa “di sostanza simile”.
Gli eretici, ariani e semiariani, avevano compreso che il loro successo sarebbe dipeso da due fattori: il primo era di rimanere all’interno della Chiesa; il secondo di ottenere l’appoggio del potere politico e dunque di Costantino, e poi dei suoi successori. Così, di fatto, avvenne. Una crisi interna alla Chiesa, mai fino allora conosciuta, si prolungò per oltre 60 anni.
Nessuno meglio del cardinale Newman la ha descritta, nel suo libro Gli ariani del IV secolo (1833), cogliendo tutte le sfumature dottrinali della questione. Uno studioso italiano, il prof. Claudio Pierantoni ha recentemente tracciato un illuminante parallelo tra la controversia ariana e quella attuale sull’esortazione apostolica Amoris laetitia (v. qui).
Ma, fin dal 1973, mons. Rudolf Graber (1903-1992), vescovo di Ratisbona, rievocando la figura di sant’Atanasio, nel XVI centenario della sua morte, paragonava la crisi del IV secolo a quella seguita al Concilio Vaticano II (Athanasius und die Kircheunserer Zeit: zuseinem 1600 Todestag, Kral 1973). Atanasio, per la sua fedeltà all’ortodossia, fu duramente perseguitato dai suoi stessi confratelli e per ben cinque volte, tra il 336 e il 366, fu costretto ad abbandonare la città di cui era vescovo, passando lunghi anni di esilio e di strenue lotte in difesa della fede. Due assemblee di vescovi, a Cesarea e a Tiro (334-335), lo condannarono per ribellione e fanatismo.
E nel 341, mentre un Concilio di cinquanta vescovi, a Roma, proclamava Atanasio innocente, il Concilio di Antiochia, cui parteciparono più di novanta vescovi, ratificò gli atti dei sinodi di Cesarea e di Tiro, e pose un ariano sulla cattedra episcopale di Atanasio.
Il successivo Concilio di Sardica, nel 343, terminò con una scissione: i Padri occidentali dichiararono illegale la deposizione di Atanasio e riconfermarono il Concilio di Nicea; quelli orientali condannarono non soltanto Atanasio, ma anche il papa Giulio I, poi canonizzato, che lo aveva appoggiato. Il Concilio di Sirmio, nel 351, cercò una via di mezzo tra ortodossia cattolica e arianesimo.
Nel Concilio di Arles del 353 i Padri, incluso il legato di Liberio, che era succeduto come Papa a san Giulio I, sottoscrissero una nuova condanna di Atanasio. I vescovi erano costretti a scegliere tra la condanna di Atanasio e l’esilio. San Paolino, vescovo di Treviri, fu quasi il solo che si batté per la fede nicena e fu esiliato in Frigia, dove morì in seguito ai maltrattamenti subiti dagli ariani.
Due anni dopo, nel Concilio di Milano (355), più di trecento vescovi dell’Occidente sottoscrissero la condanna di Atanasio e un altro padre ortodosso, sant’Ilario di Poitiers, fu bandito in Frigia per la sua intransigente fedeltà all’ortodossia.
Nel 357 papa Liberio, vinto dalle sofferenze dell’esilio e dalle insistenze dei suoi amici, ma anche spinto da “amor di pace”, sottoscrisse la formula semiariana di Sirmio e ruppe la comunione con sant’Atanasio, dichiarandolo separato dalla Chiesa romana, per l’uso del termine “consustanziale”, come ci testimoniano quattro lettere tramandateci da sant’Ilario (Manlio Simonetti, La crisi ariana del IV secolo, Institutum Patristicum Augustinianum, Roma 1975, pp. 235-236). Sotto il pontificato dello stesso Liberio, i concili di Rimini (359) e di Seleucia (359), che costituirono un unico grande Concilio rappresentante l’Occidente e l’Oriente, abbandonarono il termine “consustanziale” di Nicea e stabilirono un’equivoca “via media” tra gli ariani e sant’Atanasio. Sembrava che l’eresia dilagante avesse vinto nella Chiesa.
I concili di Seleucia e di Rimini oggi non sono annoverati dalla Chiesa tra gli otto concili ecumenici dell’antichità, ma contarono tuttavia fino a 560 vescovi, la quasi totalità dei Padri della Cristianità, ed “ecumenici” furono definiti dai contemporanei. Fu allora che san Girolamo coniò l’espressione secondo cui «il mondo gemette e si accorse con stupore di essere diventato ariano» (Dialogus ad versus Luciferianos, n. 19, in PL, 23, col. 171).
Ciò che è importante sottolineare è che non si trattò di una disputa dottrinale limitata a qualche teologo, né ad un semplice scontro tra vescovi in cui il Papa dovesse fungere da arbitro. Fu una guerra religiosa in cui furono coinvolti tutti i cristiani, dai Papi fino all’ultimo fedele. Nessuno si rinchiuse nel proprio bunker spirituale, nessuno rimase alla finestra, muto spettatore del dramma.
Tutti scesero a combattere nelle trincee, da una parte e dall’altra dello schieramento. Non era facile in quel momento capire se il proprio vescovo fosse ortodosso o no, ma il sensus fidei fu la bussola per orientarsi. Il cardinale Walter Brandmüller, parlando a Roma il 7 aprile 2018, ha ricordato come  «il “sensus fidei” agisce come una sorta di sistema immunitario spirituale, che fa riconoscere e rifiutare istintivamente ai fedeli qualsiasi errore. Su questo “sensus fidei” poggia dunque – a prescindere dalla promessa divina – anche l’infallibilità passiva della Chiesa, ovvero la certezza che la Chiesa, nella sua totalità, non potrà mai incorrere in una eresia».
Sant’Ilario scrive che durante la crisi ariana le orecchie dei fedeli che interpretavano in senso ortodosso le affermazioni equivoche di teologi semi-ariani erano più sante dei cuori dei sacerdoti. I cristiani che per tre secoli avevano resistito agli imperatori, ora resistevano ai propri Pastori, in qualche caso anche al Papa, colpevole, se non di aperta eresia, perlomeno di grave negligenza.
Mons. Graber ricorda le parole dell’Athanasius (1838) di Joseph von Görres (1776-1848), scritte al momento dell’arresto dell’arcivescovo di Colonia, ma anche oggi di straordinaria attualità: «La terra trema sotto i nostri piedi. Si può presagire con certezza che la Chiesa uscirà incolume da una tale rovina, ma nessuno può dire e congetturare chi e che cosa sopravvivrà. Noi, dunque, avvisando, raccomandando, alzando le mani, vorremmo impedire il male mostrandone i segni. Persino i giumenti che portano i falsi profeti, si impennano, arretrano e rinfacciano con linguaggio umano la loro ingiustizia a chi li batte e non vede la spada sguainata (da Dio), che chiude loro la strada (Numeri, XXII, 22-35). Operate dunque finché è giorno, perché di notte nessuno può operare. Non serve nulla l’aspettare: l’attesa non ha fatto altro che aggravare tutte le cose».
Vi sono momenti in cui un cattolico è obbligato a scegliere tra la codardia e l’eroismo, tra l’apostasia e la santità. Fu quanto accadde nel IV secolo, è quanto accade anche oggi.

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