Nella festa di S. Atanasio di Alessandria, vescovo, confessore e
dottore della Chiesa, rilanciamo questo contributo del prof. De Mattei,
pubblicato pure in inglese dal consueto Rorate
caeli.
Ambito veneto, SS. Agostino ed Atanasio, XVIII sec., Padova |
Ambito oltralpino, S. Atanasio, XVIII sec., Udine |
De Paulus, S. Atanasio, 1861, Terni |
La guerra religiosa del IV secolo e il nostro tempo
di Roberto de
Mattei
La Chiesa avanza
nella storia sempre vincitrice, secondo i disegni imprevisti di Dio. I primi
tre secoli di persecuzioni toccarono il loro culmine sotto l’Imperatore
Diocleziano (284-305).
Tutto sembrava
perduto. Lo scoraggiamento era una tentazione per molti cristiani e tra essi
non mancò chi perse la fede. Ma chi perseverò ebbe l’immensa gioia, pochi anni
dopo, di vedere sfolgorare la Croce di Cristo sui labari di Costantino nella
battaglia di Saxa Rubra (312). Questa vittoria mutò il corso della storia.
L’Editto di Milano-Nicomedia del 313, accordando libertà ai cristiani,
capovolse il senatoconsulto di Nerone, che proclamava il Cristianesimo “super
stitioillicita”.
La cristianizzazione
pubblica della società ebbe inizio in un clima di entusiasmo e di fervore. Nel
325, il Concilio di Nicea sembrò segnare la rinascita dottrinale della Chiesa,
con la condanna di Ario, che negava la divinità del Verbo. A Nicea, grazie
all’apporto decisivo del diacono Atanasio (295-373), poi vescovo di
Alessandria, fu definita la dottrina della “consustanzialità” di natura tra le
tre persone della Santissima Trinità.
Negli anni
successivi, tra la posizione ortodossa e quella degli eretici ariani si fece
strada un “terzo partito”, quello dei “semi-ariani”, divisi a loro volta in
varie correnti, che riconoscevano una certa analogia tra il Padre e il Figlio,
ma negavano che egli fosse «generato, non creato, della stessa sostanza del
Padre», come affermava il Credo di Nicea. Essi
sostituirono alla parola omousios, che vuol dire “della stessa
sostanza”, il termine omoiusios, che significa “di sostanza
simile”.
Gli eretici, ariani e
semiariani, avevano compreso che il loro successo sarebbe dipeso da due
fattori: il primo era di rimanere all’interno della Chiesa; il secondo di
ottenere l’appoggio del potere politico e dunque di Costantino, e poi dei suoi
successori. Così, di fatto, avvenne. Una crisi interna alla Chiesa, mai fino
allora conosciuta, si prolungò per oltre 60 anni.
Nessuno meglio del
cardinale Newman la ha descritta, nel suo libro Gli ariani del IV
secolo (1833), cogliendo tutte le sfumature dottrinali della
questione. Uno studioso italiano, il prof. Claudio Pierantoni ha recentemente
tracciato un illuminante parallelo tra la controversia ariana e quella attuale
sull’esortazione apostolica Amoris laetitia (v. qui).
Ma, fin dal 1973, mons.
Rudolf Graber (1903-1992), vescovo di Ratisbona, rievocando la figura di
sant’Atanasio, nel XVI centenario della sua morte, paragonava la crisi del IV
secolo a quella seguita al Concilio Vaticano II (Athanasius und die
Kircheunserer Zeit: zuseinem 1600 Todestag, Kral 1973). Atanasio, per la
sua fedeltà all’ortodossia, fu duramente perseguitato dai suoi stessi
confratelli e per ben cinque volte, tra il 336 e il 366, fu costretto ad
abbandonare la città di cui era vescovo, passando lunghi anni di esilio e di
strenue lotte in difesa della fede. Due assemblee di vescovi, a Cesarea e a
Tiro (334-335), lo condannarono per ribellione e fanatismo.
E nel 341, mentre un
Concilio di cinquanta vescovi, a Roma, proclamava Atanasio innocente, il
Concilio di Antiochia, cui parteciparono più di novanta vescovi, ratificò gli
atti dei sinodi di Cesarea e di Tiro, e pose un ariano sulla cattedra
episcopale di Atanasio.
Il successivo
Concilio di Sardica, nel 343, terminò con una scissione: i Padri occidentali
dichiararono illegale la deposizione di Atanasio e riconfermarono il Concilio
di Nicea; quelli orientali condannarono non soltanto Atanasio, ma anche il papa
Giulio I, poi canonizzato, che lo aveva appoggiato. Il Concilio di Sirmio, nel
351, cercò una via di mezzo tra ortodossia cattolica e arianesimo.
Nel Concilio di Arles
del 353 i Padri, incluso il legato di Liberio, che era succeduto come Papa a
san Giulio I, sottoscrissero una nuova condanna di Atanasio. I vescovi erano
costretti a scegliere tra la condanna di Atanasio e l’esilio. San Paolino,
vescovo di Treviri, fu quasi il solo che si batté per la fede nicena e fu
esiliato in Frigia, dove morì in seguito ai maltrattamenti subiti dagli ariani.
Due anni dopo, nel
Concilio di Milano (355), più di trecento vescovi dell’Occidente sottoscrissero
la condanna di Atanasio e un altro padre ortodosso, sant’Ilario di Poitiers, fu
bandito in Frigia per la sua intransigente fedeltà all’ortodossia.
Nel 357 papa Liberio,
vinto dalle sofferenze dell’esilio e dalle insistenze dei suoi amici, ma anche
spinto da “amor di pace”, sottoscrisse la formula semiariana di Sirmio e ruppe
la comunione con sant’Atanasio, dichiarandolo separato dalla Chiesa romana, per
l’uso del termine “consustanziale”, come ci testimoniano quattro lettere tramandateci
da sant’Ilario (Manlio Simonetti, La crisi ariana del IV secolo,
Institutum Patristicum Augustinianum, Roma 1975, pp. 235-236). Sotto il
pontificato dello stesso Liberio, i concili di Rimini (359) e di Seleucia
(359), che costituirono un unico grande Concilio rappresentante l’Occidente e
l’Oriente, abbandonarono il termine “consustanziale” di Nicea e stabilirono
un’equivoca “via media” tra gli ariani e sant’Atanasio. Sembrava che l’eresia
dilagante avesse vinto nella Chiesa.
I concili di Seleucia
e di Rimini oggi non sono annoverati dalla Chiesa tra gli otto concili
ecumenici dell’antichità, ma contarono tuttavia fino a 560 vescovi, la quasi
totalità dei Padri della Cristianità, ed “ecumenici” furono definiti dai
contemporanei. Fu allora che san Girolamo coniò l’espressione secondo cui «il
mondo gemette e si accorse con stupore di essere diventato ariano» (Dialogus
ad versus Luciferianos, n. 19, in PL, 23, col. 171).
Ciò che è importante
sottolineare è che non si trattò di una disputa dottrinale limitata a qualche
teologo, né ad un semplice scontro tra vescovi in cui il Papa dovesse fungere
da arbitro. Fu una guerra religiosa in cui furono coinvolti tutti i cristiani,
dai Papi fino all’ultimo fedele. Nessuno si rinchiuse nel proprio bunker
spirituale, nessuno rimase alla finestra, muto spettatore del dramma.
Tutti scesero a
combattere nelle trincee, da una parte e dall’altra dello schieramento. Non era
facile in quel momento capire se il proprio vescovo fosse ortodosso o no, ma
il sensus fidei fu la bussola per orientarsi. Il
cardinale Walter Brandmüller, parlando a Roma il 7 aprile 2018, ha ricordato
come «il “sensus fidei” agisce come una sorta di
sistema immunitario spirituale, che fa riconoscere e rifiutare istintivamente
ai fedeli qualsiasi errore. Su questo “sensus fidei” poggia
dunque – a prescindere dalla promessa divina – anche l’infallibilità passiva
della Chiesa, ovvero la certezza che la Chiesa, nella sua totalità, non potrà
mai incorrere in una eresia».
Sant’Ilario scrive
che durante la crisi ariana le orecchie dei fedeli che interpretavano in senso
ortodosso le affermazioni equivoche di teologi semi-ariani erano più sante dei
cuori dei sacerdoti. I cristiani che per tre secoli avevano resistito agli
imperatori, ora resistevano ai propri Pastori, in qualche caso anche al Papa,
colpevole, se non di aperta eresia, perlomeno di grave negligenza.
Mons. Graber ricorda
le parole dell’Athanasius (1838) di Joseph von Görres (1776-1848),
scritte al momento dell’arresto dell’arcivescovo di Colonia, ma anche oggi di
straordinaria attualità: «La terra trema sotto i nostri piedi. Si può
presagire con certezza che la Chiesa uscirà incolume da una tale rovina, ma
nessuno può dire e congetturare chi e che cosa sopravvivrà. Noi, dunque,
avvisando, raccomandando, alzando le mani, vorremmo impedire il male
mostrandone i segni. Persino i giumenti che portano i falsi profeti, si
impennano, arretrano e rinfacciano con linguaggio umano la loro ingiustizia a
chi li batte e non vede la spada sguainata (da Dio), che chiude loro la
strada (Numeri, XXII, 22-35). Operate dunque finché è
giorno, perché di notte nessuno può operare. Non serve nulla l’aspettare:
l’attesa non ha fatto altro che aggravare tutte le cose».
Vi sono momenti in
cui un cattolico è obbligato a scegliere tra la codardia e l’eroismo, tra
l’apostasia e la santità. Fu quanto accadde nel IV secolo, è quanto accade
anche oggi.
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