È stato pubblicato nei giorni scorsi il libro di P. Sapienza dedicato a papa Montini. In esso si riporta, integralmente, il verbale del colloquio tra Paolo VI e Mons. Marcel Lefebvre; un verbale scritto dall’allora mons. Benelli, futuro arcivescovo di Firenze.
Nel rileggere oggi quelle pagine emerge tutta la miopia di Montini ed al contempo la lungimiranza profetica addirittura di Mons. Lefebvre. Montini vedeva già all’epoca, addirittura, con grande immaginazione (o forse illusione, che spacciava per realtà) secondo noi, una ripresa della fede (sic!!!); Mons. Lefebvre la sua demolizione. Chi aveva ragione???
Beh …. è singolare che Paolo VI si fosse dimenticato che, giusto quattro anni prima, aveva, in un suo celebre discorso, affermato che il fumo di Satana era entrato da qualche fessura nella casa del Signore (Omelia, 29.6.1972). Non ci soffermiamo a verificare a chi fosse spettato suturare le fessure per evitare che il fumo penetrasse. Prendiamo, invece, solo atto che lo stesso Montini lamentasse il diffondersi del dubbio, dell’incertezza, dell’inquietudine, dell’insoddisfazione, della sfiducia nei confronti della Chiesa. E sol quattro anni dopo, Montini parlava di una ripresa … . Stava mentendo???
Ancora qualche annetto prima, nel 1969, sempre Paolo VI aveva parlato in termini altrettanto drammatici: «La Chiesa attraversa, oggi, un momento di inquietudine. Taluni si esercitano nell’autocritica, si direbbe perfino nell’autodemolizione. È come un rivolgimento interiore acuto e complesso, che nessuno si sarebbe atteso dopo il Concilio. Si pensava a una fioritura, a un’espansione serena dei concetti maturati nella grande assise conciliare» (Discorso ai membri del Seminario lombardo, 7.12.1968). Sembrava una fioritura, ma poi si è rivelato ben altro: fumo di Satana, come ammetterà candidamente Montini appena quattro anni dopo!
Dopo Montini, pure papa Wojtyla ebbe modo di dire la sua, esprimendosi in termini altrettanto allarmati. Quel Pontefice, in effetti, affermò: «Bisogna ammettere realisticamente e con profonda e sofferta sensibilità che i cristiani oggi in gran parte si sentono smarriti, confusi, perplessi e perfino delusi, si sono sparse a piene mani idee contrastanti con la Verità rivelata e da sempre insegnata; si sono propalate vere e proprie eresie, in campo dogmatico e morale, creando dubbi, confusioni, ribellioni, si è manomessa anche la Liturgia; immersi nel “relativismo” intellettuale e morale e perciò nel permissivismo, i cristiani sono tentati dall’ateismo, dall’agnosticismo, dall’illuminismo vagamente moralistico, da un cristianesimo sociologico, senza dogmi definiti e senza morale oggettiva» (Giovanni Paolo II, Allocuzione al Convegno Nazionale “Missioni al popolo per gli anni ‘80”, 6.2.1981, § 2): in altre parole l’apostasia dalla fede nella stessa Chiesa, visto, che interessa i cristiani! E già negli anni ‘80 del secolo scorso, dunque, Giovanni Paolo II parlava di confusione, smarrimento e delusione dei cristiani! Dov’era dunque la ripresa vista da Montini nel settembre 1976?
Chi si rivelò, dunque, autenticamente profetico? Montini o Lefebvre??? Chi dei due si rivelò lungimirante??? Lasciamo ai lettori il retto e scontato giudizio, essendo indiscussa la miopia di Paolo VI.
Noi rinviamo al libro di Quirino Maestrello, L’autodemolizione della Chiesa Cattolica, pubblicato a puntate, in esclusiva, su Radiospada (v. 5.9.2013; 12.9.2013; 18.9.2013; 26.9.2013; 3.10.2013; 10.10.2013; 17.10.2013; 24.10.2013; 31.10.2013; 7.11.2013; 14.11.2013; 21.11.2013; 8.11.2014). Nella festa di Maria SS., Aiuto dei cristiani, rilanciamo questo contributo sul soprariferito episodio tra Montini e Mons. Lefebvre.
L’incontro
tra Paolo VI e mons. Lefebvre: a noi posteri la facile sentenza
di Andrea
Maccabiani
È da pochi giorni rimbalzata sui blog la notizia lanciata da Vatican Insider sull’uscita del libro di padre
Leonardo Sapienza “La barca di Paolo”, in cui viene
riportato integralmente il verbale del colloquio avvenuto tra Paolo VI e mons.
Marcel Lefebvre. L’incontro avvenne a Castel Gandolfo, la residenza estiva dei
pontefici, l’11 settembre del 1976, presenti anche don Pasquale Macchi,
segretario particolare di papa Montini e don Giovanni Benelli, sostituto della
Segreteria di Stato e futuro arcivescovo di Firenze. È proprio quest’ultimo il
redattore delle otto cartelle che ora vengono a galla grazie alla pubblicazione
di padre Sapienza. L’incontro durò dalle 10.27 alle 11.05 ma in quei pochi
minuti è condensato un universo di problemi e argomenti che tengono banco
ancora oggi, a distanza di 42 anni. I temi trattati non sono certo una
sorpresa: ciò che fa effetto è sentire le voci di questi protagonisti
riecheggiare dal freddo verbale stilato da un funzionario di curia. Diciamocela
tutta: ciò che dice mons. Lefebrve è ciò che vorremmo dire anche noi se solo
avessimo possibilità di poter esprimerci con il Potere. Lui ha però avuto l’occasione
di farlo veramente, con coraggio e coerenza. A noi resta la soddisfazione di
vedere, dopo 42 anni, cosa nel frattempo è successo e – perché no – chi dei due
ha visto più lungo e forse aveva davvero ragione.
Ad oggi l’unico testo su cui confrontarsi è quello che Andrea Tornielli
riporta sul suo blog, con alcuni stralci parafrasati. Resta il “beneficio del
dubbio” sull’aderenza della sua versione in prosa con il documento vero e
proprio. Intanto analizziamone alcuni punti:
Mons. Lefebvre introduce subito un passaggio fondamentale di tutto questo
colloquio, ovvero il rapporto tra fede e obbedienza:
«La situazione nella Chiesa dopo il Concilio» è «tale che
noi non sappiamo più che cosa fare. Con tutti questi cambiamenti o noi
rischiamo di perdere la fede o noi diamo l’impressione di disobbedire. Io
vorrei mettermi in ginocchio e accettare tutto; ma non posso andare contro la
mia coscienza. Non sono io che ho creato un movimento» sono i fedeli «che non
accettano questa situazione. Io non sono il capo dei tradizionalisti… Io
mi comporto esattamente come facevo prima del Concilio. Io non posso
comprendere come tutto d’un tratto mi si condanni perché formo preti nell’obbedienza
della santa tradizione della santa Chiesa»
Paolo VI a tal proposito aveva così esordito:
«Lei ha giudicato il Papa come infedele alla Fede di cui
è supremo garante. Forse è questa la prima volta nella storia che ciò
accade. Lei ha detto al mondo intero che il Papa non ha la fede, che non
crede, che è modernista, e così via. Debbo, sì, essere umile. Ma Lei si trova
in una posizione terribile. Compie atti, davanti al mondo, di un’estrema
gravità…»
L’attenzione pare rivolta sul problema dell’autorità messa in discussione.
È vero che viene nominata la fede ma essa pare più funzionale al ruolo dell’autorità:
in pratica mettendo in discussione l’ortodossia del Pontefice viene minata la
sua potestà nella Chiesa. Questa sembrerebbe la prima preoccupazione: non la
questione in sé stessa ma in quanto funzionale al ruolo.
Lefebvre non manca di sottolineare la già grave situazione del clero e della
vita religiosa:
«Cerco di formare preti secondo la fede e nella fede. Quando
guardo gli altri Seminari, soffro terribilmente: situazioni inimmaginabili. E
poi: i religiosi che portano l’abito sono condannati o disprezzati dai Vescovi:
quelli invece che sono apprezzati, sono quelli che vivono una vita
secolarizzata, che si comportano come la gente del mondo»
Allorché Montini replica:
«Ma Noi non approviamo affatto questi comportamenti.
Tutti i giorni ci adoperiamo con grande fatica e con uguale tenacia ad
eliminare certi abusi, non conformi alla legge vigente della Chiesa, che è
quella del Concilio e della Tradizione. Se Lei avesse fatto lo sforzo di
vedere, di comprendere quello che fo e dico tutti i giorni, per assicurare alla
Chiesa la fedeltà all’ieri e la rispondenza all’oggi e sì domani, non sarebbe
arrivato al punto doloroso in cui si trova. Siamo i primi a deplorare gli
eccessi. Siamo i primi ed i più solleciti a cercare un rimedio. Ma questo
rimedio non può essere trovato in una sfida all’autorità della Chiesa. Gliel’ho
scritto ripetutamente. Lei non ha tenuto conto delle mie parole»
A noi posteri viene già da sorridere. Non siamo più nel ‘76, periodo
certamente caldo, ma nel 2018: quali rimedi si sono cercati o trovati? Dove
sono finiti i presunti sforzi di conservare la fedeltà all’ieri? Dove la
tenacia ad eliminare gli abusi? Mistero. Il bestiario clericale non ha fatto
altro che ingrossarsi di esempi e aneddoti che non riusciremmo nemmeno a
catalogare data la mole. Quando si pensa di aver toccato il fondo, ancora oggi
si resta sorpresi di quanto spazio ci sia ancora più giù. Si può anche toccare
con mano che non c’è mai stata alcuna repressione verso abusi o bizzarrie più o
meno gravi: quanti parroci sono rimossi dai loro incarichi per aver ballato in
chiesa durante la S. Messa oppure per aver benedetto coppie omosessuali? Quanti
privati del sostentamento dell’8 per 1000 per aver negato la Resurrezione di
Gesù Cristo oppure trasportare l’Eucarestia con un drone in chiesa? Quanti
hanno subito persecuzioni per aver negato i dogmi mariani o per essere stati
beccati con amanti di ambo i sessi? Quasi nessuno. Addirittura alcuni hanno
meritato per questo delle promozioni. Il lettore si chieda ora: quanti
sacerdoti sono stati allontanati dai loro incarichi per la veste talare, la
messa antica, l’altare ad orientem, la
predicazione della dottrina di sempre? Il rapporto è agghiacciante. Infatti ad
essere accusato davanti al pontefice che pur si gloriava di “lavorare con
tenacia ad eliminare certi abusi” era mons. Lefebvre, che in fondo si limitava
a fare ciò che avrebbe fatto un decennio prima e non i vescovi e sacerdoti
sessantottini. Viene il dubbio che i “certi abusi” che si voleva “eliminare”
fossero davvero quelli della chiesa fuori moda e non altri. Quei grandi impicci
alla modernità che rimanevano, come mons. Lefebvre, quali massi erratici di un
cammino che si voleva spianare alla svelta.
Evidentemente gli eccessi non sono stati efficacemente deplorati |
La risposta di papa Montini rimarca il solito punto: l’autorità. Elenca
rimedi e metodi (?) ma non intende includere tra questi l’attacco all’autorità.
Il connubio tra coscienza/fede e potere/autorità è assolutamente sterile: non
porta rimedio. Questo lo possiamo affermare con cognizione di causa a distanza
di decenni.
Proseguiamo.
Lefebvre rivolge al Papa «una preghiera. Non sarebbe possibile
prescrivere che i Vescovi accordino, nelle chiese, una cappella in cui la gente
possa pregare come prima del Concilio? Oggi si permette tutto a tutti: perché
non permettere qualcosa anche a noi?». Risponde Paolo VI: «Siamo una comunità. Non possiamo permettere autonomie di comportamento
alle varie parti».Lefebvre riprende: «Il
Concilio ammette il pluralismo. Chiediamo che tale principio si applichi anche
a noi. Se Vostra Santità lo facesse, tutto sarebbe risolto. Ci sarebbe aumento
di vocazioni. Gli aspiranti al sacerdozio vogliono essere formati nella pietà
vera. Vostra Santità ha nelle mani la soluzione del problema…»
Questo è un altro passaggio sconcertante. È possibile ammettere la buona
fede di Paolo VI quando dice “non possiamo permettere
autonomie di comportamento”? Non sapeva forse –lui così bene
informato, come ci ricorda anche lo zelante Tornielli – che già nel ‘76
ciascuna conferenza episcopale faceva di testa propria? Il catechismo olandese?
Le traduzioni arbitrarie del già problematico novus ordo? Le preghiere
eucaristiche che nascevano come funghi? Se si pensa che solo attendendosi
fedelmente al nuovo rito è possibile, seguendo le varie piste proposte,
celebrare decine di messe differenti l’una dall’altra, in centinaia di lingue
nazionali, dove si troverebbe la coesione e l’unità del comportamento? Facile:
come dice Lefebvre e conferma Montini, si può fare tutto tranne giocare a fare
la vecchia chiesa fuori moda col suo rito vetusto e polveroso. Col senno di poi
non paiono così lontane le lacrime versate da tanti vescovi all’uscita del Motu
Proprio Summorum Pontificum del 2007, alla notizia della
liberalizzazione dell’antico messale. Non pervenute invece le lacrime dei pur
numerosi vescovi pro-vita quando papa Bergoglio ha dimostrato in svariate
occasioni apprezzamenti verso la pluri-omicida Emma Bonino. Ortopedici e
fisioterapisti tastano il paziente cercando di toccare vari punti alla ricerca
di quello che fa più male. Qui non è difficile capire quale sia il punto che genera
dolore e quelli che invece non sono un problema. Infatti mons. Lefebvre
conclude sottolineando che papa Montini ha la possibilità di chiudere la
questione. Ma non lo fece. Continua anzi a difendere i lupi dicendo:
«È doveroso, in pari tempo, riconoscere che ci sono
segni, grazie al Concilio, di vigorosa ripresa spirituale fra i giovani, un
aumento di senso di responsabilità fra i fedeli, i sacerdoti, i vescovi».
Tipico esempio di “ripresa” |
Comecomecome? Non solo vede la ripresa
(pare di sentire Mario Monti o Matteo Renzi) ma addirittura la scorge vigorosa.
La vedeva davvero? Non lo sappiamo. Possiamo solo dire che non c’era allora e
non si intravede nemmeno adesso dopo 42 anni da quel giorno. Una cosa la vedeva
bene perché c’era davvero: l’attacco all’autorità. Così Paolo VI conclude il
colloquio:
«Faccia una dichiarazione
pubblica, con cui siano ritrattate le sue recenti dichiarazioni e i suoi
recenti comportamenti, di cui tutti hanno preso notizia come atti posti non per
edificare la Chiesa, ma per dividerla e farle del male.»
Sarebbe stato bello sentire rivolta
questa frase a qualche vescovo tedesco, a qualche vescovo teologo della
liberazione, a qualche generico professore di teologia. Invece niente. È stata
proprio rivolta a mons. Lefebvre. D’altronde poco prima Paolo VI aveva avuto
modo di dire che della crisi della Chiesa: «Ne soffriamo profondamente.
Lei ha contribuito ad aggravarla, con la sua solenne disubbidienza, colla sua
sfida aperta contro il Papa». Riecco il problema dell’autorità.
L’obbedienza cieca e assoluta messa in crisi. Se non fanno breccia le idee -che
non avrebbero potuto essere forti nemmeno se avessero voluto – deve convincere
il pugno di ferro. Lo vediamo anche oggi, dove si assiste ad un quotidiano
surreale silenzio su tutto ciò che si dice o si scrive Oltretevere. Si aspetta
sempre che la situazione precipiti. Se precipita si aspetta che peggiori. Se
peggiora si aspetta che si schianti. Si aspetterà forse la canonizzazione
di Paperino o Paperoga o l’elezione del primo cardinale donna-islamica-lesbica?
Anche fosse ci sarebbe silenzio, ne sono certo. Mons. Lefebvre ha parlato e
subito. Ha detto 42 anni fa le cose che vorremmo dire noi. Avrà sofferto, ma
questa soddisfazione l’ha avuta.
Nessun commento:
Posta un commento