Nell’anniversario
del m.p. Summorum Pontificum, pubblichiamo questo breve
saggio del prof. Vito Abbruzzi.
Il Summorum
a undici anni dalla promulgazione: una opportunità e una sfida
di Vito Abbruzzi
Il Summorum Pontificum ha compiuto
undici anni. Noi non vogliamo festeggiarlo (come su un blog qualche anno fa)
con un: «Buon compleanno, Summorum!», bensì con una riflessione – serena
e seria – su di esso, a partire dalla sua promulgazione. E l’occasione mi viene
da una discussione polemica sostenuta pochi giorni fa tra me e una persona molto
critica nei confronti del Motu Proprio in questione.
Questa persona, che pur indisponendomi, ho ringraziato
e ringrazio ancora per la sua franchezza, ha puntato il dito proprio contro il Summorum,
mentre io lo difendevo a spada tratta. Senza peli sulla lingua, lo ha definito
un “indultino” dato agli amanti dei cosiddetti “pizzi e merletti” di casa
nostra. In altre parole: un contentino per soddisfare le voglie estetiche dei
non pochi tradizionalisti fedeli a Roma, preoccupati più della forma che della
sostanza, dal momento che lo stesso Summorum non ne farebbe mistero, affermando
che «non pochi fedeli aderirono e continuano ad aderire con tanto amore ed
affetto alle antecedenti forme liturgiche, le quali avevano imbevuto così
profondamente la loro cultura e il loro spirito».
Confesso che a me quelle espressioni hanno dato molto
fastidio. Mi ha irritato quella riguardo i “pizzi e merletti”, che non mi
riguarda affatto; e soprattutto quella che riduce il Summorum a banale
indulto concesso per le ragioni dianzi esposte, quando, invece, rappresenta –
per me, per noi che vi abbiamo aderito – una pagina straordinaria del Magistero
della Chiesa. E proprio perché così, una opportunità e una sfida.
Una opportunità innanzitutto di crescita, di
riscoperta e riqualificazione del Mistero, in linea con la bimillenaria
tradizione della Chiesa, rappresentata dai Sommi Pontefici, i quali, secondo
quanto insegna Benedetto XVI nell’incipit della sua Lettera Apostolica sulla
“Liturgia romana anteriore alla riforma del 1970”, «fino ai nostri
giorni ebbero costantemente cura che la Chiesa di Cristo offrisse alla Divina
Maestà un culto degno, “a lode e gloria del Suo nome” ed “ad utilità di tutta
la sua Santa Chiesa”». E ciò per non vanificare le intenzioni di un documento «frutto
di lunghe riflessioni, di molteplici consultazioni e di preghiera» (Lettera
ai Vescovi di accompagnato al Motu Proprio); visto e considerato che, ancora
ad oggi, «notizie e giudizi fatti senza sufficiente informazione hanno creato
non poca confusione. Ci sono reazioni molto divergenti tra loro che vanno da
un’accettazione gioiosa ad un’opposizione dura, per un progetto il cui
contenuto in realtà non era conosciuto» (ivi).
Un’opposizione dura al Summorum viene fatta proprio a partire da una espressione utilizzata da esso, ritenuta da non pochi esperti di Diritto Canonico errata ed erronea: “Numquam abrogatam”: «È lecito celebrare il Sacrificio della Messa secondo l’edizione tipica del Messale Romano promulgato dal B. Giovanni XXIII nel 1962 e mai abrogato».
30 marzo 1987 : La polizia francese, su richiesta di Monsignor Louis-Paul-Armand Simonneaux, Vescovo di Versailles, irrompe nella chiesa parrocchiale di Saint Louis di Port Marly e strappa a viva forza dall'altare l'eroico padre Bruno de Blignières, che celebrava secondo il secolare rito della Chiesa Romana, e sgombera la chiesa a manganellate. Questa foto testimonia la persecuzione cui fu sottoposta la Messa Romana dopo il Concilio. Altro che "mai abrogata"! |
Ho interpellato al riguardo un amico avvocato e
canonista, il quale mi ha confermato, citandomi alcuni documenti importanti del
Magistero (ivi compresa una celebre allocuzione di papa Montini, v. qui)
e documenti della Curia romana, che non lasciano spazio ad equivoci: quel Messale
fu effettivamente abrogato (qui
e qui). Persino il compianto
Cardinale Giuseppe Siri di Genova, del resto, scrivendo ad un monaco inglese
che gli chiedeva come si dovesse comportare in campo liturgico nel dubbio tra
vecchio e nuovo rito, rispondeva: «Il potere col quale Pio V ha fissato la sua
riforma liturgica è lo stesso potere di Paolo VI. L’aver riformato l’Ordo
implica la sua sostituzione all’antico» (lettera del 6 settembre 1982). Ma allo
stesso tempo mi ha rassicurato – e di questo lo ringrazio – che il Summorum
non può essere liquidato come “indultino”! Ecco le sue parole: «Il Summorum
in realtà non è un indultino, ma una legge nuova che ha ripristinato il rito antico
in maniera generale e legittima. L’indulto era quello concesso da Giovanni
Paolo II», le cui norme sono «stabilite dai documenti anteriori “Quattuor
abhinc annos” e “Ecclesia Dei”»
(Summorum Pontificum, art. 1). È quanto leggiamo al n. 2 dell’Universae
Ecclesiae, l’Istruzione applicativa del Summorum: «Con tale Motu
Proprio il Sommo Pontefice Benedetto XVI
ha promulgato una legge universale per la Chiesa con l’intento di dare una nuova
normativa all’uso della Liturgia Romana in vigore nel 1962».
Di qui, allora, la sfida: soprattutto ai pizzi e
merletti, che pure a me, e a quelli come me, stanno sullo stomaco. Ma serve
una seria spiritualità liturgica, congiunta ad un’altrettanta pubblica e seria
testimonianza di vita, con presa di posizione nei confronti di determinate e
pur gravi vicende dei nostri giorni! Cosa che, con rammarico, noto manca a tutto
il tradizionalismo: fuori e dentro la Chiesa. Da anni porto avanti, inascoltato,
gli insegnamenti e la figura dell’Abate Caronti: insigne liturgista, autore dei
messalini più celebri editi fino alla vigilia dell’entrata in vigore del Messale
di Paolo VI, nonché redattore della Mediator Dei. Insomma, un vero
campione. Uno che della “pietà liturgica” ha fatto una missione, per tutta la
vita (anche in punto di morte). Ma, ahimè!, caduto in disgrazia, perché, già da
vivo, ritenuto antiquato e fuori moda. Non così il suo antagonista principale:
Odo Casel, superesaltato dagli stessi benedettini, che ravvisano in lui – a torto
– il diretto erede e continuatore del padre del Movimento Liturgico:
l’abate dom Prosper Guéranger.
Quando, invece, lo sarebbe, a giusta ragione, il Caronti. E con lui l’altro gigante,
sempre espressione dell’inclito ordine benedettino: il beato Ildefonso
Schuster. Noi come Scuola Ecclesia Mater ne raccogliamo l’eredità lasciataci
dall’uno e dall’altro a proposito del modus celebrandi: «l’azione liturgica sia celebrata con solennità,
con ordine, e con decoro» (Caronti), pensando innanzitutto alla “edificazione
dei presenti”, come annota lo stesso Schuster: «Ho ricordato l’edificazione dei
presenti e studiatamente ho evitato la parola: fedeli. Spesso, infatti, nelle
chiese delle abbazie benedettine assistono dei protestanti, degli ebrei, delle
persone senza alcuna religione. L’esperienza dimostra che un coro ben eseguito,
delle funzioni celebrate con ordine, con maestà, con devota pompa possono fare
su quelle anime una profonda impressione».
E ne raccogliamo l’eredità ben consci, insieme a Mons.
Bux, che «abbiamo smarrito nell’approccio alla liturgia l’essenziale,
perdendoci dietro tecnicismi estenuanti ed estetismi evanescenti».
Il Summorum, allora, sia un terreno non di
scontro, bensì di dialogo e di riconciliazione: ad intra ma anche ad extra
della Chiesa, sereni del fatto che «la Lettera Apostolica, Summorum
Pontificum Motu Proprio data, del Sommo Pontefice Benedetto XVI
del 7 luglio 2007, entrata in vigore il 14 settembre 2007, ha reso più
accessibile alla Chiesa universale la ricchezza della Liturgia Romana» (Universae
Ecclesiae, n. 1).
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