Pubblichiamo volentieri questo simpatico
contributo del nostro amico Franco Parresio; articolo quanto mai attuale anche
a seguito della recente polemica sollevata dall’Istruzione vaticana Ecclesiae
Sponsae Imago, in special modo dal § 88, che renderebbe, secondo fondate
voci critiche, la verginità … non più necessaria, o meglio non più requisito
necessario per accedere all’Ordo virginum (cfr. M. Gatti, "La
verginità non è necessaria". E le Spose di Cristo insorgono, in Il
Giornale, 17.7.2018, nonché in Corrispondenza
romana, 20.7.2018; O. Rudgard, Consecrated virgins need not be
virgins, says Vatican, in The
Telegraph, July 16th, 2018; V. Ecclesiae Sponsae Imago,
in Consecrated
Virginity).
Buona lettura, dunque.
Edmund Blair Leighton, Maternity, 1917, collezione privata |
La vita
consacrata sottostimata: autolesionismo dello stesso cattolicesimo
di Franco Parresio
Da quando Bergoglio,
incontrando più di un anno fa (sabato 28
gennaio 2017 nella Sala Clementina) i rappresentanti degli
istituti di vita consacrata e delle società di vita apostolica, riuniti in
Sessione Plenaria per riflettere sul tema della fedeltà e degli abbandoni (v. qui),
ha parlato di vera e propria «“emorragia” che indebolisce la vita consacrata e
la vita stessa della Chiesa», si è visto un fiorire di articoli su questo
scottante tema; uno è quello del teologo Giulio Meiattini, benedettino della
Scala di Noci, dal titolo C’è posto per la vita consacrata? La
debolezza dell’ecclesiologia recente, pubblicato su Apulia
Teologica. Rivista della Facoltà Teologica Pugliese (anno 2,
luglio-dicembre 2017, pp. 435-464).
Luise Max-Ehrler, The Latest Trends, 1920 |
È proprio il Meiattini ad usare le due
espressioni forti che fanno da titolo a questo articolo, incolpando «la
teologia corrente (che si insegna e che si studia)», che, con la «svolta
antropologica» e la «conversione pastorale», ha finito per sottostimare «uno
stile di vita che “rinuncia” in vista di un trascendente non verificabile» (ivi,
p. 436).
«Ora, se è vero che “l’attacco specifico ai
religiosi”, manifestatosi dalla rivoluzione francese fino alle leggi di
secolarizzazione dell’Ottocento e alle persecuzioni comuniste nel secolo
scorso, “manifesta che la loro vita è una caratteristica vitale del
cattolicesimo”, che appunto si voleva colpire in loro, e se è vero che
“l’ecologia cattolica subisce una vera crisi per il disboscamento della
foresta, rappresentata dalle comunità religiose”, allora c’è da domandarsi se
il silenzio, la sottovalutazione o il raro e modesto apprezzamento che la vita
religiosa ha ricevuto nella più qualificata riflessione ecclesiologica
post-conciliare non manifestino, in modo sotterraneo, una forma di
autolesionismo dello stesso cattolicesimo. […] Tacere sulla vita consacrata o
presentarla in modo insufficiente e marginale è un vulnus per
l’intera Chiesa. Direi perciò, e ancora di più, che non si tratta neppure
semplicemente di una debolezza dell’ecclesiologia attuale, ma
di un segno di debolezza dell’ecclesiologia in quanto tale» (ivi,
pp. 460-461).
Alla luce di
quest’ultima battuta mi è sorto un simpatico sospetto: che il buon Don Giulio
abbia letto il mio articolo (pubblicato qualche mese prima del suo) su questo
blog dal titolo La crisi del tomismo e il “pensiero debole” a proposito
della emorragia di religiosi (v. qui),
nel quale – guarda caso – lo cito. Ma il sospetto diventa meno simpatico
giacché anche la sua analisi appare come il goffo tentativo autoassolutorio,
rifuggendo la scomoda autocritica e puntando il dito contro la
«neo-manualistica ecclesiologica post-conciliare, dalla quale risulta un
prevalente oblio della vita religiosa e/o consacrata» (Meiattini, op.
cit., p. 437). Mi verrebbe da chiedergli: quanto gli stessi ordini
religiosi sono stati e sono capaci di autopromuoversi? Poco o nulla, e per giunta
male… molto male! E questo dal momento che i religiosi si comportano da
secolari, anzi di più, con una mentalità tutta mondana (vedi l’abbigliamento
firmato indossato da molti di loro). Un amico mi riferiva scandalizzato di un
giovanissimo frate con i sopraccigli depilati secondo la moda corrente. Io
stesso ho visto un padre cappuccino (non più giovane), come questo frate, in
più vestito con jeans un po’ laceri, ma nuovi e, per giunta, costosi, perché
così si usa oggi. Alla faccia della povertà vera e anche di quella evangelica!
Pietro Aldi, Fra Filippo Lippi corteggia la sua modella Lucrezia Buti, 1879, Kelvingrove Art Gallery and Museum, Glasgow |
Questi religiosi si
salvano solo perché appaiano simpatici agli occhi di quelli che affollano
(oramai pochi) le sagrestie. Ma non incantano nessuno!
Ma il problema, che
sembrerebbe riguardare più gli ordini di vita attiva, riguarda pure quelli di
vita contemplativa, anch’essi oramai seriamente in crisi di identità, tutt’una
con la crisi di vocazioni: tanto in entrata, tanto in uscita. Soprattutto quest’ultima,
significata dalla sopradetta emorragia di religiosi, che ogni
anno, in modo impressionante, abbandonano la vita consacrata.
Che cosa li induce
all’abbandono? La durezza della vita religiosa? O non piuttosto la mollezza e
la rilassatezza con la quale molti conventi e monasteri vivono la propria
regola?
Qui non voglio cavalcare
la polemica sollevata circa una ventina di anni fa in Via col vento in
Vaticano – libro scandalo pubblicato da un gruppo di ex officiali di
Curia con lo pseudonimo de “I Millenari” (v. qui)
–, in cui un capitolo (il diciannovesimo) mette sullo stesso piano «potere,
vegetanza e celibato», ma far riflettere sul fatto che c’è poco da scherzare…
quantunque si cerchi di mascherare il tutto col prenderci per mano,
abbracciarci e baciarci come vecchi amici (pur conoscendoci molto
superficialmente!), e – perché no!? – banchettando ad ogni occasione, nel
rispetto della regola oramai consolidata che tutto debba finire a tarallucci e
vino. Tanto alla fine ciò che conta è: vogliamoci bene!
Concordo con Meiattini
quando scrive: «Il capitolo VI della Lumen gentium e il
decreto Perfectae caritatis è come se non fossero mai stati
scritti» (Meiattini, op. cit., p. 438); ma mi chiedo, e gli chiedo:
solo colpa del post Concilio con «opere di ecclesiologia che
tacciono del tutto sull’argomento» (ivi, p. 437)? O non già del Concilio
stesso, a più di cinquant’anni dalla sua conclusione ricordato ancora con l’incipit della Gaudium
et spes: «Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini
d’oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le
gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo»? Una
frase, questa, ripetuta non molti giorni fa dall’arcivescovo di Taranto,
intervenuto a Il libro possibile di Polignano a Mare (BA).
Quella frase – per come è da sempre enfatizzata – costituisce, secondo me, il
vero “vulnus per l’intera Chiesa”! E ciò già all’indomani della
conclusione del Concilio. Una prova? L’inchiesta, prima e dopo il Concilio, di
Sergio Zavoli sulla vita claustrale femminile. In particolare ricordo
l’intervista a una giovanissima monaca carmelitana, che, da dietro la grata,
parlava di piena realizzazione di sé, nonostante le signorili provocazioni di
Zavoli; la stessa, qualche anno dopo la conclusione del Concilio, contattò il
nostro giornalista, per metterlo al corrente della sua nuova scelta di vita:
la ex monaca, non più giovanissima, appariva a colori e
vestita con abiti secolari, più disinvolta e sicura di sé. Aveva lasciato il
carmelo insieme ad una consorella, per condurre con questa, da consacrata
laica, una vita nel mondo. Oggi, con ogni probabilità, sarebbe rimasta monaca,
dal momento che non è più il mondo a cercare i conventi, bensì il contrario. La
dimostrazione qualche giorno fa di una carmelitana, autorizzata dalla sua
superiora a uscire dalla rigida clausura per… portate il proprio cane di razza
ad un concorso di bellezza. Ci mancava la suora cinofila! Forse per dirci
ancora una volta che suora o frate è bello? Certo, se si è nel mondo e del
mondo! Un mondo che applaude, rimanendo indifferente al messaggio cristiano
della salvezza.
Allora come adesso è
quell’incipit dianzi ricordato della Gaudium et spes a
dover essere seriamente interrogato. Perché da esso dipende tutto il resto, in
primis l’interpretazione in chiave mondanistica delle stesse costituzioni
conciliari, tra cui spicca la Sacrosanctum Concilium, dove la
troppa comprensibilità della Liturgia ha portato questa a svuotarsi della cosa
più seria e più importante per l’uomo: il Sacro. E questo Don Giulio dovrebbe
capirlo, insegnando al Sant’Anselmo, dove – ho motivi di credere – sia stato
confezionata proprio la Costituzione Conciliare sulla Sacra Liturgia.
La riforma liturgica parla benedettino! Lo sosteneva nelle sue lezioni un noto
professore di Teologia liturgica, formatosi al Sant’Anselmo negli anni
immediatamente dopo il Concilio, non perdendo occasione di esaltare quello
ritenuto il padre della riforma liturgica: Odo Casel. Ma, allora, perché oggi
tra i più agonizzanti ci sono proprio i monasteri benedettini che hanno
propugnato la riforma liturgica, a differenza di quelli che, invece, non vi
hanno aderito e che sono addirittura in crescita? Perchè la loro è innanzitutto
una crisi di identità! Lo dimostrano le sperimentazioni sincretistiche col
buddismo tibetano iniziate dal trappista Thomas Merton cinquant’anni fa e
portate avanti sino ai giorni nostri (si sente sovente parlare di monasteri
benedettini che proprongono corsi di esercizi spirituali con tecniche yoga).
Senza tener minimamente conto che il buddismo è religiosamente ateo. È chiaro
che un giovane, seriamente intenzionato ma scarsamente motivato dai diretti
superiori e confratelli, resiste poco in monastero. Tanto vale essere un buon
laico piuttosto che un cattivo religioso… sebbene anche da buon laico non è
affatto semplice vivere oggigiorno il proprio cristianesimo. Ma è importante
che l’inclito Ordine Benedettino (come è chiamato nell’incipit della Mediator
Dei) torni a risplendere dell’originaria bellezza, amando la liturgia
gregoriana, che trova la sua più alta espressione nell’usus antiquior del
Rito Romano, sull’esempio di quei pochi monasteri in decisa crescita perché lo
hanno abbracciato… a differenza di tutti gli altri che, invece, pur
storicamente importanti e prestigiosi, rischiano di chiudere, rimanendo
tuttavia irremovibili sulla assoluta bontà della riforma liturgica, dichiarata
dal magistero bergogliano “irreversibile”… esattamente come il coma.
Intanto stiamo a vedere.
Chi vivrà vedrà.
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