Durante la c.d. veglia del vescovo di Roma con i giovani al Circo Massimo, lo stesso è tornato – con una domanda evidentemente preparata ad hoc (non certo spontanea!) su uno dei suoi temi cult: vale a dire la questione della traduzione del Pater noster, “non ci indurre in tentazione”.
Sul tema abbiamo già espresso il nostro punto di vista, ponendo in luce come il senso di quelle parole siano state rettamente dalla Chiesa e come la stessa, per rispetto alla sacralità del testo, abbia evitato, nelle sue traduzioni liturgiche, di sostituirle con improbabili ermeneutiche dell’interprete di turno. Del resto, diversi autori di ben altro ed elevato lignaggio e cultura (si pensi solo all’Aquinate) hanno avuto modo di commentare quelle parole del Signore (cfr. G. Zoroddu, San Tommaso ci spiega il “non ci indurre in tentazione”, in Radiospada, 10.12.2017, nonché in Il Timone, 11.12.2017 ed in MiL, 21.12.2017; A. Morselli, Non abbandonarli alla tentazione di cambiare il “Padre nostro”, ivi, 11.12.2017).
Rilanciamo, quindi, volentieri a chiarimento, nella festa dei SS. Martiri di Otranto e Vigilia dell'Assunzione della B.V.M., questo contributo di don Nicola Bux.
SULLA CORRETTA TRADUZIONE
Padre nostro, l’importanza della tentazione
di don Nicola Bux
Durante la veglia di sabato
del Papa con i giovani, Francesco è tornato a parlare dell’annosa questione
della traduzione corretta del Padre Nostro nel passaggio “Non ci indurre in
tentazione”. Ma cosa dice la Scrittura? Dio non può abbandonarci alla tentazione,
ma ci può indurre ovvero tentare in Colui nel quale, per il battesimo, siamo
stati trasfigurati e quindi possiamo vincere.
Durante la veglia di sabato
del Papa con i giovani, Francesco è tornato a parlare dell’annosa questione
della traduzione corretta del Padre Nostro nel passaggio
“Non ci indurre in tentazione”. Il Papa ha detto: “Nella preghiera del
Padre Nostro c’è una richiesta: ‘Non ci indurre in tentazione’. Questa
traduzione italiana recentemente è stata cambiata, perché poteva suonare
equivoca. Può Dio Padre ‘indurci’ in tentazione? Può ingannare i suoi figli? -
ha chiesto - Certo che no. Infatti una traduzione più appropriata è: ‘Non
abbandonarci alla tentazione’. Trattienici dal fare il male, liberaci dai pensieri
cattivi....A volte le parole, anche se parlano di Dio, tradiscono il suo
messaggio d’amore. A volte siamo noi a tradire il Vangelo”.
Fin qui il Papa. Come
stanno le cose? In merito al “non ci indurre in tentazione”, vanno
menzionati innanzitutto tre brani:
“Ecco io rendo ostinato
il cuore degli Egiziani, così che entrino dietro
di loro e io dimostri la mia gloria sul faraone...”(Es
14,17). Qui è il Signore che induce all’ostinazione; ”Ecco,dunque,
il Signore ha messo uno spirito di menzogna sulla bocca di tutti questi tuoi
profeti, perché il Signore ha decretato la tua rovina...”(1 Re 22,23). Qui
è il Signore che induce alla mistificazione; ”E per questo Dio invia
loro una potenza d’inganno perché essi credano alla menzogna e così siano
condannati tutti quelli che non hanno creduto alla verità, ma hanno
acconsentito all’iniquità” (2 Tess 2,11-12). Qui è il Signore che induce
all’inganno.
Nella I domenica di
Quaresima, la “domenica delle tentazioni di Gesù” la Liturgia
Horarum secondo il Novus Ordo, propone la lettura di sant’Agostino
a commento del salmo 60, di cui riportiamo il brano seguente: ”...la
nostra vita in questo pellegrinaggio non può essere esente da prove e il nostro
progresso si compie attraverso la tentazione. Nessuno può conoscere se stesso
se non è tentato, né può essere coronato senza aver vinto, né può vincere senza
combattere; ma il combattimento suppone un nemico, una prova.
Pertanto si trova in angoscia colui che grida dai confini della terra, ma tuttavia non viene abbandonato. Poiché il Signore volle prefigurare noi, che siamo il suo corpo mistico, nelle vicende del suo corpo reale, nel quale egli morì, risuscitò e salì al cielo. In tal modo anche le membra possono sperare di giungere là dove il Capo le ha precedute.
Dunque egli ci ha come trasfigurati in sé, quando volle essere tentato da Satana. Leggevamo ora nel vangelo che il Signore Gesù era tentato dal diavolo nel deserto. Precisamente Cristo fu tentato dal diavolo, ma in Cristo eri tentato anche tu. Perché Cristo prese da te la sua carne, ma da sé la tua salvezza, da te la morte, da sé la tua vita, da te l’umiliazione, da sé la tua gloria, dunque perse da te la sua tentazione, da sé la tua vittoria. Se siamo stati tentati in lui, sarà proprio in lui che vinceremo il diavolo. Tu fermi la tua attenzione al fatto che Cristo fu tentato; perché non consideri che egli ha anche vinto? Fosti tu ad essere tentato in lui, ma riconosci anche che in lui tu sei vincitore. Egli avrebbe potuto tenere lontano da sé il diavolo; ma, se non si fosse lasciato tentare, non ti avrebbe insegnato a vincere, quando sei tentato” (Commento al Salmo 60,3; CCL 39,766).
Pertanto si trova in angoscia colui che grida dai confini della terra, ma tuttavia non viene abbandonato. Poiché il Signore volle prefigurare noi, che siamo il suo corpo mistico, nelle vicende del suo corpo reale, nel quale egli morì, risuscitò e salì al cielo. In tal modo anche le membra possono sperare di giungere là dove il Capo le ha precedute.
Dunque egli ci ha come trasfigurati in sé, quando volle essere tentato da Satana. Leggevamo ora nel vangelo che il Signore Gesù era tentato dal diavolo nel deserto. Precisamente Cristo fu tentato dal diavolo, ma in Cristo eri tentato anche tu. Perché Cristo prese da te la sua carne, ma da sé la tua salvezza, da te la morte, da sé la tua vita, da te l’umiliazione, da sé la tua gloria, dunque perse da te la sua tentazione, da sé la tua vittoria. Se siamo stati tentati in lui, sarà proprio in lui che vinceremo il diavolo. Tu fermi la tua attenzione al fatto che Cristo fu tentato; perché non consideri che egli ha anche vinto? Fosti tu ad essere tentato in lui, ma riconosci anche che in lui tu sei vincitore. Egli avrebbe potuto tenere lontano da sé il diavolo; ma, se non si fosse lasciato tentare, non ti avrebbe insegnato a vincere, quando sei tentato” (Commento al Salmo 60,3; CCL 39,766).
Pertanto, Dio non può
abbandonarci alla tentazione, ma ci può indurre ovvero
tentare in Colui nel quale, per il battesimo, siamo stati trasfigurati e quindi
possiamo vincere.
San Tommaso D’Aquino, nel
suo Commento al Padre nostro, dopo aver premesso che Dio ‘tenta’
l’uomo per saggiarne le virtù, e che essere indotti in tentazione vuol dire
consentire ad essa, scrive: “In questa (domanda) Cristo ci insegna a
chiedere di poterli evitare (i peccati), ossia di non essere indotti nella
tentazione per la quale scivoliamo nel peccato,e ci fa dire: ‘Non ci indurre in
tentazione’.”[...].
L’Aquinate poi, chiarito
che la carne, il diavolo e il mondo tentano l’uomo al male, annota
che la tentazione si vince con l’aiuto di Dio, in quale modo? “Cristo ci
insegna a chiedere non di non essere tentati, ma di non essere indotti nella
tentazione”[...]. Infine, si chiede: “Ma forse Dio induce al male dal momento
che ci fa dire: ‘non ci indurre in tentazione’? Rispondo che si dice che Dio
induce al male nel senso che lo permette, in quanto, cioè, a causa dei suoi
molti peccati precedenti, sottrae all’uomo la sua grazia, tolta la quale, egli
scivola nel peccato. Per questo noi diciamo col salmista: ‘Non abbandonarmi
quando declinano le mie forze’ (Sal 71[70],9). E Dio sostiene l’uomo, perché
non cada in tentazione, mediante il fervore della carità che, per quanto sia
poca, è sufficiente a preservarci da qualsiasi peccato”.
A questo si deve aggiungere
anche il commento al Padre nostro di Ratzinger, dalla
trilogia delle sue opere.
Quindi, secondo questi
autori conserva tutto il suo senso la petizione “et ne nos
inducas in temptationem”: il testo latino corrisponde esattamente all’originale
greco del Nuovo Testamento. Il punto focale è prendere in considerazione
tutta la Rivelazione biblica, nella quale Dio si manifesta in modo “cattolico”:
etimologicamente, secondo la globalità dei fattori, che caratterizzano la
vicenda umana e che non sfuggono in alcun modo a Lui, se è vero il detto: non
muove foglia che Dio non voglia.
Del resto, non dice Giobbe: se da
Dio abbiamo accettato il bene, perché non dovremmo accettare il male? Dio ha dato,
Dio ha tolto: sia benedetto il nome del Signore. E Gesù: tutti i capelli del
vostro capo sono contati. Per questo, Dio è cattolico, come disse von
Balthasar.
- PADRE NOSTRO, UNA TRADUZIONE TANTI
SIGNIFICATI, di Riccardo Barile
- IL PAPA, TOLKIEN E IL PADRE NOSTRO, di
John R. Holmes
- SULLE TRADUZIONI SI GIOCA IL FUTURO
DELLA LITURGIA, di Riccardo Barile
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