Nella
festa della Dedicazione della basilica di San Michele sulla via Salaria, che,
nel novus ordo è dedicata alla festa dei Santi Arcangeli
Michele, Gabriele e Raffaele, rilanciamo questo contributo, tratto da Chiesa
e postconcilio.
Cristo e due angeli, 537-545, mosaico, Bode Museum, Berlino. Dalla chiesa di San Michele in Africisco a Ravenna |
Potenti nell'operare, zelanti nel servire
e perspicaci nel conoscere la sapienza di Dio - Silvio Brachetta
Per la Festa liturgica dei Santi Arcangeli
- 29 settembre, riprendiamo l'articolo di Silvio Brachetta su Vita
Nuova di Trieste. Vedi precedenti nel blog: qui - qui.
Nella prima Elegia duinese,
Rainer Maria Rilke sostiene che «ogni angelo è tremendo», perché – dice di sé –
«se uno di loro al cuore mi prendesse, io verrei meno per la sua più forte
presenza». Non c’è possibilità di non essere schiacciati dall’intensità
ontologica, dal vigore esistenziale dell’angelo, così come l’angelo sarebbe
sopraffatto dall’infinita potenza dell’essere puro, da Dio. Ma né Dio vuole
schiacciare l’angelo, né questi l’uomo, poiché la sopraffazione del Bene e dei
buoni è cura amorevole dei più deboli.
Ogni
angelo, poi, è come un universo, uguale a sé medesimo e assai diverso dagli
altri. Pur di sostanza spirituale, semplicissima e indivisibile, l’angelo è
smisurato – non infinito, poiché creato, ma incommensurabile, poiché di enorme
perfezione rispetto all’uomo e alle creature materiali. L’angelo è l’indizio
vivente secondo cui la provvidenza di Dio non vuole avere un controllo
immediato del cosmo, ma mediato dalle creature: quanto ad alcune delle
operazioni della sapienza, il sempiterno volere e la ragione della Ss. Trinità
si effondono dalle prime sfere angeliche alle ultime – e poi da queste all’uomo
– e dall’uomo alle creature animali, vegetali e inanimate.
I Sette Spiriti di Dio
Dionigi l’Aeropagita descrive i «nove cori
angelici». Nella prima sfera, degli spiriti più prossimi all’eterna fiamma
dell’amore, i serafini, i cherubini e i troni, ardono nella perfezione della
scienza e somministrano la sapienza divina a tutto il creato. Le dominazioni,
le virtù e le potenze della seconda sfera governano l’universo, mediante la
scienza ricevuta da Dio, ad opera degli angeli superiori. Dalla terza sfera si
muovono i principati, gli arcangeli e gli angeli, il cui ministero è quello del
quale portano il nome: sono i messaggeri, tra Dio e l’uomo – mal’akh,
in ebraico e ànghelos, in greco, si traducono con «messaggero» o
«ambasciatore».
Tutta la Scrittura e la Tradizione
contemplano l’opera di Dio, accompagnata sempre dalla presenza degli angeli. Il
mistero degli angeli è persino maggiore di quello di Dio, non perché gli angeli
siano più complessi o misteriosi, ma perché la Scrittura parla molto di Dio e meno
degli angeli. È Dio che salva, non l’angelo. Dio creatore salva per mezzo
dell’angelo-creatura e a Dio, quindi, va orientata per prima la nostra
conoscenza.
Se dunque di Dio si può conoscere solo
quello che la provvidenza ha voluto rivelare, tanto più dell’angelo (che è solo
creatura) permangono alti misteri, per i quali vale il detto di Ludwig
Wittgenstein: «Su ciò di cui non si può parlare si deve tacere». Ecco dunque
sorgere un grande mistero, quando l’arcangelo Raffaele dice a Tobia: «Io sono
Raffaele, uno dei sette angeli che sono sempre innanzi alla presenza della
maestà del Signore» (Tob 12, 15). Perché l’arcangelo Raffaele
compare nella prima sfera, quando invece l’Areopagita colloca gli arcangeli
nella terza? E perché a Raffaele si aggiungono altri due arcangeli – Michele e
Gabriele – anch’essi associati dai primi Padri della Chiesa a quelle «sette
lampade di fuoco accese di faccia al trono, che sono i Sette Spiriti di Dio» di
cui parla l’Apocalisse (4, 5)?
Forse una spiegazione viene proprio dal
nome “arcangelo”, che si traduce come “capo degli angeli” (da àrchein,
comandare). O forse alcuni arcangeli dimorano presso le schiere serafiche e
cherubiche. Questo non è dato a sapere, poiché non è stato rivelato. E non è
stato rivelato nemmeno il nome degli altri quattro Spiriti che, assieme a
Michele, Gabriele e Raffaele ne condividono la dignità e l’ufficio. È vero che
la Tradizione patristica restituisce quattro nomi – Uriele, Barachiele,
Jeudiele e Selatiele – ma non sono nomi che provengono dalla Scrittura. Benché,
dunque, la Scrittura sia solo una delle fonti della Rivelazione (assieme alla
Tradizione), è però la fonte primaria e il fatto che alcuni nomi siano taciuti
significa che è del tutto opportuno che lo restino fino alla consumazione dei tempi.
La ragione la conosce solo Dio.
Figure centrali nell’opera della salvezza
Questo è il motivo per cui il 29 settembre
è la festa liturgica dei tre soli santi arcangeli Michele, Gabriele e Raffaele:
non si vuole escludere gli altri quattro – ai quali ci si può sempre rivolgere
in preghiera – ma si vuole farne memoria, per via della loro missione del tutto
peculiare nella storia della salvezza umana. San Gregorio Magno scruta questo
mistero con sapienza nelle sue Omelie sui Vangeli. Il termine “angelo” – scrive
San Gregorio – «denota l’ufficio, non la natura». Infatti, i santi spiriti dei
cieli «sono angeli solo quando per mezzo loro viene dato un annunzio». Non
solo, ma «quelli che recano annunzi ordinari sono detti angeli, quelli invece
che annunziano i più grandi eventi son chiamati arcangeli».
Così fu per san Michele, Gabriele e
Raffaele, ai quali fu affidato l’annuncio di grandi eventi: Michele fu il
capitano delle schiere angeliche che fronteggiarono Lucifero; Gabriele portò
l’annuncio a Maria della nascita del Salvatore; Raffaele curò la cecità di
Tobia e rappresenta l’archetipo degli angeli custodi. San Michele, nella
Scrittura, è una figura decisamente centrale, rispetto alle altre creature
spirituali. Daniele lo presenta come il primo dei principi e il custode
d’Israele. Al pari della Beata Vergine, Michele è spesso raffigurato con il
dragone sotto i piedi, perché entrambi hanno una parte decisiva nella lotta
contro i demoni. L’Apocalisse lo cita cinque volte con l’epiteto di «capo
supremo dell’esercito celeste». Assai diffusa la venerazione di questo
arcangelo, in Oriente e in Occidente, dove molti santuari e chiese gli sono
dedicati. Il suo nome (Mi-ka-el, in ebraico “chi come Dio?”) corrisponde
forse al grido di risposta al «non servirò» di Lucifero.
Grande spazio ha, nella Bibbia, anche la
missione di san Gabriele (gabri-el, “forza di Dio”) che, molto prima
dell’Annunciazione lucana, profetizza a Daniele l’avvenire del popolo
d’Israele, dal ritorno in patria, dopo l’esilio babilonese, all’avvento del
Messia. Dinnanzi alla Vergine, egli si presenta come colui che «sta al cospetto
di Dio» (Lc 1, 19). Gabriele annuncia pure la futura paternità a Zaccaria, per
cui sua moglie Elisabetta darà alla luce san Giovanni Battista. Il ministero di
san Raffaele, come per gli altri due arcangeli, è anch’esso contenuto nel nome
(rafa-el, “medicina di Dio”) e rappresenta la modalità con cui il
Signore sovviene alle malattie carnali e spirituali degli uomini. Raffaele
appare a Tobiolo in forma umana. Mangia e beve, ma dichiara anche che questa
sua carnalità non è altro che apparenza. Pur essendo nominato solo nel libro di
Tobia, Raffaele è comunque uno dei protagonisti della vicenda.
La differenza tra l’angelo e l’uomo
Delle gerarchie angeliche, descritte dall’Areopagita,
san Tommaso d’Aquino offre un’acuta chiave di lettura teologica: «alla prima
gerarchia spetta considerare il fine; alla gerarchia di mezzo, disporre
universalmente le cose da fare; all’ultima, invece, applicare le disposizioni
agli effetti, e cioè eseguire l’opera» (S.Th., I, 108, 6). Se insomma è
vero, come afferma Matteo nel Vangelo (18, 10) che gli «angeli nel cielo vedono
sempre la faccia del Padre mio [di Gesù]», alcuni angeli lo vedono con
perfezione maggiore ed altri con perfezione minore. Questo accade non perché
Dio sia parziale o ingiusto, ma perché la provvidenza ha disposto che non tutte
le creature abbiano lo stesso grado di perfezione e, quindi, la stessa capacità
introspettiva.
Per questo motivo, agli angeli dei tre
cori più vicini alla maestà di Dio è dato di poter contemplare la sapienza con
la perfezione maggiore, a quelli invece dei cori intermedi Dio ha concesso di
poter disporre della creazione. Gli ultimi tre cori hanno un contatto diretto
con gli uomini ed eseguono le opere della sapienza divina. Eppure nessun angelo
è stato escluso dalla visione di Dio, nella misura in cui egli la può recepire,
in quanto tutti i beati vedono Dio faccia a faccia. Gli angeli inoltre, afferma
san Tommaso, conoscono in modo diverso: «gli angeli superiori hanno una
conoscenza più universale della verità rispetto agli angeli di classe
inferiore». Per quanto riguarda, invece, «la conoscenza di Dio in se stesso, il
quale tutti gli angeli vedono nello stesso modo – nella Sua Essenza – non
esiste distinzione gerarchica tra gli angeli».
San Bonaventura da Bagnoregio riconosce
negli angeli «quattro attributi»: la «semplicità dell’essenza», la «distinzione
personale», la «memoria, l’intelligenza e la volontà» e la «libertà
dell’arbitrio» (Breviloquium, II, 6). La differenza con la natura umana
è data dal fatto che l’uomo non è semplice nell’essenza, ma è composto da
organi, nonché è costituito da una parte materiale (corpo) e da una spirituale
(anima). Un’altra differenza concerne la minore perfezione e la mortalità.
Bonaventura elenca, quanto agli angeli, altri quattro attributi associati ai
primi: la «potenza nell’operare», lo «zelo nel servire», la «perspicacia nel
conoscere» e l’«immutabilità, tanto nel bene quanto nel male, dopo la scelta».
Qua si vede meglio la differenza uomo-angelo. L’angelo è più potente, conosce
meglio ed è più zelante dell’uomo. L’angelo inoltre, con un unico atto della
volontà, sceglie immediatamente il bene o il male – e tale scelta è definitiva
poiché, conoscendo Dio per visione, sa esattamente cosa riceve o a cosa
rinuncia. L’uomo, al contrario, a causa della propria imperfezione, nella
scelta tra il bene e il male, decide parzialmente e ha del tempo per il
pentimento.
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