Il transito di san Francesco nella
tradizione liturgica francescana
Gli
ultimi momenti di san Francesco
Volgeva ormai al termine la giornata del 3
ottobre del 1226 quando il diacono Francesco, profondamente indebolito nel
corpo lacerato dalla malattia che vulnerò la sua vista, segnato indelebilmente
con le Stigmate della Passione del Cristo alla cui sequela si era adoperato,
rendeva la sua anima – temprata dall’austerità di vita, forgiata dalla
carità e alimentata dalla lode incessante - al Signore.
Ma come si susseguirono quei momenti
supremi nei quali il Serafico Padre si appressava ad andare incontro a “sora nostra
morte corporale” che si susseguivano alla Porziuncola? È infatti proprio
alla Porziuncola che Francesco, percependo con nitore l’abbreviarsi del suo
cammino terreno, il luogo che egli scelse di farsi portare dai suoi frati, quel
piccolo e semplice sacro luogo da lui stesso riparato e restaurato affidatogli
dai benedettini ove – tra le altre cose - fondò, affidandola alla
protezione della Madre di Dio, la famiglia dei Minori.
Giotto: Il Transito di san Francesco |
San Bonaventura da Bagnoregio – il “doctor
seraphicus” amico dell’Aquinate - nella sua Legenda Major ci
restituisce un ampio e dettagliato resoconto che qui ritengo di fare cosa utile
nel riportarlo.
«Finalmente, avvicinandosi il momento del suo transito, fece chiamare attorno sè tutti i frati del luogo e, consolandoli della sua morte con espressioni carezzevoli, li esortò con profondo affetto all’amore di Dio.Si diffuse a parlare sulla necessità di conservare la pazienza, la povertà, la fedeltà alla santa Chiesa romana, ma ponendo sopra tutte le altre norme il santo Vangelo.Mentre tutti i frati stavano intorno a lui, stese sopra di loro le mani, intrecciando le braccia in forma di croce (giacché aveva sempre amato questo segno) e benedisse tutti i frati, presenti ed assenti, nella potenza e nel nome del Crocifisso.Inoltre aggiunse ancora: “State saldi, o figli tutti, nel timore del Signore e perseverate sempre in esso! E, poiché sta per venire la tentazione e la tribolazione, beati coloro che persevereranno nel cammino iniziato! Quanto a me, mi affretto verso Dio e vi affido tutti alla Sua grazia!”Terminata questa dolce ammonizione, l’uomo a Dio carissimo, comandò che gli portassero il libro dei Vangeli e chiese che gli leggessero il passo di Giovanni, che incomincia: “Prima della festa di Pasqua... (Gv. 13, 1)”.Egli, poi, come poté, proruppe nell’esclamazione del salmo: “Con la mia voce al Signore io grido; con la mia voce il Signore io supplico” e lo recitò fin al versetto finale: “Mi attendono i giusti, per il momento in cui mi darai la ricompensa”.Quando, infine, si furono compiuti in lui tutti i misteri, quell’anima santissima, sciolta dal corpo, fu sommersa nell’abisso della chiarità divina e l’uomo beato s’addormentò nel Signore.Uno dei frati e discepoli vide quell’anima beata, in forma di stella fulgentissima, sollevarsi su una candida nuvoletta al di sopra di molte acque e penetrare diritta in cielo: nitidissima, per il candore della santità eccelsa e ricolma di celeste sapienza e di grazia, per le quali il Santo meritò di entrare nel luogo della luce e della pace, dove con Cristo riposa senza fine. » [1]
Il resoconto di Tommaso da Celano in Vita
Secunda ci riporta altri dettagli, ragione per la quale ritengo
opportuno riportarlo:
«Alla morte dell’uomo - dice il saggio - sono svelate tutte le sue opere. È appunto ciò che vediamo gloriosamente compiuto nel Santo. Percorrendo con animo pronto la via dei comandamenti di Dio, giunse attraverso i gradi di tutte le virtù alla più alta vetta, e rifinito a regola d’arte, come un oggetto in metallo duttile, sotto il martello di molteplici tribolazioni, raggiunse il limite ultimo di ogni perfezione. Fu allora soprattutto che brillarono maggiormente le sue mirabili azioni, e rifulse chiaramente alla luce della verità che tutta la sua vita era stata divina, quando, dopo aver calpestato le attrattive di questa vita mortale, se ne volò libero al cielo. Infatti, dimostrò di stimare una infamia vivere, secondo il mondo, amò i suoi sino alla fine, accolse la morte cantando. Quando sentì vicini gli ultimi giorni, nei quali alla luce effimera sarebbe succeduta la luce eterna, mostrò con l’esempio delle sue virtù che non aveva niente in comune con il mondo. Sfinito da quella malattia così grave, che mise termine ad ogni sua sofferenza, si fece deporre nudo sulla terra nuda, per essere preparato in quell’ora estrema, in cui il nemico avrebbe potuto ancora sfogare la sua ira, a lottare nudo con un avversario nudo. In realtà aspettava intrepido il trionfo e con le mani unite stringeva la corona di giustizia. Posto così in terra, e spogliato della veste di sacco, alzò, come sempre il volto al cielo e, tutto fisso con lo sguardo a quella gloria, coprì con la mano sinistra la ferita del lato destro, perché non si vedesse. Poi disse ai frati: “Io ho fatto il mio dovere; quanto spetta a voi, ve lo insegni Cristo!”.A tale vista, i figli proruppero in pianto dirotto e, traendo dal cuore profondi sospiri, quasi vennero meno sopraffatti dalla commozione. Intanto, calmati in qualche modo i singhiozzi, il suo guardiano, che aveva compreso per divina ispirazione il desiderio del Santo, si alzò in fretta, prese una tonaca, i calzoni ed il berretto di sacco: “Sappi - disse al Padre - che questa tonaca, i calzoni ed il berretto, io te li do in prestito, per santa obbedienza! E perché ti sia chiaro che non puoi vantare su di essi nessun diritto, ti tolgo ogni potere di cederli ad altri”. Il Santo sentì il cuore traboccare di gioia, perché capì di aver tenuto fede sino alla fine a madonna Povertà. Aveva infatti agito in questo modo per amore della povertà, così da non avere in punto di morte neppure l’abito proprio, ma uno ricevuto in prestito da altri. Aveva poi l’abitudine di portare in testa un berretto di sacco per coprire le cicatrici riportate nella cura degli occhi, mentre gli sarebbe stato necessario un copricapo di lana qualsiasi, purché fine e morbidissima.Poi il Santo alzò le mani al cielo, glorificando il suo Cristo, perché poteva andare libero a lui senza impaccio di sorta. Ma per dimostrare che in tutto era perfetto imitatore di Cristo suo Dio, amò sino alla fine i suoi frati e figli, che aveva amato fin da principio. Fece chiamare tutti i frati presenti nella casa, e cercando di lenire il dolore che dimostravano per la sua morte, li esortò con affetto paterno all’amore di Dio. Si intrattenne a lungo sulla virtù della pazienza e sull’obbligo di osservare la povertà, raccomandando più di ogni altra norma il santo Vangelo. Poi, mentre tutti i frati gli erano attorno, stese la sua destra su di essi e la pose sul capo di ciascuno cominciando dal suo vicario: “Addio - disse - voi tutti figli miei, vivete nel timore del Signore e conservatevi in esso sempre! E poiché si avvicina l’ora della prova e della tribolazione, beati quelli che persevereranno in ciò che hanno intrapreso! Io infatti mi affretto verso Dio e vi affido tutti alla sua grazia”. E benedisse nei presenti anche tutti i frati, ovunque si trovassero nel mondo, e quanti sarebbero venuti dopo di loro sino alla fine dei secoli.Nessuno si usurpi questa benedizione, che impartì ai presenti per gli assenti. Come è stata riportata altrove, ha chiaramente qualche riferimento personale, ma ciò va piuttosto riferito all’ufficio.Mentre i frati versavano amarissime lacrime e si lamentavano desolati, si fece portare del pane, lo benedisse, lo spezzò e ne diede da mangiare un pezzetto a ciascuno. Volle anche il libro dei Vangeli e chiese che gli leggessero il Vangelo secondo Giovanni, dal brano che inizia: Prima della festa di Pasqua ecc. Si ricordava in quel momento della santissima cena, che il Signore aveva celebrato con i suoi discepoli per l’ultima volta, e fece tutto questo appunto a veneranda memoria di quella cena e per mostrare quanta tenerezza di amore portasse ai frati.Trascorse i pochi giorni che gli rimasero in un inno di lode, invitando i suoi compagni dilettissimi a lodare con lui Cristo. Egli poi, come gli fu possibile, proruppe in questo salmo: Con la mia voce ho gridato al Signore, con la mia voce ho chiesto soccorso al Signore. Invitava pure tutte le creature alla lode di Dio, e con certi versi, che aveva composto un tempo, le esortava all’amore divino. Perfino la morte, a tutti terribile e odiosa, esortava alla lode, e andandole incontro lieto, la invitava ad essere suo ospite: “Ben venga, mia sorella morte!”.Si rivolse poi al medico: “Coraggio, frate medico, dimmi pure che la morte è imminente: per me sarà la porta della vita!”. E ai frati: “Quando mi vedrete ridotto all’estremo, deponetemi nudo sulla terra come mi avete visto ieri l’altro, e dopo che sarò morto, lasciatemi giacere così per il tempo necessario a percorrere comodamente un miglio”. Giunse infine la sua ora, ed essendosi compiuti in lui tutti i misteri di Cristo, se ne volò felicemente a Dio.Un frate suo discepolo, assai rinomato, vide l’anima del padre santissimo salire direttamente al cielo. Era come una stella, ma con la grandezza della luna e lo splendore del sole, e sorvolava la distesa delle acque trasportata in alto da una nuvoletta candida.Si radunò allora una grande quantità di gente, che lodava e glorificava il nome del Signore. Accorse in massa tutta la città di Assisi e si affrettarono pure dalla zona adiacente per vedere le meraviglie, che il Signore aveva manifestato nel suo servo. I figli intanto effondevano in lacrime e sospiri il pio affetto del cuore, addolorati per essere rimasti orfani di tanto padre. Ma la singolarità del miracolo mutò il pianto in giubilo e il lutto in esplosione di gioia. Vedevano distintamente il corpo del beato padre ornato delle stimmate di Cristo e precisamente nel centro delle mani e dei piedi, non i fori dei chiodi, ma i chiodi stessi formati dalla sua carne, anzi cresciuti con la carne medesima, che mantenevano il colore oscuro proprio del ferro, e il costato destro arrossato di sangue. La sua carne, prima oscura di natura, risplendendo di un intenso candore, preannunziava il premio della beata risurrezione. Infine, le sue membra divennero flessibili e molli, non rigide come avviene nei morti, ma rese simili a quelle di un fanciullo.Era in quel tempo ministro dei frati della Terra di Lavoro frate Agostino. Da tempo aveva perduto l’uso della parola, ma, quando giunse all’ora della morte, gridò tutto ad un tratto: “Aspettami, Padre, aspetta! Ecco, ora vengo con te”. Tutti i presenti l’udirono e si chiedevano sorpresi a chi parlasse a questo modo. “Non vedete - rispose con sicurezza - il nostro padre Francesco, che va in cielo?”. E subito la sua anima santa, libera dalla carne, seguì il padre santissimo» [2].
Svolgimento
della funzione.
All’altare del Serafico Padre è esposta la
reliquia, ad esso si recano i frati portando in mano un cero acceso la vigilia
della festa di san Francesco circa all’ora della sua morte o dopo il vespero,
oppure il giorno stesso. Il celebrante indossa il piviale e, fatta la debita
reverenza, impone l’incenso e lo benedice. Turifica la reliquia stando in piedi
con due tratti doppi premettendo inchino profondo. I cantori principiano
l’antifona O sanctissima anima ed intonano il
Salmo 141 (Voce mea ad Dominum clamavi).
Dopo il Gloria Patri e la ripetizione dell’Antifona, tutti –
una volta spente le candele – si inginocchiano e recitano cinque Pater, Ave e Gloria.
Si alzano nuovamente e cantano l’antifona Salve Sancte Pater. Si
inginocchiano nuovamente e due cantori cantano il versetto Franciscus
pauper et humilis caelum dives ingreditur cui si risponde Hymnis
caelestibus honoratur. Il solo celebrante si alza e canta l’Orazione, una
volta conclusa con l’Amen, canta il Dominus vobiscum e
i cantori eseguono il Benedicamus Domino. Il celebrante
rinnova l’imposizione dell’incenso e, premesso un inchino profondo, incensa nuovamente
la reliquia con la quale poi benedice gli astanti. Al termine la reliquia viene
offerta alla venerazione mediante il bacio ai religiosi e ai fedeli.
Tale breve e semplice funzione è
descritta così dalle rubriche del Rituale dei minori nelle edizioni in
mio possesso e che ho consultato ossia quella del 1931, edita essendo ministro
generale P. Bonaventura Marrani [3],
e quella del 1955, licenziata alle stampe durante il mandato di P. Agostino Sépinski [4].
Le rubriche sono estremante doviziose ed
esaustive, proprio per questo motivo, probabilmente, non si trovano riferimenti
nel cerimoniale dell’Ordine [5],
anzi, la mancanza in esso di qualsiasi cenno alla cerimonia del Transito mi
fa ritenere che talvolta essa venisse piegata o per lo meno influenzata dagli
usi locali. Un volume di sacre cerimonie edito negli anni Quaranta del secolo
scorso in seno alla Provincia Veneta dei Minori (ricordo che storicamente sul
territorio esistevano due provincie: una “riformata” e l’altra “osservante”),
si limita a fornire qualche indicazione brevissima nella parte dedicata alla
benedizione con le reliquie [6].
Qualche
variante rituale e origini.
Proprio nell’ambito degli usi locali
correlati alla celebrazione del Transito di san Francesco,
voglio ricordare il costume di aggiungere in alcuni conventi dei minori della
Provincia veneta di Sant’Antonio (“osservanti”), e in special modo nei
noviziati, il canto della Exortatio di san Francesco.
Il testo dell’Exortatio –
breve ma denso ed incentrato sui capisaldi del messaggio francescano e
all’ideale di penitenza e letizia - è sempre stato tenuto in somma
considerazione nell’ambito dei francescani, tanto da comparire altresì nel
corpo della Regola, dalla quale qui trascrivo la traduzione:
«Dilettissimi fratelli e figli in eterno
benedetti, ascoltatemi, ascoltate la voce del vostro padre: Grandi cose abbiamo
promesso, maggiori sono state promesse a noi. Osserviamo quelle, aspiriamo a
queste. Breve è il piacere, eterna la pena. Piccolo il patire, infinita la
gloria. Molti i chiamati, pochi gli eletti; tutti avranno la loro retribuzione.
Amen. » [7]
La composizione della melodia è del frate
nativo di Motta di Livenza (Tv) p. Leonardo Maria Bello appartenente a quella
Provincia, egli – appassionato cultore di canto gregoriano – divenne Ministro
Generale dei Minori e morì, in concetto di santità, nel 1944. Padre Leonardo
musicò le parole del Serafico con una semplice e fluente melodia del V modo
gregoriano [8].
Quanto all’origine pare che il rito
del Transito sia piuttosto recente. P. Eliseus Bruning – che
negli anni della restitutio ad codicum fidei del canto
gregoriano si occupò del repertorio dei Minori – opina che essa non sia da
collocarsi che nel XVIII secolo o al più tardi XVII, a tale datazione muove considerando
la presenza nei codici dell’Antifona O sanctissima anima (VI
modo) rinvenuta in testimoni di area francese e nelle Fiandre [9] .
Lo stesso religioso e musicologo presenta un’altra versione di questa antifona,
questa volta del II modo, che è un adattamento dell’ Antifona O beatum
virum della festa di san Martino (11 novembre) [10].
La stessa Antifona ho avuto modo di ritrovarla nel supplemento di canto ad uso
dei Cappuccini – edito essendo ministro generale P. Giuseppe Antonio da
Persiceto – e collocata proprio nell’ambito della celebrazione del Transito [11].
La funzione del Transito ebbe
origine e crebbe nell’ambito delle devozioni dei religiosi francescani, e pur
essendo – con ogni probabilità – in origine un mero esercizio di pietà, a decorrere
dal XVIII secolo inizia a comparire con sistematicità in appendice ai Breviari [12].
Relativamente all’uso di celebrare la
funzione la sera del 3 ottobre o quella del 4 si trovano varie opzioni. Da
Tenderini e Zordan apprendiamo che nei conventi di quella Provincia si
celebrava la sera del 4 ottobre [13],
alla Porziuncola si celebrava indifferentemente il 3 (dopo i primi
Vesperi) o il 4 (dopo i secondi Vesperi) e ciò veniva stabilito sia dal costume
dell’Ordine che dalla volontà del Cardinale Legato. Nella Patriarcale Basilica
di Santa Maria degli Angeli, celebrati i Vesperi e tenuto il sermone ci si
recava al sacello del Transito in processione recando i ceri
e la croce astile. Per il resto ci si regolava secondo il Rituale dell’Ordine [14].
Il Rituale tace dell’uso dei candelieri e della croce astile,
e postula la presenza del solo celebrante parato con il piviale bianco [15],
viene da chiedersi – celebrandosi la funzione del Transito senza
soluzione di continuità con i Vesperi di come ci si regolasse circa la presenza
dei pivialisti, ma di questo, al momento, non ho avuto modo di trovare cenno,
testimonianza o menzione. La risposta che mi sembra più verosimile ed
attendibile è che ci fosse un’ampia varietà locale: proprio la recenziorità di
tale funzione liturgica potrebbe aver contribuito e determinato la permanenza
di costumi locali essendo mancato un tempo sufficientemente lungo, tale da
consentire un processo di unificazione, cristallizzazione ed uniformizzazione.
All’insegna di questa varietà voglio
segnalare l’uso dei Recolletti appreso da un Ritualeottocentesco
stampato ad Utrecht per i frati dell’ “Almae Provinciae Germaniae Inferioris” [16].
Qui la funzione si compie con l’assistenza del diacono e del suddiacono parati
(che ovviamente non ministrano ai Vesperi), la reliquia è portata dal
celebrante all’altare di san Francesco o a quello della Vergine, la “Regina
Ordinis Minorum” (probabilmente in assenza di un altare dedicato al Serafico
Padre) e collocata in loco eminentiori dal diacono.
Alla ripetizione dell’Antifona O
sanctissima anima (della quale ho avuto modo di rinvenire una versione
melodica diversa sviluppata nel V modo gregoriano, indicato anche come XIII
“antiquitus” in una pressoché coeva edizione di canto fermo di area vicina) i
più giovani tra i fratelli laici raccolgono le candele che sono state spente ed
i Pater, Ave e Gloria sono
recitati “brachiis extensis” [17].
Dopo il Benedicamus si suonano l’organo e le campane quasi a
salutare l’anima di san Francesco che entra nella gloria del Paradiso.
Qualche breve parola circa i testi che
compongono il Transito. Dell’Antifona O sanctissima anima che
apre la funzione e precede e segue il salmo 141 ho già avuto modo di dire
qualcosa. Il salmo 141 fu quello che accompagnò gli ultimi momenti terreni di
san Francesco, nell’Ufficio esso è il quinto salmo del Vespero della Feria
sexta [18].
Il ricorso all’utilizzo di questo salmo,
assieme ad altri particolari, quali ad esempio le candele, il suono delle
campane, per certi versi mi fanno ritenere che il Transito sia
una sorta di “riproposizione drammatica”, dettata ed ispirata dalla devozione
dei francescani, del supremo momento del Serafico Padre. Mi rafforza in questa
convinzione una rubrica del già citato supplemento di canto dei Cappuccini e
del loro Cerimoniale laddove si pone un’enfasi particolare
alle parole “Educ de custodia” cantando le quali san Francesco spirò. Qui la
rubrica recita: “magna devotione et gravitate cani oportet” [19].
Quanto alle candele spesso gli artisti che raffigurarono il Transito di
san Francesco – ad esempio il sommo Giotto – non mancarono di rappresentare dei
frati presso il capezzale del Serafico recanti dei ceri accesi. Il riferimento
che ho fatto alle campane è estremamente ovvio giacché ab immemorabilisono
state usate per annunciare sia la nascita che la morte dei fedeli cristiani.
Come detto seguono i Pater, Ave e Gloria e
quindi si canta l’Antifona del II modo Salve Sancte Pater. Tale
Antifona si rinviene in codici del XIV secolo ed è attribuita al cardinale
Tommaso da Capua [20].
Essa è l’Antifona al Magnificat nei giorni dell’Ottava di san
Francesco secondo l’Ufficio dei Minori [21].
All’Antifona segue il versetto, eseguito dai cantori, Franciscus pauper
et humilis modulato con la melodia solenne che anche l’Antiphonale
Romanum riserva – per il versetto dopo l’Inno - in diverse feste.
L’Orazione che segue è la Colletta di san Francesco del 4 ottobre [22];
la parentesi che circonda le parole hodierna die, è un’aggiunta
apportata evidentemente per sottolineare la collocazione temporale della
funzione e sta ad indicare il fatto che tali parole sono cantate se la funzione
è celebrata la sera della vigilia; esse non hanno riscontro col testo del Messale.
La melodia del Benedicamus proposta
è quella delle Lodi nelle Feste di rito doppio presente nell’ Antiphonale
Romanum [23].
L’Officium ac Missa de Festo S.P.N. Francisci curato da p. Eliseo
Bruning – e già citato - propone un tono in più a scelta per il Benedicamus desunto
da codici francescani di area italica del XIV e XV secolo [24] che
risulta identico a quello del Supplementum di canto gregoriano
dell’Ordine dei Cappuccini parimenti citato [25].
Un breve cenno circa la funzione del Transito presso
i Conventuali così come si trova descritta nel loro Rituale [26].
Presso tale famiglia francescana la funzione risente di uno sviluppo più ampio
che mi fa propendere per l’idea che essa sia più tarda di quella dei
Minori. Anche presso di loro la celebrazione può avvenire la sera del 3 o del 4
ottobre, inizia con una processione che muove dall’altare maggiore a quello di
san Francesco al canto dell’Inno Jam noctis umbra obduxerat che
è l’inno riservato nel loro ufficio ai secondi Vesperi della festa del Serafico
Padre [27].
Giunti all’altare di san Francesco tutti si pongono in ginocchio mentre si
canta l’Antifona O Patriarcha pauperum Franciscem tuis precibus auge (sconosciuta
nel repertorio dei Minori) cui segue un versetto ed un’Orazione piuttosto
lunga. A questo punto si canta – come presso i Minori – l’Antifona O
sanctissima anima con il salmo 141, cui segue un altro versetto e
un’altra Orazione. A questo punto si intona l’antifona Salve
sancte Patercon il versetto Franciscus pauper et humilis (come
i minori), il celebrante canta l’Orazione. Segue il Benedicamus Domino,
quindi un cantore canta Jube domne benedicere ed il celebrante
impartisce la benedizione con la reliquia.
Relativamente a questo uso dei
Conventuali, così come della celebrazione di altri Transiti in
ambito francescano più tardivi (es. santa Chiara e sant’Antonio) mi ripropongo
di effettuare in futuro degli approfondimenti.
Seraphice
Pater Francisce, ora pro nobis!
Francesco G. Tolloi
[1] S. BONAVENTURA DA BAGNOREGIO, Leggenda maggiore,
in Fonti Francescane (a cura di E. Caroli), Padova,
Messaggero, 1985 4, pp. 954 e ss..
[2] TOMMASO DA CELANO, Vita Secunda, in Fonti
Francescane…cit, pp. 804 e ss..
[3] Cfr. Rituale Romano – Seraphicum Ordinis
Fratrum Minorum, Editio Altera, Parisiis – Tornaci – Romae, Desclée et
Socii, 1931, pp. 213 e ss..
[4] Cfr. Rituale Romano – Seraphicum Ordinis
Fratrum Minorum, Editio Tertia, Romae, Pax et Bonum, 1955, pp. 233 e ss..
[5] Cfr: Caeremoniale Romano – Seraphicum Ordinis Fratrum Minorum,
Editio Altera, Ad Claras Aquas, Typographia Collegii S. Bonaventurae, 1927.
[6] Cfr. F. TENDERINI– I. ZORDAN, Piccolo
Cerimoniale Romano Serafico, Vicenza, Convento S. Lucia, 1943 2 ,
p. 263.
[7] Regula et Constitutiones Generales Ordinis
Fratrum Minorum, Roma, Curia Generale O.F.M., 2004, p. 29.
[8] P.L.M. BELLO, Exhortatio S.P.N.
Francisci, Dolo – Venezia, ITE, [s.d.].
[9] Cfr. E. BRUNING, Epilogus Criticus,
in Officium ac Missa de Festo S.P.N. Francisci, Parisiis – Tornaci
– Romae, Desclée et Socii, 1926, p. 138 e s..
[10] Cfr. Cantuale Romano - Seraphicum,
Editio Tertia, Parisiis – Tornaci – Romae, Desclée et Socii, 1951, p. 176
ed Epilogus Criticus, p. 389. Per l’Antifona di san Martino (
trattasi dell’Antifona al Magnificat dei primi vesperi) cfr:Antiphonale
Sacrosanctae Romanae Ecclesiae pro Diurnis Horis, Romae, Typis Polyglottis
Vaticanis, 1912, p. 764.
[11] Cfr. Proprium Missae ac Horarum Officii
Diurnarum cum cantu ad usum ff. Mm. Capuccinorum, Parisiis – Tornaci –
Romae, Desclée et Socii, 1925, p. 288.
[12] Cfr. G. CAMBELL, Liturgia di S.
Francesco d’Assisi, Santuario della Verna, edizioni “La Verna”, 1963, p.
152.
[13] Cfr. F. TENDERINI– I. ZORDAN, Piccolo
Cerimoniale Romano Serafico…, Vicenza, cit.
[14] Cfr. Caeremoniale Patriarchalis
Basilicae et Capellae Papalis Sanctae Mariae Angelorum de Portiuncola,
Romae, Tipografia Nazionale, 1926, p. 147. Su questo cerimoniale si veda quanto
osservato da I. NABUCO, Ius Pontificalium, Parisiis – Tornaci –
Romae – Neo Eboraci, Desclé et Socii, 1956, p. 231 e pp. 234 e ss..
[15] Cfr. Rituale Romano – Seraphicum Ordinis
Fratrum Minorum, Editio Tertia…, cit., p. 233.
[16] Cfr. Caeremoniale FF. Minorum
Recollectorum Almae Provinciae Germaniae Inferioris, Trajecti ad Rhenum,
Van de Weijer, 1884, pp. 390 e ss..
[17] L’uso di pregare con le braccia estese da parte
dei frati è attestato, in altre circostanze, presso i Cappuccini. Stando al
loro Cerimoniale, il gesto evoca la posizione di san Francesco
mentre riceve le stigmate, il testo afferma che tale gesto “in Ordine
Minoritico semper in usu fuit“. Cfr. Caeremoniale Romano – Seraphicum
ad specialem usum FF. Minorum S. Francisci Capuccinorum, Romae, Ex Typis
Vaticanis, 1892, p. 21 e s..
[18] Cfr. Breviarium Romanum ex decreto
Sacrosancti Concilii Tridentini restitutum, Romae, Typis Polyglottis Vaticanis,
1915, p. 153.
[19]Cfr. Proprium Missae ac Horarum Officii
Diurnarum cum cantu ad usum ff. Mm. Capuccinorum…, cit. p. 288
e Caeremoniale Romano – Seraphicum ad specialem usum FF. Minorum S.
Francisci Capuccinorum…, p. 398. Di analogo tenore l’attenzione alle stesse
parole posta nel Cerimoniale utrecense dei Recolletti laddove pur prevedendo la
possibilità di eseguire alternatim con l’organo ammonisce che
in ogni caso non si tralascino di cantare quelle parole. (Cfr. Caeremoniale
FF. Minorum Recollectorum Almae Provinciae Germaniae Inferioris…, cit. p. 390).
[20] Cfr. E. BRUNING, Epilogus Criticus,
in Cantuale Romano – Seraphicum…, cit., p. 394.
[21] Cfr. Breviarium Romano – Seraphicum,
Editio I juxta typicam, Romae, Pax et Bonum, 1951, Pars Autunnalis, p. 740.
Faccio notare che i Minori serbarono sempre – a differenza di Conventuali e
Cappuccini – l’ufficio di fra Giovanni da Spira (XIII sec.)
[22] Cfr. Missale Romano – Seraphicum,
Editio Typica, Florentiae, Ad Claras Aquas, 1952, p. 749
[23] Cfr. Antiphonale Sacrosanctae Romanae
Ecclesiae pro Diurnis Horis…, cit. p. 49*. Ed anche in Antiphonale
Romano – Seraphicum pro Diurnis Horis,Parisiis – Tornaci – Romae, 1928, p.
[179].
[24] Cfr. Officium ac Missa de Festo S.P.N.
Francisci…, cit., p. 102 e p. 138 e s. (Epilogus Criticus).
[25] Cfr. Proprium Missae ac Horarum Officii
Diurnarum cum cantu ad usum ff. mm. Capuccinorum…, cit., p. 289.
[26] Cfr. Rituale Romano - Seraphicum Ordinis
Fratrum Minorum Conventualium, Romae, Typis Polyglottis Vaticanis, 1942,
pp. 81 e ss. (Il Volume non reca notazione musicale).
[27] Cfr. Proprium Officiorum ad usum Ordinis
Fratrum Minorum Conventualium, Taurini – Romae, Marietti, 1951, p. 107.
L’ufficio dei Cappuccini per san Francesco è mutuato proprio dai Conventuali
(ma non il rito del Transito) sicché troviamo la melodia in Proprium
Missae ac Horarum Officii Diurnarum cum cantu ad usum ff. mm. Capuccinorum…,
cit., pp. 255 e s..
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