Rilanciamo questo contributo nella festa del Santo di Assisi.
Bernardo Strozzi, S. Francesco in meditazione, 1610-15 circa, Museum Boijmans Van Beuningen, Rotterdam |
Guercino, S. Francesco in adorazione del Crocifisso, 1645, Chiesa di S. Giovanni in Monte, Bologna |
L’orazione e la liturgia in San
Francesco d’Assisi
Nella festa di S. Francesco d’Assisi,
pubblichiamo un ampio stralcio dello studio “Francesco d’Assisi e la tradizione ascetica bizantina: alcune fondamentali
convergenze”, realizzato da Pietro Chiaranz nel 2015. Il brano è volto a sottolineare
le vicinanze tra la prassi ascetica del francescanesimo originario e la
tradizione monastica orientale, che vanno a esprimere in fondo la tradizione
orante e liturgica della Chiesa indivisa.
Tratto da: Pietro Chiaranz, Francesco d’Assisi e la tradizione ascetica
bizantina: alcune fondamentali convergenze.
La fuga dal
rumore e dai traffici mondani è finalizzata al ritiro della propria mente nel
cuore, luogo dell’incontro con Dio, secondo i famosi passi evangelici per cui: “il
Regno di Dio è dentro di voi” (1) (Lc 17, 21), e “Se uno mi ama, osserverà
la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora
presso di lui” (Gv 14, 23). La scoperta della presenza di Dio non avviene, però,
senza che non vi sia, da parte umana, una disposizione data dalla preghiera. La
preghiera, secondo l’antica prassi patristica, non è un modo per attirarsi la
benevolenza di Dio, né è necessaria a Dio dal momento che, come recita il
salmo, “la mia parola non è ancora sulla lingua e tu, Signore, già la conosci
tutta” (Sl. 138, 4). La preghiera, piuttosto, favorisce l’orientamento dello
spirito umano verso Dio e ne allontana l’oblio. Per questo è indispensabilmente
unita alla fuga mundi. San Paolo, nei riguardi della preghiera, è
perentorio: “Pregate inoltre incessantemente con ogni sorta di preghiere e di
suppliche nello Spirito, vigilando a questo scopo con ogni perseveranza” (Ef 6,
18).
Francesco d’Assisi ha presente questo tipo
di tradizione fino a divenire un uomo fatto preghiera: “Spesso senza muovere le
labbra, meditava a lungo dentro di sé e, concentrando all’interno le potenze
[le forze] esteriori, si alzava con lo spirito al cielo. In tal modo dirigeva
tutta la mente e l’affetto a quell’unica cosa che chiedeva a Dio: non era tanto
un uomo che prega, quanto piuttosto egli stesso tutto trasformato in preghiera
vivente” (2). E ancora: “Quando, invece, pregava nelle selve e in luoghi
solitari, riempiva i boschi di gemiti, bagnava la terra di lacrime, si batteva
con la mano il petto; e lì, quasi approfittando di un luogo più intimo e
riservato, dialogava spesso ad alta voce col suo Signore: rendeva conto al
Giudice, supplicava il Padre, parlava all’Amico, scherzava amabilmente con lo
Sposo” (3). Lo stile di Francesco passò inevitabilmente ai suoi primi
discepoli. Tommaso da Eccleston dichiara che i frati dei primi tempi erano
così fervorosi nella preghiera che “alcuni si trovavano sempre nella cappella a
pregare a qualsiasi ora anche della notte” (4). La preghiera del Poverello
era notevole non solo quantitativamente ma pure qualitativamente. In essa
doveva applicarsi la fuga mundi, come sopra ricordato, ossia
doveva essere praticata senza distrazioni, nel senso che il pensiero non doveva
disperdersi nella molteplicità della realtà esteriore ma servire solo l’Unico
necessario. Perciò, egli “credeva di peccare gravemente, se mentre pregava era
disturbato da vani fantasmi. Quando ciò capitava, ricorreva alla confessione
per accusarsene subito. L’aveva resa così abituale questa premura, che molto
raramente era tormentato da questo genere di ‘mosche’” (5). Tommaso da
Celano racconta che una volta Francesco, mentre pregava, fu momentaneamente
distratto dalla presenza di un vaso da lui stesso realizzato. Al termine della
preghiera se ne dolse talmente che decise di distruggerlo (6). Quel vaso
era stato la causa di una momentanea fuga della sua mente dal cuore in cui
risiede la presenza divina, per dirla con linguaggio esicasta (7).
È utile anche accennare che la preghiera
per Francesco non era un’attività senza rapporto con il corpo, dal momento che
anche il corpo doveva accompagnare l’adorazione dello spirito. Comunemente alla
prassi fino ad allora seguita anche nella Chiesa latina (8), è assai
probabile che Francesco accompagnasse la sua preghiera con profonde
prostrazioni, come si faceva e si fa ancora oggi nella Chiesa orientale. D’altronde,
egli raccomandava: “Udendo il nome del Quale, adoratelo con reverente timore
proni verso terra: Signore Gesù Cristo, Figlio dell’Altissimo è il suo nome,
che è benedetto nei secoli” (9).
Quanto detto fino ad ora per l’orazione
personale di Francesco, si può ritrovare anche nella tradizione ascetica bizantina.
In particolare, per quanto riguarda la preghiera continua o ininterrotta san
Gregorio Nazianzeno scrive: “Bisogna ricordarsi di Dio più spesso di quanto
respiriamo, e, se è possibile dirlo, non bisogna fare altro che questo. Anche
io sono tra quelli che approvano le parole che prescrivono di ‘esercitarsi
giorno e notte’, di ‘raccontarlo a sera, al mattino e a mezzogiorno’ e di ‘benedire
il Signore in ogni circostanza’; se bisogna anche ripetere le parole di Mosè, ‘quando
riposiamo a letto, quando ci alziamo e quando siamo in viaggio’ mentre facciamo
qualunque altra cosa, conformandosi alla purezza ricordandoci di Lui” (10).
Successivamente al Nazianzeno, questa raccomandazione - che non fa altro che
riprendere il passo paolino suaccennato e la prassi dei Padri del deserto -, è
ripetuta da molti altri. San Giovanni il Climaco, ad esempio, dice: “L’anima
che di giorno si occupa senza interruzione del pensiero di Dio, ne ha familiare
il ricordo durante il sonno” (11). Il dottore esicasta, san Gregorio
Palamas, vissuto posteriormente a Francesco d’Assisi, riprende tutta la grande
tradizione ascetica bizantina e la sistematizza. Riguardo alla preghiera
continua egli così esorta i fedeli: “Affrettiamoci, fratelli, […] a ricambiare
la divina adorazione con l’amore per Dio […], liberandoci da tutte le cose
terrene, con una continua preghiera, la salmodia e con un impegno costantemente
partecipe” (12).
Abbiamo visto che Francesco, mentre
pregava, piangeva. Le lacrime di compunzione esistono anche nella tradizione ascetica
bizantina, che segue, come già accennato, la linea stabilita dai Padri del
deserto. Queste lacrime non devono essere intese in senso sentimentale, bensì
nel modo specificato dagli antichi scritti ascetici: esse esprimono la gioia e
la dolcezza della presenza del Signore così come l’angoscia per la distanza
dell’uomo da Dio. La Scrittura, d’altronde, ricorda che “uno spirito contrito è
sacrificio a Dio, un cuore affranto e umiliato, Dio, tu non disprezzi” (13) mentre
il salmista scrive d’inondare ogni notte di pianto il suo giaciglio (cfr. Sl.
6, 7). Facendo eco a ciò, i Padri ripetono l’esperienza biblica
raccomandandola. In Occidente nella Regula Sancti Benedicti è
scritto: “Sappiamo inoltre che non ci faranno esaudire le molte parole, ma la
purezza del cuore e la compunzione del pianto”(14). Gregorio Nazianzeno parla
delle lacrime come di un quinto battesimo, dopo quello allegorico, avvenuto
nell’acqua del Mar Rosso, di Mosè (cfr. 1 Cor 10,2), quello solamente
penitenziale di Giovanni Battista, quello di Cristo avvenuto nello Spirito
Santo e quello dei martiri che avviene nel sangue: il battesimo delle lacrime “è
un battesimo più impegnativo, perché è quello che bagna ogni notte di lacrime
il proprio letto e il proprio giaciglio” (15). Questa tradizione giunge
fino ai nostri giorni. San Silvano l’Atonita (1866-1938) pregava per il mondo
intero piangendo con lo spirito degli antichi asceti. Lo possiamo capire da
queste righe che riflettono la sua esperienza: “[Il Signore] a volte fa il dono
all’anima di amare il mondo. Allora, essa piange per il mondo intero e implora
il Maestro buono e misericordioso di diffondere la Sua grazia su ogni anima
avendo pietà di essa” (16). In una sua poesia si trova scritto: “La mia
anima ha sete del Signore / e con lacrime io Lo cerco” (17).
Pure l’attenzione alla preghiera, che
abbiamo visto caratterizzare Francesco d’Assisi, è fortemente raccomandata dai
Padri (18). Questo è ancora ben presente nel mondo religioso bizantino
odierno. Un esempio odierno ci è fornito dall’Anziano Paisios del Monte Athos
(1924-1994) il quale era solito raccomandare di tenere la testa “nel
frigorifero”, ossia in un modo da congelare tutti i pensieri che possono
disturbare la vita religiosa e la preghiera. Egli raccomandava: “Non dobbiamo trascurare
la preghiera [continua del nome] di Gesù. Quando abbiamo l’occasione, la
dobbiamo recitare. La nostra mente non deve disperdersi inutilmente. Con questa
preghiera l’intelletto si riposa e gioisce” (19).
Per quanto riguarda la preghiera comunitaria,
Francesco dispose che i suoi seguissero la liturgia in uso nella Chiesa di
Roma (20), sia per la Messa che per il Breviario, differenziandosi così
dagli usi e dalle liturgie locali di allora. Qui è importante notare il modo in
cui veniva eseguita questa liturgia nelle prime comunità francescane. Oltre a
contraddistinguersi per pietà ed attenzione, essa aveva alcune modalità molto
simili a quelle bizantine. La prassi liturgica dell’ordine in Inghilterra,
durante le Veglie notturne nelle solennità, può benissimo essere paragonata ad
una agripnia (veglia) bizantina odierna.
Tommaso da Eccleston descrive con gioia e
meraviglia il fervore dei frati nella recita dell’Ufficio divino: “Nelle
principali feste dell’anno cantavano l’ufficio con tanto fervore, che le veglie
si prolungavano qualche volta per tutta la notte; e quando non erano che tre o
quattro o al massimo sei, cantavano con solennità e con accompagnamento
musicale” (21). Si tratta, dunque, di un ufficio notturno cantato. Chi ha
pratica della vita liturgica tradizionale, laddove essa viene ancora eseguita,
sa quanto sia difficile mantenere delle ufficiature cantante, dal momento che
richiedono una certa applicazione e una particolare specializzazione musicale.
Per questo oggi è piuttosto raro trovare delle comunità religiose in cui questa
consuetudine sia praticata. E se è difficile trovare chi esegua in canto le
ufficiature diurne, è quasi impossibile incontrare chi canti quelle notturne.
Alla luce di ciò, la testimonianza di Tommaso da Eccleston è particolarmente
significativa. Non solo egli ravvisa un notevole fervore, da parte dei frati,
ma nota pure la capacità, addirittura nel caso in cui ci siano solo tre
religiosi, di far rivivere l’antica tradizione di un’ufficiatura notturna
cantata. Perciò, sotto tale aspetto, questi primi discepoli di Francesco
possono essere benissimo paragonati con il mondo monastico bizantino.
Inoltre, Tommaso da Eccleston ci fa sapere
che i frati recitavano l’ufficio sempre in piedi e ricorda un ministro provinciale
che rimproverò aspramente un frate seduto durante la recita delle ore
canoniche(22). Questa modalità di celebrare la liturgia delle ore, era una
consuetudine praticata dallo stesso Francesco (23). Ciò riporta alla mente
quanto dice, a tal proposito, san Giovanni Climaco: “Chi intende stare sensibilmente
alla presenza del Signore nell’intimo del cuore pregherà certo in posizione
eretta ed immobile come una colonna, senza mai farsi illudere da qualcuno di
tali demoni [dello sbadiglio e del riso durante la preghiera]” (24).
Questo genere di raccomandazioni hanno trovato sempre degli esecutori nel mondo
bizantino e ve ne sono anche ai giorni nostri. Ricordo chiaramente come,
durante una veglia notturna di alcuni anni fa’ in un monastero del Monte Athos,
mi fu indicato un monaco molto anziano giunto nel katholikon (25) per
un panighiri (26). Quell’anziano aveva la caratteristica di
rimanere in piedi per tutta la preghiera, incurante della sua veneranda età.
Così, mentre io ad un certo punto mi coricai, lui era ancora là e là lo
ritrovai alcune ore dopo, verso le sette, in occasione della Divina Liturgia.
Egli era visibilmente stremato, ma tenacemente eretto. Dunque questa
consuetudine, che si riscontra nelle testimonianze relative a Francesco d’Assisi
e ai suoi primi discepoli, è propria pure al mondo religioso bizantino.
Nella storia iniziale del movimento
francescano, si può trovare un ultimo particolare degno di nota: l’esistenza di
un frate cantore (27), il cui compito doveva consistere nell’eseguire in
modo appropriato l’Ufficio divino. È un poco quanto avviene nelle comunità
monastiche bizantine in cui esiste il cosiddetto protopsaltis (28) che
svolge il medesimo compito.
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NOTE dell’autore
1. Il passo segue la traduzione del vangelo in uso nella Chiesa bizantina
dove il termine ἐντὸς significa “dentro” (di voi), non “in mezzo” (a voi), com’è invece
possibile trovare in molte traduzioni odierne (vedi, ad es., la traduzione CEI
della Bibbia di Gerusalemme).
2. Tommaso da Celano, Vita seconda, 95, in FF, p. 630.
2. Tommaso da Celano, Vita seconda, 95, in FF, p. 630.
3. Ibid.
4. Tommaso
da Eccleston, L’approdo dei frati minori in Inghilterra, V,
Edizioni O.R., Milano 1979, p. 37.
5. Tommaso
da Celano, Vita seconda, 97, in FF, p.
630-631.
6. Cfr. Ibid. p. 632.
Tommaso da Celano aggiunge che il vaso fu fatto da Francesco nei “ritagli di
tempo e per non perdere neanche un istante”. In questo fugace appunto si nota
il senso del lavoro per il Poverello: obbligare la mente ad un impegno per non
disperdersi inutilmente. Siamo ben lungi da quella mentalità che considera il
lavoro quale valore per se stesso.
7. L’Esichìa, o quiete, era
ricercata da coloro che, fuggendo dal mondo, si ritiravano in eremi e
monasteri. Nel mondo bizantino si creò un vero e proprio movimento esicasta il
cui personaggio di spicco fu san Gregorio Palamas (1296-1359).
8. Vedi, a tal proposito, Schmitt J.C., Il gesto nel
Medioevo, Laterza, Roma-Bari 1991, pp. 275-282.
9. Francesco
d’Assisi, Lettera al Capitolo generale e a tutti i frati, in FF, p.
162.
10. Gregorio
Nazianzeno, Orazione 27, in Id., Tutte le Orazioni, a cura di
Claudio Moreschini, Bompiani, Milano 2000, p. 647.
11. Giovanni
Climaco, La scala del Paradiso. Ventesimo discorso, p.
220.
12. Gregorio
Palamas, Omelia 47, in Id., Che cos’è l’Ortodossia.
Capitoli, Scritti ascetici, Lettere, Omelie, Bompiani, Milano 2006, p.
1454.
13. Sl. 50, 19.
14. Regula sancti Benedicti 20, 8,
in Gregorio Magno, Vita
di san Benedetto e La Regola, p. 187.
15. Cfr. Gregorio Nazianzeno, Orazione 39, p. 917. Si
noti come Gregorio riprende alla lettera il salmo succitato.
16. Cfr. Larchet J.-C., Saint Silouane de
l’Athos, Éditions du Cerf, Paris 2001, p. 167.
17. Sofronio, Archimandrita, Ascesi
e contemplazione, Servitium-Interlogos, Sotto il Monte-Schio 1998, p. 61.
18. Si veda a titolo di puro
esempio: Giovanni Climaco, La
scala del Paradiso, 118, Cittanuova, Roma 1995, p. 217; Regula
sancti Benedicti 19, 7 in Gregorio
Magno, Vita di san Benedetto e La Regola, p. 187; Isacco di Ninive, Grammatica di
vita spirituale, Discorso 7, San Paolo, Roma 2009, pp. 162-169.
19. Tatsis
D., Non cercate una santità a buon mercato, Edizioni
Dehoniane, Roma 1995, p. 68.
20. La liturgia romana, in quel
tempo, aveva molti elementi in comune con il mondo cristiano orientale. Ne
accenniamo solamente due: il battesimo era ancora effettuato esclusivamente per
immersione e il segno della croce avveniva non con la mano distesa, ma in modo
simile a quello bizantino, per indicare la confessione dell’unità nella trinità
divina. Vedi Righetti M., Storia
Liturgica, 1, Marietti, Torino, pp. 369-370; Ibid., 4, p. 109.
21. Tommaso
da Eccleston, L’approdo dei frati minori in Inghilterra, V,
pp. 37-38.
22. Id., L’approdo
dei frati minori in Inghilterra, Ibid., XIV, p. 88.
23. Id., Vita
seconda di san Francesco d’Assisi, 62, in FF.,
p. 631.
24. Giovanni
Climaco, La scala del Paradiso, Cittanuova, Roma 1995,
p. 217.
25. La chiesa principale del
monastero.
26. Solennità liturgica.
27. Cfr. Esser K., Origini e inizi del movimento e dell’ordine
francescano, p. 132.
28. Letteralmente: “primo cantore” o “cantore
principale”.
Fonte: Traditio
Marciana, 4.10.2018
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